CITTÀ DEL VATICANO Alle pareti del salottino, nei suoi uffici del Dicastero vaticano, si vedono la foto di Francesco e i ritratti di Pio XI e Pio XII. «Nel mio libro parlo di “ateismo liquido”: si infiltra in tutto, anche nei discorsi ecclesiastici». Il cardinale Robert Sarah, 74 anni, africano della Guinea, parla piano, l’aria ieratica. «Sant’Ireneo ha detto che Dio si è fatto uomo affinché l’uomo potesse diventare Dio», sorride. Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il cardinale ha appena pubblicato in Italia il libro «Si fa sera e il giorno ormai volge al declino» (Edizioni Cantagalli, pp. 400, euro 24,90), un colloquio con il saggista Nicolas Diat che dalla Francia agli Usa ha creato nei mesi scorsi un grande dibattito soprattutto nella fronda a Bergoglio.
Arcivescovo a 34 anni
Punto di riferimento dei conservatori dentro e fuori la Curia, nominato arcivescovo a soli 34 anni da Giovanni Paolo II e assai vicino a Benedetto XVI, Sarah ha idee molto chiare e nette ma pone limiti altrettanto precisi, con buona pace della «galassia» ultraconservatrice in odore di scisma: «Chi è contro il Papa è ipso facto fuori dalla Chiesa. La Provvidenza ci vede benissimo, sa?». Nel rispondere alla domande del Corriere, parla di «apostasia silenziosa» e di «notte oscura» nella Chiesa, di «sacerdoti, vescovi e persino cardinali infedeli che mancano di portare la verità di Cristo», dice che la Chiesa dovrebbe parlare anzitutto di Dio e non dei migranti perché non è una Ong e «una Chiesa così non interessa a nessuno» e dispiega gli argomenti degli oppositori al Sinodo sull’Amazzonia appena iniziato: «Temo che alcuni occidentali stiano confiscando questa assemblea per far avanzare i loro piani. Penso in particolare all’ordinazione degli uomini sposati, alla creazione di ministeri femminili o alla giurisdizione dei laici. Questi punti toccano la struttura della Chiesa universale. Approfittare per introdurre piani ideologici sarebbe una manipolazione indegna, un inganno disonesto, un insulto a Dio che guida la sua Chiesa e le affida il suo piano di salvezza».
Eminenza, aveva dedicato il suo ultimo libro al silenzio. Adesso scrive, proprio all’inizio: «Ma ora non posso più tacere». Come se ci fosse stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Che cosa l’ha spinta a scrivere ancora?
«La mia non è ovviamente una reazione d’impulso, perciò non esiste una ragione particolare scatenante. Questo libro è il frutto di una riflessione che, per quanto mi riguarda, va avanti da molto tempo: non si tratta di un trattato accademico, esprime il mio grido di pastore partendo dall’analisi dei tempi che stiamo vivendo. Dunque non posso più tacere – ma oserei dire: non possiamo –, perché quello che vedo accadere nella realtà è grave: viviamo una crisi spirituale fortissima. Siamo di fronte a una apostasia silenziosa. Essa riguarda il mondo intero, ma ha la sua origine principalmente in Europa. E nasce dal rifiuto di Dio, rifiuto che è ormai incistato nella coscienza occidentale. Perché oggi è l’uomo che si è sostituito a Dio. Si rifiuta il Padre e si rifiuta Dio, perché non si ammette di poter dipendere da qualcuno. Ognuno vuole auto-determinarsi, nella vita, nella morte, nella sessualità, fino a modificare la natura sulla base delle proprie idee. È qualcosa di mai accaduto e di perverso. Questa non è il desiderio dell’uomo di fare sempre nuove scoperte, di progredire, di utilizzare in profondità e per il bene tutte le facoltà cognitive e intellettive che egli ha ricevuto in dono. Qui siamo molto oltre anche il superomismo di Nietzsche. Si tratta oggi di una barbarie che viviamo dall’interno, non come i Romani del IV secolo che la vissero da nemici esterni. Vi invito a rileggere un libro del 1978 del filosofo John Senior , La morte della cultura cristiana. Io qui voglio suscitare un grido di allarme, che è anche un grido d’amore per l’uomo. Torniamo in noi, torniamo al reale. L’uomo civilizzato è orgoglioso di essere un erede!».
Molti hanno letto o leggeranno il suo libro in contrapposizione al pontificato attuale. D’altra parte il testo è dedicato sia a Benedetto XVI sia a Francesco, «figlio fedele di Sant’Ignazio». Dove sta la verità?
