Viaggio in un Paese a due velocità. Ricci (dirigente Invalsi): “La dispersione scolastica implicita è un problema finora sottovalutato”
“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde” scriveva don Milani in
Lettera a una professoressa. Sono passati 52 anni, ma la musica non è cambiata. Secondo i più recenti dati statistici,
negli ultimi due anni i giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato i banchi di scuola sono aumentati del 14%: una cifra allarmante, che pone l’Italia al quartultimo posto in Europa, poco prima di Romania, Malta e Spagna. Un fenomeno, quello della
dispersione scolastica che merita la dovuta attenzione perché non sia sottovalutato. Nel suo discorso d’insediamento, lo stesso premier,
Giuseppe Conte, lo ha definito “un’emergenza” da stanare.
La dispersione scolastica esplicita
Negli anni, l’Italia ha fatto dei passi in avanti nel monitoraggio della dispersione nelle scuola, anzi ha aperto scenari finora ancora poco conosciuti. Sino a questo momento, le statistiche stilate dall’Istat si sono focalizzate sul fenomeno della cosiddetta dispersione scolastica esplicita, cioè la tendenza dei giovani alunni a lasciare precocemente i banchi di scuole per le più svariate ragioni. Tale fenomeno è stato sempre al centro dell’attenzione dello Stato come un problema da arginare e, grazie agli interventi, nella media si è riusciti a ridurre la tendenza.
Tabella 1 – Dispersione scolastica esplicita nelle regioni italiane – Fonte © Istat 2014
Stando ai numeri forniti dall’Istat, le regioni con maggiore dispersione scolastica esplicita restano al Mezzogiorno con la Sicilia in testa, seguita da Sardegna e Campania. Nel Nord-Italia, la media è più bassa del Sud, con l’eccezione della Valle d’Aosta, che registra un tasso di dispersione alto, simile a quello della Calabria. È, però, innegabile che la percentuale di alunni che lasciano il banco di scuola nel centro e nord del Paese non supera mai – a eccezione della sopraccitata Valle d’Aosta – il 15%. Fra gli esempi virtuosi, il Veneto e la provincia autonoma di Trento.
La dispersione scolastica implicita
Le attività di monitoraggio hanno mostrato come considerare solo la dispersione esplicita non è sufficiente a fornire le dimensioni dell’intero problema . Accanto a questi dati, infatti, se ne aggiungono altri che fotografano una realtà fino a poco tempo fa sconosciuta. Si tratta delle cifre emerse dallo studio condotto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi) che presentano il fenomeno della dispersione scolastica implicita. Stando all’ultimo rapporto curato da Roberto Ricci, dirigente di ricerca Invalsi, il tasso di dispersione non si misura solo vagliando le cifre di coloro che lasciano i banchi di scuola, ma anche di quelli che, invece, vi restano ma non raggiungono una preparazione adeguata al diploma e che, in taluni casi, stentano addirittura a raggiungere il livello di competenze minimo previsto. E così, come indica lo studio, c’è chi “anche ottenendo il diploma, non arriva al livello 3 nelle prove di Italiano e Matematica e che non raggiunge nemmeno il livello B1 nella lettura e nell’ascolto dell’inglese“. Prima che espressione di un disagio sociale, il fenomeno ha, prima di tutto, una ripercussione sui giovani coinvolti, che si affacciano al mondo del lavoro impreparati, talvolta senza una capacità d’analisi della realtà circostante che permetta di prendere decisioni coerenti con i propri progetti di vita. Com’è possibile che si è giunti solo quest’anno ad avere il possesso di questi dati? “Perché a partire da quest’anno abbiamo prove cognitive standardizzate uguali per tutti” dichiara Ricci a In Terris.
I numeri della dispersione
Ma non è troppo considerare questi ragazzi dei “dispersi”? In fondo, perché metterli al livello di chi abbandona la scuola? “No – secondo Ricci – perché gli studenti hanno le stesse caratteristiche di quelli dispersi. Questo perché il livello dello studente che frequenta resta, comunque, molto basso”. La fotografia dell’Italia tracciata dai dati relativi alla dispersione implicita è implacabile.
Tabella 2 – Dispersione scolastica implicita nelle regioni italiane – Fonte © Invalsi 2019
Ciò che emerge è una netta separazione fra le aree geografiche della Penisola, con un Nord sostanzialmente più virtuoso ed un Sud fanalino di coda. Resta il picco di dispersione alto nel Mezzogiorno, con la regione Calabria in cui si attesta il maggior numero di diplomati senza competenze, seguita da Sardegna, Basilicata e Sicilia. I “modelli” restano nell’Italia nord-orientale, con le provincie autonome di Trento e di Bolzano con i tassi più bassi. I dati trovano una corrispondenza nelle tabelle stilate da Invalsi relative agli studenti che superano la III secondaria di primo grado con livelli di competenza inadeguati in Italiano, Matematica e Inglese: la percentuale maggiore si attesta in Calabria (29,6%), seguita da Sicilia (27,9%) e Campania (25%). In Italia settentrionale, la regione che registra il maggior numero di alunni in difficoltà è la Liguria con il 12,1%: la metà della Campania. Come specifica il documento, i dati Invalsi mostrano che in alcune aree del Paese la parte sommersa del fenomeno è drammatica. “Noi osserviamo che nelle regioni del Nord Italia il tasso di dispersione è molto più basso, e mano a mano questo numero aumenta” sottolinea Ricci.
Un problema sociale
Sfortunatamente, i numeri tracciano le coordinate di un problema sociale estremamente rilevante: è stato calcolato che, sommando agli studenti che lasciano i banchi di scuola i dispersi impliciti, si arriva a un tasso di dispersione scolastica del 22,5%: più di un giovane su cinque.
Tabella 3 – Dispersione scolastica totale nelle regioni italiane – Fonti © Istat 2014 e Invalsi 2019
La tabella ritrae il fenomeno della dispersione scolastica nella sua totalità: “Abbiamo tre onde” spiega Ricci, dove il Meridione prende la maglia nera. Perché? “Il problema riguarda la tenuta generale del sistema scolastico” specifica. Ricci chiarisce che il divario fra Nord e Sud non ha a che fare con la preparazione del personale docenti: “Io penso che, in termini di preparazione dell’insegnante, la scuola non abbia problemi. Il problema semmai, sta nella necessità di farsi carico di questi problemi“. E ora, dati alla mano, cosa si può fare per fermare quest’emorragia non solo scolastica, ma anche sociale? “La soluzione – chiarisce Ricci – non è bocciare, ma adottare misure perché il fenomeno non capiti. Il monitoraggio è già importante. Bisognerebbe iniziarlo già dalla fine delle scuola elementare, per identificare immediatamente gli studenti in difficoltà ed aiutarli”.