Nell’estate 2000 colpirono una religiosa con 19 coltellate. Ambra, Milena e Veronica erano minorenni. Ora sono libere, protette da identità nuove e ormai lontanissime dai luoghi della tragedia: sposate, hanno avuto figli e hanno studiato all’università
L’unico pentimento fu quello d’aver deturpato il rituale. D’aver affondato nel corpo esile di suor Maria Laura Mainetti diciannove coltellate. Una in più di quanto prevedeva il piano di morte. Lei agonizzava («Aiuto, lasciatemi, non voglio denunciarvi»); loro urlavano («Crepa, crepa e basta»). Dovevano essere diciotto, i colpi di lama. Sei a testa. Sei-sei-sei: il Numero della Bestia. Sei coltellate da Milena De Giambattista, sei coltellate da Ambra Gianasso, sei coltellate da Veronica Pietrobelli. Le amiche assassine di Chiavenna. Le «ragazze di Satana». Che oggi non esistono più: nella misura in cui si sono sposate, hanno avuto figli, hanno studiato all’università, si sono trasferite fra Torino, Veneto e Roma; soprattutto, hanno cambiato identità. Un altro nome, un altro cognome. E la pena per il delitto scontata. Da tempo.
Le assassine, figlie della noia
Un percorso detentivo breve, hanno protestato in tanti, non solo i forcaioli. Ma la giustizia ha deciso. Il resto è stato una conseguenza di indulti e buone condotte in galera, di una grande attenzione per l’età (qualcun altro aggiunge anche per la nazionalità), di impegno di assistenti sociali e polizia penitenziaria e direttori di prigioni, di bravi avvocati, bravi e premurosi, e di un’opinione pubblica che presto ha scordato il caso. «Sarà un negro, sarà un forestiero», ripetevano i compaesani nelle prime ore, augurandosi quello scenario per scacciare la paura d’aver generato i colpevoli. Erano invece tutte figlie del posto, le assassine presto rintracciate dai carabinieri, figlie di quella noia, hanno ripetuto negli interrogatori le stesse Milena, Ambra e Veronica, dell’oziare la sera ai tavolini del pub che tanto non c’era nient’altro da combinare, le solite facce, i soliti discorsi, la “solita palla”.
La vittima, una donna amata dalla comunità
Sono libere. E se ne stanno lontanissime da allora, le 22 del 6 giugno 2000, il ciottolato di un vicolo vicino al parco delle marmitte giganti, fuori dal paese di settemila abitanti in provincia di Sondrio che si trovò al centro del mondo, un parco di pietre levigate e mulattiere, di castagni e ciliegi, di orizzonti chiusi dalle montagne. Decine di macchie di sangue su quei ciottoli, nel buio della natura, intorno al corpo di una donna amata dalla comunità, orfana da neonata della mamma, Marcellina, che si spense dopo aver partorito quella decima figlia il 20 agosto 1939 a Colico, sul lago di Como, e aver scelto per lei il nome di Teresina. Divorzio e cresima
Rinunciarono a uccidere il prete: troppo corpulento
Dovevano dunque essere diciotto, i colpi di lama. E inferti contro non suor Maria Laura bensì monsignor Ambrogio Balatti, all’epoca prete di paese, dapprima scelto dalle ragazze di Satana come vittima e poi abbandonato perché corpulento, più faticoso da uccidere. Meglio, molto meglio suor Maria Laura, incoraggiata al percorso per il prossimo da un sacerdote durante una confessione quand’era ragazzina («Teresina, della tua vita devi fare una cosa bella per gli altri», ed entrata nella Congregazione delle Figlie della croce a diciotto anni, uno in più di quanti ne avevano Ambra e Veronica, e due in più di Milena. Inutile insistere, con monsignor Balatti. Parla da uomo di Dio, ricorda il sacrificio di suor Maria Laura e l’orrore delle ragazze unitamente al loro percorso di recupero; le conosceva, «anche se non bene», e a loro collega un dettaglio di qualche anno prima, forse inutile, forse illusorio: il viso triste di una delle tre, gli occhi bassi, lo sguardo assente, nelle prove che precedevano la cresima. «I suoi si stavano separando, continui litigi e la figlia nel mezzo, costretta a scegliere l’una o l’altro, a tifare apertamente per la mamma o il papà» dice monsignor Balatti.