«La verità è che tanti scrivono non per testimoniare la verità, ma per opporre le persone le une contro le altre, per danneggiare i rapporti umani. A costoro non importa la verità. La verità è che coloro che mi oppongono al Santo Padre non possono presentare una sola mia parola, una sola mia frase o una sola mia attitudine a sostegno delle loro affermazioni assurde, direi diaboliche. Il Diavolo divide, oppone la gente, l’una contro le altre. La verità è che la Chiesa è rappresentata sulla terra dal Vicario di Cristo, cioè il Papa. E chi è contro il Papa è ipso facto fuori dalla Chiesa. Capisco che la società umana – e il mondo intellettuale in particolare – abbia bisogno di contrapposizioni per definire le posizioni in campo, quasi che non avesse altri termini di comprensione se non l’alternativa tra un “noi” e un “loro”. Cosa che mi pare un errore grossolano, per non dire diabolico. Ma la storia della Chiesa, con buona pace del demonio che vuole dividerla, è una storia lunga, di difficoltà certo, di divisioni anche, ma sempre tesa alla ricerca dell’unità in Cristo, pur nel rispetto delle differenze: è una storia che si basa sulla fede in un Dio che si è fatto uomo per condividere con ciascuno il cammino della vita e il peso delle sofferenze. Le altre sono speculazioni assurde. Aggiungo che ogni Papa è “giusto” per il suo tempo, la provvidenza ci vede benissimo, sa? La domanda è: quello che lei e io abbiamo ricevuto dai nostri padri è ancora valido per i nostri figli? E se sì, come fare perché essi se ne riapproprino nella loro esperienza? È la verità di queste evidenze che siamo chiamati a riscoprire, sia con le impareggiabili analisi di pensiero di Benedetto sia con la grande e solare operosità di Francesco. Nella ovvia differenza delle sensibilità, c’è una grande sintonia e una grande continuità tra loro, come tutti hanno potuto vedere in questi anni. Bisogna sempre interpretare le parole di Papa Francesco con l’ermeneutica della continuità. Così come vi era tra Giovanni Paolo II e Paolo VI. La storia della Chiesa è bellissima e ridurla al macchiettismo politico tipico dei talk show televisivi è una operazione di marketing, non una via di ricerca della verità».
Quando è cominciata la «notte oscura» della Chiesa? E perché è successo?
«Trovare un preciso termine a quo non è mai facile e nemmeno corretto. Ognuno avrà qualcosa da ridire e troverà il modo di spostare in avanti o indietro la data più gradita, anche a seconda delle letture “politiche” che se ne fanno. Mi pare però che i recenti Appunti di Benedetto XVI circoscrivano bene il problema: non è una lettura del ’68 o della pedofilia, come è stato erroneamente e falsamente scritto. Quello è un testo sulla crisi della fede che stiamo vivendo. Certamente possiamo dire che l’Illuminismo prima, e il ’68 poi, hanno accentuato e spinto il processo, ma ecco non mi fermerei a questo. La notte oscura inizia prima di tutto nell’anima dell’uomo, nella sua sfrenata ricerca di creare oggi un “umanesimo senza Dio”, nel quale dio sia l’uomo stesso, con le sue facoltà, il potere della scienza, le luci della tecnologia, le ricchezze di un’economia sempre più globalizzata e disumana. È la tentazione del Padrone del mondo, per citare un libro di Robert H. Benson caro al Papa Francesco, che si è impadronito della nostra coscienza. Addirittura tornano gli accenti millenaristici: “Sbrighiamoci, perché o salveremo il mondo noi o noi saremo gli ultimi abitanti della terra!”, si sente dire, anche dentro la Chiesa e tra sacerdoti che si sono fatti ingannare da pifferai che promettono soluzioni infallibili per propri interessi personali. È un’isteria incontrollata. Una volta che ci avventuriamo su queste strade, a che serve lo scandalo della Croce, a che serve testimoniare Gesù Cristo? Ricordiamoci di quali nefandezze sono state protagoniste le ideologie totalitarie del recente passato che promettevano il paradiso in terra per i propri seguaci. Una società ispirata dal Vangelo protegge i più deboli dalle conseguenze del peccato. Al contrario, una società tagliata fuori da Dio diventa rapidamente una dittatura e una struttura di peccato. Come si legge nel Vangelo di Giovanni: “In lui era la via e la vita era la luce degli uomini, la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo… eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,4-5. 9-11)».
Ricorre il suo timore per la dottrina messa in dubbio o annacquata. Ma non c’è il rischio di una lettura troppo rigida? Non è naturale che ci si interroghi sulla dottrina? Che la comprensione del Vangelo possa evolvere nel tempo?
