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Studiosi evidenziano un pericoloso legame tra violenza in tv e suicidi giovanili

Si parla di effetto “Werther”: imitazione e la suggestionabilità possano avere un ruolo importante nella dinamica del suicidio

Ogni giorno i giovani vengono bombardati da un vespaio di notizie, da immagini sempre più dense di violenza che alterano “gravemente” le situazioni della vita reale. I mass media, producendo e diffondendo immagini violente, incitano ad atti o atteggiamenti di violenza; basti pensare che entro i quindici anni, ogni ragazzo ha assistito in televisione a più di 200.000 atti di violenza che includono almeno 40.000 omicidi senza avere alcuna esperienza reale di cosa sia effettivamente la morte. La televisione americana offre una spettacolarizzazione della violenza tra le più alte del mondo e le conseguenze sociali sono ben evidenti. In questi anni, in Europa come negli Stati Uniti, si è constatato che la criminalità giovanile, al contrario di quella degli adulti, si organizza per bande che giungono ad essere responsabili di molti atti di violenza su altri adolescenti. I giovani che vivono nelle zone più degradate, dove atti di violenza sono all’ordine del giorno, sono i più influenzati dalla cultura della violenza televisiva.

Secondo Leonard Eron: “Un ragazzo che ha seguito delle trasmissioni con un contenuto aggressivo ne ricava che il mondo sia una giungla irta di pericoli e che l’unico modo per sopravvivere sia essere sempre in posizione d’attacco”. Questo legame tra violenza sul piccolo schermo e violenza reale è uno dei grandi problemi attuali anche per la difficoltà che molti adolescenti, ma soprattutto i preadolescenti ed i bambini, incontrano nell’operare una chiara distinzione tra aspetti virtuali e dimensione di realtà.

Alcuni ricercatori hanno studiato l’aumento del numero di omicidi dopo la trasmissione di incontri di pugilato e la crescita dei suicidi dopo la programmazioni di sceneggiati TV sul suicidio. Brandon S. Centerwall, psichiatra, ha spiegato che durante il “periodo critico” della preadolescenza, l’esposizione alla violenza televisiva ha un impatto particolarmente profondo. Secondo Ronald G. Slaby l’impatto potenziale sui giovani telespettatori va al di là del cosiddetto “effetto aggressore”, ovvero l’aumento di probabilità di avere un comportamento violento, i giovani possono subire anche un “effetto-vittima”, cioè aumento del timore di restare vittime della violenza, e un “effetto-spettatore”, ossia l’aumento dell’indifferenza subita dagli altri.

La televisione ci propone quotidianamente scene di violenza piuttosto tragiche dinanzi alle quali i giovani ingeriscono passivamente quanto viene loro trasmesso in assenza della decodifica dell’adulto. Le notizie truculente che i mass media ci propinano determinano nelle persone e ancor più nei giovani uno stato di disagio, di paura, di sfiducia e vengono adottate tecniche sempre più sofisticate ed efficaci per insinuarsi in modo subliminale nell’intimità della mente e manipolarla influenzandone le scelte e gli ideali.

A volte certe notizie possono dare un’immagine distorta di un fenomeno e creare “artefatti”, per esempio un’eccessiva pubblicità data al fenomeno “omicidio giovanile” può influenzare negativamente e pertanto molti studiosi hanno invitato i mezzi di comunicazione a una certa prudenza nel fornire notizie di questo tipo. Un caso di cronaca ci informa che fra il sabato 1 settembre e domenica 2 del 1990, a Proto, in provincia di Bolzano, tre ragazzi si sono uccisi insieme, convogliando i gas di scarico nell’abitatolo dell’auto e hanno lasciato come lettera d’addio un biglietto con scritto: “Questa vita non ha prospettive”.

Il tragico episodio ha avuto vasta eco, per lo più sensazionalistica, sulla stampa, che ha cercato di esaminarne le ragioni. Nelle settimane seguenti la stessa stampa segnalava quasi quotidianamente suicidi praticati con la medesima tecnica, e si è parlato ben presto di un’epidemia. Il problema dell’influenza sul suicidio della letteratura e dei mezzi di comunicazione non è nuovo, ma si è ripresentato numerose volte nel corso della storia. Uno dei precedenti più famosi è costituito dall’epidemia di suicidi verificatisi in Germania, in seguito alla pubblicazione nel 1774 del romanzo Die Leiden des jungen Werther, “I dolori del giovane Werter”, di Johan Wolfang Goethe: il fenomeno raggiunse dimensioni tali da indurre i governi di alcuni Paesi a proibire la diffusione del libro.

Studiosi moderni del suicidio hanno chiamato “effetto Werther” l’influenza esercitata dai mass media sui comportamenti suicidi. L’effetto Werther presuppone che l’imitazione e la suggestionabilità possano avere un ruolo importante nella dinamica del suicidio soprattutto nei giovani.

Fonte: Alteia.org

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