Le canzoni di Marilyn Manson ascoltate insieme
Certo non può bastare, e certo non spiega la degenerazione di un’amicizia verso Satana, le canzoni di Marilyn Manson ascoltate insieme a palla, i giuramenti di sangue, infine la scelta dell’uccisione di un religioso, uno a caso, uomo o donna era uguale, un tributo sempre a lui, sempre a Satana, un’adesione fisica, un sacrificio ineluttabile per vincolarsi nell’eternità ed essere sue testimoni, sue sentinelle, sue guerriere nel mondo terreno aspirando a un ingresso trionfale, un domani, nell’inferno.
L’amante santone, ispiratore dell’agguato
In verità la pista di un rito demoniaco, nell’iniziale fase investigativa, rimase defilata. S’inseguì piuttosto quella di un santone, un adulto sposato, con figli e amante di una delle ragazze, e ispiratore morale dell’agguato. Macché. Tre uniche responsabili. Mandanti di se stesse. Vergarono scritte sataniche sulla scena del crimine, e analoghe scritte, unitamente a scarabocchi, furono trovate nelle abitazioni, frasi e disegni inneggianti a Satana nascosti in camere da letto colorate e spaziose dove i genitori non avevano più accesso, ma è un passaggio tipico dell’adolescenza, non era il caso di preoccuparsi. Però non fecero caso nemmeno ai tagli diffusi sulle braccia di Milena, Ambra e Veronica, che si incidevano con bisturi usa e getta, osservavano il sangue uscire e scivolare, lo leccavano e chissà cos’altro ancora.
Maria Laura Mainetti fu uccisa a Chiavenna il 6 giugno del 2000: apparteneva alla congregazioone Figlie della Croce, Suore di Sant’Andrea. Fu assassinata da tre minorenni in un viottolo (foto Diletto/Ipa)
La trappola: «Sono incinta e mi serve aiuto»
Fu Ambra a innescare la trappola per suor Maria Laura. Telefonò al convitto “Immacolata”, chiese appositamente di lei e lei rispose, Ambra disse di chiamarsi Erica, aggiunse che aveva un problema enorme, quello d’essere incinta, e aveva bisogno d’un aiuto. Erano le 22, tardi, assai tardi da quelle parti di lavoratori e di risvegli all’alba, ma suor Maria Laura non rinviò né prese scuse, uscì immediatamente per incontrare Ambra/Erica, e subito una mattonella le piombò sul capo, per stordirla e lasciar spazio al coltello, passato di mano in mano e affondato ovunque. Non ci si improvvisa mai assassini. Le ragazze, è vero, realizzarono numerosi appostamenti in quel vicolo, nei mesi antecedenti giugno, proprio in previsione del delitto. Erano convinte che la sera inoltrata le avrebbe protette. Ma camminarono comunque in paese, qualcuno vide, registrò il dato e lo comunicò agli investigatori. Era Ambra, quella dominante nel terzetto; le complici esitavano e Ambra esortò e incitò («Datemi una mano, questa non muore più»); Ambra alta e bella; Ambra che col passato ha chiuso, l’avvocato le ha domandato se le andava di parlare e ha risposto che no, non c’è nulla da dire, che mi lascino in pace e scrivano d’altro. Il capitolo è chiuso.
Milena e la convinzione di espiare una pena
Di una ragazza, Milena, anche di recente don Antonio Mazzi, che l’ha avuta affidata nella sua comunità per tossici, ha elogiato la piena consapevolezza di quanto commesso e l’energica convinzione di espiare la pena e rinascere. Un’altra, Veronica, è stata ospitata in una comunità romana divenendo una figura fondamentale nella gestione del nido di quella struttura. Dolce e responsabile, con i piccoli. L’abbiamo detto: non esistono più. Non sono quelle che sono state. Sono quasi quarantenni. Hanno messo su famiglia. Non l’hanno mai più rivista, Chiavenna. Almeno non ufficialmente. Forse sanno o forse ignorano che ancora non s’è concluso il processo di beatificazione di suor Maria Laura. E che la Fondazione intitolata alla religiosa, pur nell’esiguità degli spazi e delle difficoltà di reperire finanziamenti, fa anche questo: combattere il disagio giovanile. La prevalenza delle richieste di aiuto arriva da ragazze straniere. Ragazze madri. Ragazze orfane. Ragazze spaesate nella dura provincia del Nord Italia, uno storico bacino di vocazioni che soffre pesantemente la crisi di preti e suore, che accorpa parrocchie, che tra valli e montagne diffonde con sempre minor frequenza la parola di Dio.
Fonte: Andrea GALLI | Corriere.it