Maggiore equità sociale e libertà di scelta. Chiesa e politica convergono sulla necessità di una scuola per tutti. Ecco come realizzarla (e salvarla dagli sprechi)
Riceviamo e pubblichiamo un contributo sul costo standard promosso da un documento dei vescovi e da un ddl presentato al Senato (qui un video per approfondire l’argomento)
Un recente documento del Consiglio nazionale della scuola cattolica sottolinea la coerenza che corre tra il principio dell’autonomia e quello della parità tra scuole pubbliche statali e scuole pubbliche non statali, in funzione del diritto della persona alla libera scelta educativa. Coerenza imposta dalla logica e dal diritto che sono a fondamento anche del disegno di legge 1363 presentato al Senato.
Entrambi i documenti prendono atto che in Italia ci troviamo con un sistema costituito da scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie (legge 62/2000), ma senza che sia garantita la libertà di scelta educativa in un contesto di pluralismo scolastico, come invece impongono sia la Costituzione italiana (art. 30) che il diritto europeo (art. 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea).
Tutto questo nonostante le indagini internazionali «documentino come i sistemi con un più alto tasso di autonomia delle singole scuole, di pluralismo delle istituzioni formative e di libertà di scelta educativa permettano ai giovani di raggiungere migliori risultati individuali e collettivi e di realizzare una maggiore eguaglianza delle opportunità».
Ne consegue l’urgenza che Chiesa puntualizzi e Stato si faccia carico dei diritti della persona e della primaria responsabilità educativa della famiglia, per cui sia possibile educarsi ed essere educati secondo le legittime scelte dei genitori (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 26).
Purtroppo mentre nei Paesi europei è assicurata la frequenza delle scuole non statali a parità di condizioni economiche per le famiglie, «in Italia il costo della scuola paritaria è a carico delle stesse famiglie che la scelgono, sostenendone integralmente i costi nella scuola secondaria e al 70-80 per cento nelle scuole dell’infanzia e primaria». Questa condizione rappresenta un ostacolo insormontabile all’esercizio della libera scelta educativa, oltre che una grave discriminazione di quei cittadini meno abbienti che, pagate le tasse anche per il servizio scolastico, non sono in grado di pagare le rette aggiuntive di frequenza.
Per superare gli ostacoli che si frappongono all’equità sociale, sia i senatori, che hanno presentato il disegno di legge, che il Consiglio nazionale suggeriscono che «si dia compimento della legge 62/2000 sulla parità scolastica, con la previsione di misure economiche – senza oneri aggiuntivi per lo Stato, anzi, con un notevole risparmio – che garantiscano una effettiva libertà di scelta. La via maestra per assicurare un’effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero sistema nazionale di istruzione attraverso la definizione di una quota capitaria, ossia una determinata somma per ogni alunno frequentante la scuola. Presupposto di tale impostazione è la definizione del costo standard per allievo, cioè l’individuazione del costo ottimale per l’istruzione di ogni alunno» (Consiglio nazionale della scuola cattolica).
A sua volta il disegno di legge recita: «Le scuole paritarie che ne facciano richiesta stipulano con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca apposite convenzioni triennali rinnovabili, ai fini dell’erogazione dei contributi (…) L’assegnazione del contributo viene disposta direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (…) assegnando l’importo pari al costo standard studente, inteso come una quota capitaria che permette una scelta libera della scuola senza costi economici aggiuntivi per la famiglia» (6 sexies del Ddl 1363).
Come dire che il costo standard sostenibile per alunno è inteso come «la quota capitaria» che la Repubblica investe per garantire il «diritto inviolabile della persona all’istruzione»; investimento finanziario, che dovrà essere applicato anche nella gestione diretta delle scuole statali, attualmente soffocate dallo spreco. Con l’approvazione di questa proposta parlamentare la scelta della buona scuola pubblica – paritaria o statale – sarà finalmente libera anche per il povero e la Repubblica rimuoverà l’ostacolo, che impedisce a tutti i cittadini l’esercizio di un diritto inviolabile (art. 3 della Costituzione).
Attualmente «il sistema educativo di istruzione e formazione accoglie in Italia circa nove milioni di alunni: circa 7.800.000 nelle scuole statali, quasi un milione nelle scuole paritarie e circa 150.000 nei centri di formazione professionale accreditati. La valorizzazione del servizio pubblico di istruzione assicurato anche da soggetti diversi dallo Stato attuerebbe inoltre quel principio di sussidiarietà, presente nella nostra carta costituzionale, che rappresenta il punto di riferimento fondamentale per il passaggio dal Welfare State alla Welfare Society, sempre più necessario in tutto l’Occidente» (Consiglio nazionale della scuola cattolica ).
Questi princìpi di riferimento legittimano coerentemente che «le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap» (art.3) e che «ai docenti di scuole paritarie che passino, per effetto di statizzazione o di concorso, alle dipendenze dello Stato, sono applicabili, per quanto si riferisce al periodo di prova, le norme vigenti per i docenti dei ruoli statali. Agli stessi e ai presidi è riconosciuto utile, agli effetti della progressione di carriera, il servizio di ruolo prestato nelle scuole paritarie» (art. 4 ter del Ddl 1363).
Il costo standard inizialmente non sostituisce in toto le convenzioni tra scuole, Stato ed enti locali che si possono stipulare ai sensi dell’articolo 118, comma 2, della Costituzione; sulla base del principio di sussidiarietà per cui le istituzioni riconoscono il contributo assicurato dalle scuole «per lo svolgimento di attività di interesse generale».
Viene ribadito che «la scuola si impegna a rispettare e a mantenere i seguenti requisiti per la parità: rendendo pubblico il bilancio annuale; rendendo pubblici i curriculum vitae dei docenti; rendendo pubblico il piano dell’offerta formativa e il Piano di Miglioramento (PdM); favorendo i controlli da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca necessari per la verifica dei requisiti della parità e del corretto impiego dei contributi» (6-duodecies del Ddl 1363).
Dal confronto dei due testi emerge una sostanziale convergenza sui valori e sugli obiettivi che perseguono. Si propongono di superare la discriminazione tra i cittadini abbienti, che possono scegliere la scuola pubblica – statale o paritaria – che ritengono migliore per i figli, e i cittadini poveri (sì, anche gli assegnatari del reddito di cittadinanza, perché no?) che non possono esercitare il loro diritto educativo. Non è in discussione, per ogni cittadino e per ogni essere umano in generale, il diretto riferimento alla propria libertà di pensiero e di parola e al principio che «la scienza e l’arte sono libere e libero ne è l’insegnamento» in famiglia, nella scuola e nella società. Maggior equità sociale e imprescindibile libertà di scelta in educazione devono superare la gelosa autoreferenza corporativa che blocca ogni tentativo di riforma, per innescare un reale miglioramento dell’intero sistema scolastico, dove la qualità dell’offerta non sia solo flatus vocis, ma percepita e condivisa dai cittadini e dalla comunità intera.
Fonte: Giuseppe RICHIEDEI | Tempi.it