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EVOLUZIONE/ 1. L’“errore” di Darwin sull’albero della vita

Darwin è stato il geniale scopritore di una modalità evoluzionistica della vita sulla terra. Ma molte cose non poteva saperle

Charles Darwin è stato il geniale scopritore di una modalità evoluzionistica della vita sulla terra. Dico di una modalità evoluzionistica e non “dell’evoluzione”, sia perché molti studiosi prima di lui avevano valutato e studiato il fenomeno dandone varie interpretazioni, sia perché dopo di lui le conoscenze si sono approfondite e le spiegazioni sono diventate meno semplici per una singola teoria. È stata creata la genetica, sono state analizzate con la biochimica le complessità della vita che non possono essere ridotte a singoli fenomeni semplici e discreti. Darwin diceva che le specie si trasformavano per poter sopravvivere: arriva un terremoto, un’inondazione e solo chi sa correre rapidamente o chi sa nuotare vive. Ok, ma cosa questa teoria ci dice sui cambiamenti che non portano a migliori possibilità di sopravvivere o di riprodursi? Ben poco. Perché nel corso dei secoli i denti molari dell’uomo si sono ridotti di dimensioni, così come le dita dei piedi? Certo non per sopravvivere e riprodursi meglio. Vedremo nel corso di questa rassegna vari esempi che la teoria di Darwin non riesce a spiegare e delle possibili spiegazioni alternative, asseverate da esperimenti scientifici validati e consacrati dalla comunità scientifica. Darwin aveva torto? Certamente no! Ma come tutte le opere della scienza richiede revisioni e miglioramenti.

Fine del dogma della trasmissione verticale del genoma – Dalla fine degli anni 70, due grandi scoperte hanno lanciato nuova luce su cosa siamo noi umani e su come si è evoluta la vita sul nostro pianeta.

La prima coinvolge un’intera categoria di esseri viventi, precedentemente ignota e ora conosciuta come archaea (sembrano batteri al microscopio, ma il loro Dna rivela che sono sorprendentemente diversi da essi). La seconda è un modo di trasmissione ereditaria dei caratteri genetici direttamente tra soggetti di specie diversa che si chiama trasferimento genico orizzontale (Tgo), mentre si riteneva che il Dna dovesse trasmettersi solo verticalmente, dai genitori alla prole.

La scoperta degli archei ha dato forza ai sostenitori del fenomeno dell’ibridismo, che Darwin non poteva conoscere perché ai tempi si pensava che la vita si trasmettesse per via verticale, cioè da cellula-madre a cellula-figlia, selezionando (facendo scomparire) quelle meno adatte o adattabili. Oggi una delle ipotesi più accreditate è che le cellule eucariote, cioè le cellule degli animali, siano state originate non da una selezione naturale, ma dalla fusione di un archeon e un batterio, pronto a diventare elemento integrante della nuova cellula tramite il processo detto di endosimbiosi. La scoperta del Tgo, come vedremo nella seconda puntata, ha messo in dubbio il tradizionale in cui una creatura è collegata ad un’altra: sembra proprio che pezzi dei genomi di tutti i tipi di animali, inclusi noi, siano stati acquisiti mediante trasferimento orizzontale da batteri o da altre specie; ma di Tgo ce ne occuperemo tra un po’.

Ma vediamo qui di capire meglio dove ci porta il fenomeno dell’endosimbiosi.

Lynn Sagan Margulis era un’assistente professoressa di 29 anni di Chicago quando ha portato nuova attenzione e credibilità a una strana vecchia idea sulla forma dell’albero della vita. Presentò il suo studio nel marzo 1967 con un lungo articolo pubblicato sul Journal of Theoretical Biology e intitolato “Sull’origine delle cellule mitotiche”. Questo articolo radicale, sorprendente e ambizioso, propose di riscrivere due miliardi di anni di storia evolutiva. Presentava una serie di prove a sostegno della strana congettura che esistano “parti viventi di altre forme di vita” e che si integrano in esse e svolgono funzioni all’interno delle nostre stesse cellule. Adottando un termine precedente, la Margulis chiamò quell’idea endosimbiosi. Era la prima versione riconosciuta del trasferimento genico orizzontale. In questi casi, i genomi rari ma consequenziali di interi organismi viventi – non solo singoli geni o piccoli gruppi – erano andati lateralmente ed erano stati catturati all’interno di altri organismi.

“Questo documento presenta una teoria”, ha scritto Lynn Sagan Margulis, che “la cellula eucariotica è il risultato dell’evoluzione di antiche simbiosi”. Le creature a cellula singola erano entrate in altre creature a cellula singola, come il cibo nello stomaco o simili infezioni all’interno degli ospiti, e per caso e interessi sovrapposti, almeno alcuni di questi accoppiamenti avevano raggiunto una compatibilità duratura. Alla fine sono diventati più che partner. I microbi interiorizzati, sosteneva, si erano evoluti in organelli – componenti funzionanti di un nuovo insieme composito, come il fegato o la milza all’interno di un essere umano – con nomi fantasiosi e funzioni distinte: mitocondri, cloroplasti, centrioli. Erano elementi funzionali di un singolo nuovo essere. Un nuovo tipo di cellula. Alla fine la scienza emergente della filogenetica molecolare ha confermato la maggior parte della sua teoria dell’endosimbiosi (mitocondri e cloroplasti come batteri catturati).

I mitocondri, organuli delle cellule eucariotiche, si originarono come organismi procarioti esterni, introdottisi nella cellula come endosimbionti, circa 1,5 miliardi di anni fa. I mitocondri si sarebbero sviluppati da proteobacteria. Prove del fatto che mitocondri si originarono da antiche endosimbiosi di batteri è ad esempio il fatto che i mitocondri contengono Dna diverso da quello del nucleo cellulare e simile a quello dei bacteria; si nota la presenza di un Dna circolare a doppia elica e la presenza di ribosomi propri e di una doppia membrana. Come i batteri, i mitocondri non hanno istoni ed i loro ribosomi sono sensibili ad alcuni antibiotici (come il cloramfenicolo). In più i mitocondri sono organelli semiautonomi in quanto replicano, per scissione binaria, autonomamente rispetto alla cellula.

Eccoci allora all’alba della vita sulla terra: a quanto pare, le prime vie evolutive non furono solo dovute alla scomparsa dei meno adatti dopo mutazioni casuali del Dna, ma a ingresso – non mutazione – di Dna nelle cellule dall’esterno, sotto forma di archea o di batteri che venivano assimilati e questa assimilazione veniva resa stabile e ereditaria. Dunque si apre lo scenario che l’evoluzione della vita non sia stata dovuta solo a competizione, ma anche a collaborazione tra le specie.

Fonte: Carlo BELLIENI | IlSussidiario.net

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