«Se per comprensione intendiamo una interpretazione che cambia continuamente per adeguarsi ai tempi le rispondo: no. Il Vangelo è quello, e così la parola di Dio. Essi valgono sempre e per sempre, perché trascendono la storia e la vita terrena degli uomini. L’epistola agli Ebrei dice: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per secoli. Non siate fuorviati da dottrine diverse ed estranee. La Parola e la Dottrina di Gesù non cambiano” (Eb 13:8). “Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Is 40, 8). “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35; Mc 13,31; Lc 21, 33). La Chiesa o è profetica o non è Chiesa. Essa sta davanti alle fragilità dell’uomo, non per assecondarle, ma per accompagnare l’uomo nel suo cammino alla felicità, che passa anche per la Croce delle difficoltà, delle prove e per la sua radicale conversione. Per questo Gesù è venuto in mezzo a noi dicendo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15). Se poi vogliamo interrogarci sulla dottrina, ben venga, sarebbe strano se non lo facessimo: le domande innate nell’uomo sul proprio destino sono sempre aperte, ed è normale chiedersi se e che cosa stiano dicendo a me e a noi in questo tempo gli insegnamenti della Chiesa. Ma chiariamo: la dottrina non è la vetrina dell’antiquario, è un corpo vivo».
Che cosa intende?
«La dottrina non è un insieme di precetti moralistici, ma l’insieme degli insegnamenti che ci vengono dalle Scritture, dalla Parola di Dio e dalla Tradizione. Chi non lo capisce, forse, deve riscoprire cosa significhi essere cristiani e appartenere alla Chiesa, oggi. Il punto è che l’uomo non tollera di sentirsi dire cosa è giusto e cosa non lo è, perché come dicevo prima vuole determinarlo da se stesso, annichilendo la sua storia e la portata della sua identità. Ma la dottrina cattolica, in definitiva, è una persona! È Gesù nella sua Parola. Come possiamo pensare che il Vangelo sia espressione di qualcosa distaccato dalla realtà? O la nostra fede è fondata sull’incontro con una Persona, che è Dio fattosi uomo, attraverso suo Figlio Gesù, e quindi su una testimonianza che deve rinnovarsi ogni giorno per la morte e resurrezione quotidiana di Cristo, oppure la nostra fede è fallace ed è basata sugli idoli della modernità. Ma un padre o una madre che non indica al figlio la strada giusta, che padre è? E che madre è? Così si ritiene che l’apertura della Chiesa, a cui costantemente e giustamente ci richiama Papa Francesco, significhi la diluizione di ciò che noi crediamo nel pensiero della società contemporanea, che è secolarizzata e decadente. Ma Cristo non è venuto per assecondare la società, è venuto per salvare l’umanità dalla sua caduta, per portare la Verità e cambiare ciascuno di noi personalmente, nel profondo. La Verità e i dogmi di fede ci costringono ad alzare l’asticella, a puntare in alto, a vivere ogni giorno per diventare santi. Il relativismo è facile, perché nulla in esso ha valore e conta: porta al disimpegno dalla vita e, in sostanza, all’abbrutimento dell’uomo. Ripeto: la Chiesa entra in crisi quando, per compiacere il mondo e per rendersi accettabile, smette di essere profetica e si adegua al sentire comune o al pensiero dominante, che oggi è il relativismo».
Nel Sinodo sull’Amazzonia si parlerà anche dell’ipotesi di «viri probati». Nella Chiesa cattolica, dagli orientali agli anglicani tornati in comunione con Roma, un clero sposato esiste già. Ma Francesco, a gennaio, ha spiegato che non si tratta di questo e non avrebbe cambiato la disciplina del celibato nella Chiesa latina («Io non lo farò, è chiaro»): solo, si poteva studiare la possibilità di ordinare «anziani sposati» in «zone remotissime» che esercitassero solo il «munus sanctificandi», quindi «messa, confessione, unione degli infermi», senza funzione di guida né di insegnamento, i «munera regendi e docendi». Si vedrà. Ma perché questa ipotesi spaventa tanto alcuni?
