Paolo Petralia: «Non siamo qui a dire che ora la guariremo, non sempre si può guarire, ma sempre si può prendersi cura e curare»
«Tafida non è costretta a morire. L’Alta Corte inglese con questa sentenza ci mette in condizione di fare ora la cosa più normale del mondo, esaudire il desiderio di due genitori di trasferire la figlia al Gaslini, per garantire la migliore possibile qualità della vita che possiamo dare a Tafida». Paolo Petralia, direttore generale dell’ospedale pediatrico genovese, commenta in perfetto stile Gaslini, sobrio e strettamente scientifico, la decisione del giudice londinese.
Possiamo ritenerla una decisione storica?
Certamente una decisione che afferma come la centralità della dignità in ogni momento della vita debba essere sempre garantita. Questo è un giorno di gioia per molti: per quei genitori, per noi medici, per tante altre famiglie che ora possono sperare per i loro figli. Si è creato un precedente importante.
Proprio i medici del Gaslini hanno visitato la piccola, dunque è su base scientifica che avete deciso di poter accogliere la richiesta della famiglia.
Noi diciamo sempre che il prendersi cura precede le cure e ne moltiplica gli effetti: intendo dire che l’accudimento è in grado di potenziare gli effetti benefici delle cure sanitarie in senso stretto, questa è un’evidenza scientifica, è indiscutibile. Dopo aver ricevuto la richiesta della famiglia Raqeeb di accogliere da noi Tafida, abbiamo subito interloquito con i colleghi inglesi, prima a di- stanza per telefono, poi abbiamo consultato la documentazione clinica e le immagini dando il nostro parere, infine i nostri medici si sono recati a Londra a visitare Tafida, alla presenza dei colleghi britannici. Contemporaneamente la madre, l’avvocato Shelina Begum, è venuta più volte al Gaslini e abbiamo creato una relazione con la famiglia. Non siamo qui a dire “ora la guariamo noi”, non è questo il senso, ma come ho appena scritto in un tweet ripreso anche dalla Pontificia Accademia per la Vita, non sempre si può guarire, ma sempre si può prendersi cura, e poi curare.
Adesso cosa succederà? Come procederete?
Dobbiamo attendere. Se, come pare, i medici del Royal London Hospital non faranno ricorso, ora si tratterà di organizzare il trasferimento in piena sicurezza, in aereo-ambulanza con la nostra équipe a bordo, e questo possiamo già garantirlo, in qualunque momento. Tutti auspichiamo che questa terribile vicenda giudiziaria sia finita qui. Noi siamo prontissimi.
A fine agosto abbiamo incontrato la mamma di Tafida qui al Gaslini. Fissava il mare determinata, giurando che avrebbe combattuto e avrebbe vinto contro chi voleva condannare a morte sua figlia. La sua disperazione svaniva solo a contatto con i vostri medici: oggi l’avete chiamata?
L’ho solo vista in diretta nei collegamenti tivù dall’esterno del Tribunale. Sempre in stile Gaslini, lei ha i recapiti, noi siamo a disposizione. Come per tutte le mamme di qualsiasi piccolo paziente.
Qualora Tafida arrivi al vostro ospedale, dove verrebbe ricoverata? Alla madre avevate mostrato i vari padiglioni e le diverse possibilità, compreso il “Guscio dei Bimbi”, luogo d’eccellenza per l’accudimento e poi eventualmente il passaggio alle cure domiciliari.
Questo dipende dallo stato in cui Tafida sarà al suo arrivo qui. Potrebbe andare in rianimazione, in terapia intensiva, al “Guscio”, o passare dall’uno all’altro reparto, magari poi al domicilio. A seconda di come la troveremo, le daremo il livello di cure più appropriato al suo bisogno.
Nel senso che potrebbe nel frattempo essere peggiorata a causa dei mesi perduti nella battaglia legale?
Nel senso che questi livelli assistenziali variano sempre, è assolutamente normale: arrivi che sei al livello uno, passi al livello due e così avanti, è un percorso, avviene per tutti, e le cure via via si adeguano ai diversi stati di bisogno. Dalla visita collegiale che abbiamo eseguito in agosto, abbiamo soprattutto atteso le valutazioni giuridiche, non più quelle cliniche. Ora potremo garantire a questa bambina tutti i diritti alla dignità e all’accudimento che qualsiasi paziente ha, e che a lei erano stati incredibilmente negati.
Fonte: Lucia BELLASPIGA | Avvenire.it