Pubblichiamo il saluto d’inizio anno agli studenti pronunciato dal rettore del Liceo Don Gnocchi di Carate Brianza.
Esser ragazzi, oggi, non è una cosa facile, non è aver vita facile. Sapete perché? Perché in tanti, in troppi, da ogni tribuna e canale vi raccontano tante storie su questo mondo e su quelle che sarebbero le vostre “esigenze” – che il più delle volte non corrispondono alla realtà dei fatti. Quasi mai, a dire il vero. Soprattutto non corrispondono all’esperienza, anche soltanto avvertita, iniziale, che voi fate in prima persona della vita, della bellezza della vita, della ricchezza dell’essere che incontrate, a cominciare dalla famiglia e dagli amici. E quelli che vi raccontano certe storie – per esempio che “sballare” (non solo al sabato sera) è normale, che studiare è inutile e noioso (e per questo occorre sfogarsi, scatenarsi), che “sentirsi” maschio o femmina è soggettivo (e non c’entra col nostro corpo), che la tecnologia è onnipotente (e dobbiamo servirla), che siamo tutti colpevoli del global warming e che l’anidride carbonica è la nostra “nemica”, che suicidarsi è un atto indifferente se non necessario, sul credersi in potere di fare qualunque cosa, ecc. –; quei “narratori” lo fanno o per approfittarsi di voi (ma anche di noi tutti) oppure per stordirvi, cioè distogliervi da voi stessi, distrarvi dal lavoro che ciascuno ha il compito di fare per pensare, crescere, maturare, migliorare, insomma per imparare a vivere, in questo nostro tempo così complicato, da uomini. A testa alta e coi piedi per terra.
In questo senso, i messaggi negativi e contrastanti che ci arrivano sono sempre più massicci, quasi un bombardamento, a cui siamo noi stessi ad aprire le porte: attraverso gli occhi e le mani li facciamo entrare nell’anima coi nostri smartphones – sempre accesi, che mai pensiamo di spegnere.
Una vita così non è né bella né buona, perché ci sono tolti la calma di goderci quel che ci è dato, la libertà e il gusto di scoprire il mondo, la volontà di allargare gli orizzonti del mondo, l’energia di continuare da grandi a fare quell’esperienza entusiasmante che facevamo da piccoli, quando, con l’aiuto dei genitori o dei nonni o della maestra, ogni giorno, anzi, ogni istante ci vedeva curiosi, sospinti a conoscere qualcosa che ignoravamo, proiettati a guardare e a far nostre cose nuove fuori di noi, davanti a noi.
Vorrei che rifletteste per un momento sul nostro esistere e su quello che l’esistere suggerisce.
La persona prima non esisteva: perciò quello che la costituisce è un dato, un prodotto d’altro. Questa situazione originale si ripete a ogni livello dello sviluppo della persona. Ciò che provoca la mia crescita non coincide con me, è altro da me. Concretamente, esperienza è vivere ciò che mi fa crescere.
L’esperienza realizza quindi l’incremento della persona – il suo diventar più grande, più capace, più intelligente, più solido – attraverso la valorizzazione di un rapporto obiettivo. Cioè con un altro essere umano grande, capace, intelligente, certo, che mi aiuti a essere sempre più me stesso. A scuola, uno così di solito è un adulto che insegna, e che perciò – meglio che non “professore” – chiamiamo maestro. È colui che ha a cuore proprio la nostra autentica esperienza, nel senso che diamo a questa parola – ossia tale che immerge nel ritmo del reale, mette in moto e incrementa la nostra capacità di aderire alle cose, la nostra capacità di amare.
[Ciò vi dico perché io stesso l’ho imparato da un altro e non ho smesso di pensarci sopra].
Considerate solo questo: quel che da bambini vi capitava di scoprire per istinto, quasi senz’accorgervene, oggi che siete adolescenti potete farlo cento, mille volte di più, perché siete nell’età della ragione e della coscienza. Mi spiego.
Coscienza: voi siete nella fase della vita in cui più potentemente vi rendete conto che la realtà – le cose, la natura, le persone, le parole, gli affetti, i pensieri… – c’entra con voi, vi riguarda da vicino; e che avete un io, un cuore, che vi fa sensibili alle cose grandi.