«Non spaventa nessuno. La proposta è teologicamente assurda ed implica una concessione funzionalista del sacerdozio, in quanto pretende separare i tria munera (Santificandi, docendi e regendi) in totale contraddizione con gli insegnamenti del Concilio Vaticano (Lumen Gentium n° 20-22, Christus dominus n° 2, Presbyterorum Ordinis n° 4-6) e di tutta la Tradizione della Chiesa latina che ne stabilisce la loro unità sostanziale. E poi l’ordinazione presbiterale di uomini sposati significherebbe nella pratica mettere in discussione l’obbligatorietà del celibato in quanto tale. A questo proposito, forse va ricordata la frase di San Paolo VI, che Papa Francesco ha fatto sua nel discorso ad un gruppo di giornalisti, il 27 gennaio 2019: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del Celibato”. Ripeto: non c’è nessuno spavento. Il Sinodo studierà, poi il Santo Padre trarrà le conclusioni. La questione è un’altra: ovvero comprendere il senso della vocazione sacerdotale. Chiedersi perché non ci siano più persone disposte a dare tutte se stesse per Dio, per il sacerdozio e per la verginità. Invece si preferisce ragionare su escamotage, con la presunzione che questi possano aiutare a risolvere problemi più grandi e spesso di giustizia. Quante volte ho sentito dire: se i preti potessero sposarsi non esisterebbe la pedofilia. Come se non sapessimo che il problema, anzi il reato, riguarda soprattutto le famiglie, perché è lì che maggiormente avviene. Oppure: visto che non ci sono più vocazioni, mettiamo una pezza ampliando le opzioni per i laici. Questa è la presunzione degli uomini. E francamente non mi pare che le Chiese dove oggi il celibato sacerdotale non esiste siano molto più floride della Chiesa cattolica, se questo è lo scopo».
Perché il sacerdozio è in crisi?
«Sono convinto che la crisi del sacerdozio sia un elemento centrale della crisi della Chiesa: il nemico del sacerdozio oggi è l’efficientismo, la produttività, come se fossimo dipendenti di un’azienda. I sacerdoti sono stati evirati della loro identità. Sono stati portati a credere che dovevano essere uomini efficaci. Un sacerdote è fondamentalmente una continuazione tra noi della presenza di Cristo. Non deve essere definito da ciò che fa, ma da ciò che è: ipse Christus, Cristo stesso. Durante la Santa Messa il Sacerdote si trova faccia a faccia con Gesù Cristo ed in quel preciso istante, è identificato si è immedesimato in Cristo, divenendo non soltanto un Alter Christus, un altro Cristo, ma è addirittura Ipse Christus, lo stesso Cristo. Se veramente il Sacerdote è Cristo stesso, come immaginare di fabbricare, o ordinare sacerdoti “anziani sposati”? Questo sacerdozio non sarà un sacerdozio di Gesù Cristo, ma una fabbricazione umana, senza valore cristico. Ecco, è disperante che alcuni si incaponiscano invece nel voler rispondere con un legalismo a un problema che riguarda la fede e la vita: e questi “alcuni” sono poi gli stessi che il legalismo sono sempre pronti a contestarlo quando non sta bene. Perché viviamo questa situazione oggi? È questa la domanda che dobbiamo farci, ma è questa domanda che tutti vogliono rifuggire. Papa Francesco in maniera chiarissima ha già detto che non si possono attendere soluzioni di breve periodo solo per dare risposte immediate e succedanee. Il problema è la crisi della fede. I discepoli sono partiti in dodici: se ci affidiamo a ragionamenti numerici, nessun numero sarà mai sufficiente per giustificare e “riempire” l’orgoglio degli uomini».
Ma che ne pensa del Sinodo sull’Amazzonia?
«Ho sentito che alcuni vogliono fare di questo Sinodo un laboratorio per la Chiesa universale, altri hanno dichiarato che dopo questo Sinodo nulla sarà più lo stesso di prima. Se è vero, questo è disonesto e fuorviante. Questo Sinodo ha un obiettivo specifico e locale: l’evangelizzazione dell’Amazzonia. Temo che alcuni occidentali stiano confiscando questa assemblea per far avanzare i loro piani. Penso in particolare all’ordinazione degli uomini sposati, alla creazione di ministeri femminili o alla giurisdizione dei laici. Questi punti toccano la struttura della Chiesa universale. Approfittare per introdurre piani ideologici sarebbe una manipolazione indegna, un inganno disonesto, un insulto a Dio che guida la sua Chiesa e gli affida il suo piano di salvezza. Inoltre, sono rimasto scioccato e indignato dal fatto che il disagio spirituale dei poveri in Amazzonia sia stato usato come scusa per sostenere progetti tipici del cristianesimo borghese e mondano. È abominevole».
Scrive di aver voluto confortare i cristiani smarriti. A volte si ha l’impressione che i più smarriti, oggi, siano proprio i fedeli più rigorosi e assidui. Come se, mentre la Chiesa “in uscita” di Francesco si rivolge alle periferie e ai lontani, al “centro” si sentissero trascurati. Una situazione che ricorda la parabola del figliol prodigo e lo sconcerto del fratello maggiore, che ha sempre obbedito al padre e lo vede preparare il vitello grasso per il figlio che se ne era andato. Avverte questo smarrimento?
