La piccola Tafida Raqeeb è arrivata ieri con i genitori, poco dopo le 19, all’aeroporto di Genova, dove ad accogliere lei e la famiglia c’erano il governatore Giovanni Toti e il direttore generale dell’Ospedale Gaslini, Paolo Petralia. «Tafida, come tutti i pazienti che si trovano in questa situazione, verrà inserita in un percorso che ha diversi livelli di intensità di cura, a cominciare dalla rianimazione fino ad arrivare, se possibile, al domicilio», dice Petralia in questa intervista alla Nuova Bussola, spiegando che la tracheostomia sarebbe funzionale anche per un eventuale futuro trasferimento a casa. Intanto, chiesta per la bambina la cittadinanza italiana.
«Tafida, come tutti i pazienti che si trovano in questa situazione, verrà inserita in un percorso che ha diversi livelli di intensità di cura, a cominciare dalla rianimazione fino ad arrivare, se possibile, al domicilio». A parlare è il direttore generale dell’Ospedale Gaslini, Paolo Petralia, rispondendo alla domanda sulla possibilità che la piccola Tafida Raqeeb, dopo la tracheostomia (prima promessa e poi negata nel Regno Unito) e a seconda delle condizioni, possa essere curata a casa.
La bambina inglese in stato di minima coscienza è arrivata ieri all’aeroporto di Genova, poco dopo le 19, con un paio di ore di ritardo rispetto al previsto e il pathos finale legato al maltempo che si è abbattuto ieri sulla Liguria e sul suo capoluogo. Con lei papà Mohammed e mamma Shelina, accolti tra gli altri dallo stesso Petralia, dal presidente della Regione, Giovanni Toti, dall’assessore alla Sanità, Sonia Viale, e da Filippo Martini di Giuristi per la Vita, che ha reso noto di aver ripresentato la richiesta per la cittadinanza italiana alla bambina anche con il fine di aiutare la famiglia con i costi sanitari. Il tutto a 12 giorni dalla sentenza dell’Alta Corte che ha ordinato la prosecuzione delle cure e autorizzato il trasferimento. Sull’aeroambulanza che ha portato Tafida in Italia, un’équipe del Gaslini guidata da Andrea Moscatelli (nella foto di Sky News, al fianco della bambina), primario di Rianimazione pediatrica.
La piccola, che ha subito un’emorragia cerebrale il 9 febbraio, è stata quindi trasferita in ambulanza all’ospedale genovese, accompagnata dal direttore Petralia. La Nuova Bussola lo ha raggiunto telefonicamente.
A giugno abbiamo ricevuto un’email da Shelina Begum, la mamma di Tafida, che con toni disperati ci diceva dell’intenzione dell’ospedale [il Royal London Hospital, ndr] di interrompere le cure alla figlia. Di fronte a questa email abbiamo subito dato la disponibilità del nostro ospedale, e così oggi, dopo la sentenza, possiamo accogliere Tafida al Gaslini.
Il Gaslini si era già offerto di accogliere il piccolo Alfie Evans, ma in quel caso i giudici decisero purtroppo diversamente. In che modo i vostri medici e infermieri si prendono cura di bambini in condizioni gravi come Alfie o Tafida?
L’Ospedale Gaslini, nei suoi 80 anni di storia, ha sempre cercato di realizzare quella che era la volontà originaria del fondatore: prendersi cura e offrire le migliori cure possibili ai bambini di tutto il mondo e in tutte le condizioni. Prendersi cura è una precondizione che anticipa le cure sanitarie e ne moltiplica gli effetti benefici. Tutti abbiamo percezione per esempio di quel che significa prendersi cura di un neonato prima ancora di offrirgli, quando serve, delle cure sanitarie. È questo che medici e infermieri fanno al Gaslini da sempre, mettendo al centro il bambino e la sua famiglia.
Avete molti bambini in condizioni gravi?