Ragione: perciò, forse per la prima volta da quando siete nati, volete rendervi conto di come stanno le cose, si tratti del funzionamento di un motore o del moto delle stelle o del senso di un’azione, o del vostro stesso esistere. Volete, in breve, darvi ragione delle cose, e non vi accontentate – giustamente! – delle spiegazioni sbrigative, non vi bastano le ricette facili – quelle ricche di condimento e povere di sostanza. Ecco, vi trovate nella condizione unica d’intuire, di sospettare, d’immaginare che il mondo si può capire, ma che, nel contempo, per arrivare alla polpa, all’osso delle questioni che davvero contano, ci vuole lavoro – esercizio, allenamento, pazienza –, che non è mai pura ripetizione di formule o di gesti: è il lavoro della vostra ragione, appunto, insieme con la vostra decisione e disponibilità. Del resto, la vera esperienza ci immerge nel ritmo del reale, e ci porta irresistibilmente a unificare tutti gli aspetti della vita, fino all’ultimo aspetto delle cose, cioè fino al significato vero di una cosa.
La scuola, come dev’essere, è un luogo che si prende cura della vostra coscienza e della ragione, ma non per manipolarle! Si preoccupa invece di aumentarle, cioè di far crescere la vostra persona intera, così che nel tempo possiate scoprirvi di più voi stessi. È un luogo nel quale gli adulti che ci insegnano – i maestri – non hanno la pretesa di detenere, di possedere, la verità di tutto, e però per primi sono tesi a comprendere quella stessa verità che cercate. E così, con gli strumenti delle discipline che professano, vi aiutano a sviluppare la curiosità, la voglia d’indagine, la capacità critica di ogni studente – cioè il pensiero, l’intelligenza di ciascuno di voi, nessuno escluso. Da questo si capisce che una scuola così è attraente e interessante: che i contenuti che si presentano, i problemi che si trattano, i fatti e le idee che si giudicano sono cose vere – non favole o finzioni – e sono cose serie – non assenti dalla vita, anzi, mettono a rischio per prima la nostra vita di adulti.
Ciò che fa tale un uomo è il suo desiderio di capire, di conoscere, di amare, non già quello di sapere – tanto meno di sapere già. La verità esiste, ed è dentro le cose e le circostanze. Ma per riconoscerla bisogna cercarla, ciascuno in prima persona, e però non da soli: se si fa da soli c’è il pericolo di sbagliarsi o di perder tempo o di scoraggiarsi. In questa vostra ricerca il maestro è invece un potenziale amico: è un punto di saldezza e, insieme, di affidamento, senza con ciò imporsi a ogni costo, ma indicando la strada e correggendo gli errori, pronto a rispondere e valorizzare le vostre domande e i vostri apporti. L’uomo autentico non è l’uomo che sa, bensì l’uomo che cerca, chiede, scopre e gusta la verità. A forza di dubbi e di presunzione non s’impara nulla di vero, la tua persona non cresce, e non si va da nessuna parte. Anche questo, al principio dell’avventura di un anno, è un avvertimento da tenere a mente – per non finire nel precipizio come Icaro o, come Ulisse, nell’abisso.
Quel che vi sto descrivendo è uno stile, un clima, un ambiente di vita e di lavoro in cui è possibile si realizzi quella speranza di bellezza e di bene che avete nel cuore; quel che vi dico, che insieme c’impegniamo a dirvi, è la promessa che ciò avverrà, perché già avviene, è già presente ora. Ma perché la promessa si compia, perché l’attesa sia soddisfatta, ci vuole la vostra persona, c’è bisogno di voi: il vostro essere disponibili a una ricerca fiduciosa e a un lavoro guidato per verificare quel che ci stiamo dicendo, e per scoprire, giorno dopo giorno, che non ci stiamo illudendo, che non ci stiamo ingannando, ma che studiare così ha un senso, è vero, ci rende più contenti. Perché ci cambierà, si dilaterà, si approfondirà l’immagine del mondo. È in questa verifica che si dimostra l’umana libertà: perché avvertire e riconoscere la corrispondenza esaltante tra il mistero presente e il proprio dinamismo d’uomo avvengono soltanto nella misura in cui con gioia accettiamo la nostra fondamentale dipendenza, il nostro essenziale essere fatti, in cui consiste la semplicità, la “purità di cuore”, la “povertà dello spirito”.
Vi auguro, dunque, di esser certi di un rapporto umano, scevri da pregiudizi, aperti a ciò che accade, umili nell’apprendere, intelligenti nel giudizio, per essere davvero liberi. “Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”.
Fonte: Luca Montecchi | Tempi.it