«Guardi, me lo faccia dire: qui il problema è che ci sono sacerdoti, vescovi e persino cardinali infedeli che mancano, e questo è altrettanto grave di altri peccati, di portare la verità di Cristo! Disorientano i fedeli cristiani con il loro linguaggio confuso, ambiguo e liquido. Dobbiamo avere il coraggio di tornare sui sentieri del combattimento spirituale: il combattimento della fede, come dice San Paolo a Timoteo, in quanto la nostra arma principale è la preghiera. Molti si sentono smarriti perché avvertono e sperimentano che la chiesa diventa una società per azioni o una Ong, che è esattamente il contrario di quanto dice Papa Francesco dall’inizio del proprio pontificato. Le diatribe tra il centro e la periferia interessano voi giornalisti: come prima, sempre alla ricerca di un “noi” e di un “loro”. La Chiesa non è questo! Vogliamo rendere la Chiesa una società umana e orizzontale. Vogliamo che parli una lingua mediatica. Vogliamo renderla popolare. Così i preti si spingono a non parlare di Dio e dello scandalo della croce di Gesù, ma a impegnarsi anima e corpo nelle questioni sociali: l’agricoltura, l’ecologia, il dialogo, la lotta contro la povertà, la giustizia e la pace. Non si parla più di Dio ma di migranti, di emarginati e di senza tetto!».
E ci mancherebbe, no?
«Si tratta di questioni importanti e vitali contro le quali la Chiesa non può chiudere un occhio. Ma nessuno è interessato a una chiesa del genere. “La Chiesa nel suo attuale slancio verso i valori della giustizia, dei diritti sociali se dimentica la sua anima contemplativa fallisce la sua missione e verrà abbandonata dai suoi fedeli perché non verrà riconosciuto in essa il suo specifico” diceva l’imam Yahya Pallavicini, Presidente del Coreis. La Chiesa è interessante solo perché ci permette di incontrare Gesù. La vera riforma è quella dello stile di vita dei sacerdoti. I sacerdoti devono sentirsi “perseguitati” dal desiderio di santità. A volte si ritiene che la storia della Chiesa sia segnata solo da riforme strutturali, che pure sono necessarie. Sono sicuro che sono i santi a cambiare la storia. Le strutture poi seguono e perpetuano solo l’azione dei santi. Perciò dico: le idee sulle riforme della società, su come indirizzare l’uomo a migliorare lo stile di vita o la cura del Creato, lasciamole al Papa, che le esprime benissimo, e noi lavoriamo per riportare i fedeli a Dio. Aggiungo: le problematiche sociali che affronta Francesco sono permeate e trovano la loro origine in Cristo, sempre. Ogni giorno il Papa parla di Gesù e dell’esperienza di un incontro personale con Cristo: ma quante volte i media le riportano? Non sono interessati, e così spesso i sacerdoti, perché è molto più facile fermarsi alle proprie categorie umane che aprire il cuore e chiedere “Dio, sono tuo, farò ciò che vuoi Tu”. Nel mio libro parlo di “ateismo liquido”. Si infiltra in tutto, anche nei nostri discorsi ecclesiastici. Consiste nell’ammettere accanto alla fede, modi di pensare e vivere radicalmente pagani e mondani. Dio non occupa il centro della loro vita, dei loro pensieri e delle loro azioni. La vita di preghiera non è più centrale. Sono convinto che i sacerdoti devono proclamare la centralità di Dio attraverso la loro vita. Una Chiesa dove il sacerdote non porta più questo messaggio è una Chiesa malata. E per tornare alla parabola del padre misericordioso da lei citata: mi dica, chi può sentirsi offeso perché il padre aspetta e accoglie il figlio che se n’era andato? O va a cercare la pecora smarrita? Chi? Solo chi è divorato dall’orgoglio e dalla pienezza di sé. Che segnale sta, invece, dando il Papa oggi! Lui, il pastore più in alto di tutti, che scende per andare a recuperare la pecorella, e non solo quella che si è persa, ma anche quella che nel recinto magari non ci è mai entrata e che, quindi, per natura, per educazione o per cultura è la più distante dalla Chiesa. È questa l’evangelizzazione. Ed è da questa testimonianza che tutti i sacerdoti dovrebbero essere ispirati, perché questo è vivere il Vangelo nella preghiera. Altro che l’efficientismo manageriale».
FONTE: Gian Guido VECCHI | Corriere.it