Sì, a volte molto gravi. Nel nostro ospedale ricoveriamo pazienti con patologie complesse, rare, moltissimi bambini sono senza diagnosi, e quindi vengono per cercare una risposta. Quel che accomuna tutte queste condizioni è l’approccio, sia umano che tecnico-scientifico. In questo binomio, umanità nelle cure e nel prendersi cura, unita all’alta competenza sul piano clinico, sta la capacità del Gaslini di offrire una risposta. Non sempre si può guarire ma sempre si può ed è doveroso prendersi cura.
Perché è importante comprendere questa differenza?
Perché è la legge naturale che ci insegna che la morte è una tappa ineludibile del nostro percorso, è l’ultimo momento della vita. E questo non va esorcizzato, fa parte della vita stessa. Al tempo stesso, però, ogni fase della vita, fino ad arrivare a quel momento, deve essere vissuta con piena dignità, con un approccio positivo alla vita, un approccio che è senza accanimenti, ma tiene conto del principio della proporzionalità delle cure.
È come dire che la vita ha un valore infinito in sé, lungi da un’ottica meramente efficientista.
Certamente, la vita sul piano dell’evidenza naturale ci dice che è degna di essere vissuta appieno, con piena qualità di vita e piena dignità, sempre e comunque.
Tra gli interventi che sono stati prospettati per Tafida c’è quello di una tracheostomia. In casi come questi, in generale, il fine è quello di permettere alle famiglie di poter accudire i loro bambini a casa? Vi capitano di frequente situazioni così?
Sì, questa è l’evidenza di un percorso terapeutico che ormai è consolidato e non solo in Italia. La tracheostomia è un presidio che agevola la respirazione e quindi permette di avere maggiore facilità di gestire una situazione di accudimento da un lato e anche di qualità di vita dall’altro, favorendo una migliore gestione dell’assistenza e dei tempi. Di volta in volta si tratta di valutarne l’opportunità in base a principi deontologici e linee guida scientifiche.
In questo caso, dopo la tracheostomia, ci sono speranze che i genitori possano prendersi cura della bambina a casa?
Tafida, come tutti i pazienti che si trovano in questa situazione, verrà inserita in un percorso che ha diversi livelli di intensità di cura, a cominciare dalla rianimazione fino ad arrivare, se possibile, al domicilio: e la bambina seguirà questo percorso eventualmente avanzando in base alle sue condizioni. La tracheostomia si applica in un ambiente protetto, si va in sala operatoria, quindi in rianimazione, e così via. È chiaro che tutto questo non si può prevedere a priori. Si tratta del percorso standard in cui noi abbiamo moltissimi bambini, dai neonati ai giovani adulti, e che prevede appunto prima la rianimazione, poi il livello semintensivo, poi quello che chiamiamo il “guscio dei nidi”, che sarebbe l’hospice pediatrico (che non è un hospice terminale ma appunto una tappa intermedia del percorso di assistenza), fino ad arrivare alle cure domiciliari. In questo continuum può capitare che si vada avanti e indietro: noi abbiamo bambini che vanno a casa, poi tornano al guscio e poi magari ritornano a casa.
Quando un bambino viene portato a casa, continuate quindi a garantire all’occorrenza le cure domiciliari?
Esattamente. Noi le cure domiciliari le facciamo con équipe miste, dove abbiamo i nostri medici, i nostri infermieri, gli psicologi, che sostengono la famiglia e aiutano il bambino. Speriamo che anche Tafida possa seguire tutto questo percorso: quel che è certo è che inizierà dal livello di cura più alto, dalla rianimazione, e poi a seconda delle sue condizioni si vedrà.
Quanto ha contato la collaborazione della Regione nell’idea di accogliere Tafida?
La Regione Liguria è sempre stata vicina al Gaslini, che fa parte del sistema regionale naturalmente. E da subito i suoi vertici si sono messi a disposizione. In prima battuta non si tratta di fare cose particolari, bensì di testimoniare la scelta di condividere un percorso di cura e la Regione l’ha fatto prontamente. Dopodiché siamo sempre stati collegati e ci ha sostenuto nel percorso operativo che stiamo sviluppando.
Fonte: Ermes DOVICO | LaNuovaBQ.it