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UDIENZA GENERALE :: Catechesi sugli Atti degli Apostoli – 13. «Dio ha aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). La missione di Paolo e Barnaba e il concilio di Gerusalemme
— 23 Ottobre 2019— pubblicato da Redazione. —
Il libro degli Atti degli Apostoli narra che San Paolo, dopo quell’incontro trasformante con Gesù, viene accolto dalla Chiesa di Gerusalemme grazie alla mediazione di Barnaba e inizia ad annunciare Cristo. Però, a causa dell’ostilità di alcuni, è costretto a trasferirsi a Tarso, la sua città natale, dove Barnaba lo raggiunge per coinvolgerlo nel lungo viaggio della Parola di Dio. Il Libro degli Atti degli Apostoli, che stiamo commentando in queste catechesi, si può dire è il libro del lungo viaggio della Parola di Dio: la Parola di Dio va annunciata, e annunciata dappertutto. Questo viaggio comincia in seguito a una forte persecuzione (cfr At 11,19); ma questa, invece di provocare una battuta d’arresto per l’evangelizzazione, diventa un’opportunità per allargare il campo dove spargere il buon seme della Parola. I cristiani non si spaventano. Devono fuggire, ma fuggono con la Parola, e spargono la Parola un po’ dappertutto.
Paolo e Barnaba arrivano dapprima ad Antiochia di Siria, dove si fermano un anno intero per insegnare e aiutare la comunità a mettere radici (cfr At 11,26). Annunziavano alla comunità ebraica, ai giudei. Antiochia diventa così il centro di propulsione missionaria, grazie alla predicazione con cui i due evangelizzatori – Paolo e Barnaba – incidono sui cuori dei credenti, che qui, ad Antiochia, vengono chiamati per la prima volta «cristiani» (cfr At 11,26).
Emerge dal Libro degli Atti la natura della Chiesa, che non è una roccaforte, ma una tenda capace di allargare il suo spazio (cfr Is 54,2) e di dare accesso a tutti. La Chiesa è “in uscita” o non è Chiesa, o è in cammino allargando sempre il suo spazio affinché tutti possano entrare, o non è Chiesa. «Una Chiesa con le porte aperte» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 46), sempre con le porte aperte. Quando vedo qualche chiesetta qui, in questa città, o quando la vedevo nell’altra diocesi da dove vengo, con le porte chiuse, questo è un segnale brutto. Le chiese devono avere sempre le porte aperte perché questo è il simbolo di cosa è una chiesa: sempre aperta. La Chiesa è «chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. […] Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa» (ibid., 47).
Però questa novità delle porte aperte a chi?. Ai pagani, perché gli Apostoli predicavano ai giudei, ma sono venuti anche a bussare alla porta della Chiesa i pagani; e questa novità delle porte aperte ai pagani scatena una controversia molto animata. Alcuni giudei affermano la necessità di farsi giudei mediante la circoncisione per salvarsi, e poi ricevere il battesimo. Dicono: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati» (At 15,1), cioè non potete ricevere in seguito il battesimo. Prima il rito giudaico e poi il battesimo: questa era la posizione loro. E per dirimere la questione, Paolo e Barnaba consultano il consiglio degli Apostoli e degli anziani a Gerusalemme, e ha luogo quello che è ritenuto il primo concilio della storia della Chiesa, il concilio o assemblea di Gerusalemme, cui fa riferimento Paolo nella Lettera ai Galati (2,1-10).
Viene affrontata una questione teologica, spirituale e disciplinare molto delicata: cioè il rapporto tra la fede in Cristo e l’osservanza della Legge di Mosè. Decisivi nel corso dell’assemblea sono i discorsi di Pietro e Giacomo, «colonne» della Chiesa-madre (cfr At 15,7-21; Gal 2,9). Essi invitano a non imporre la circoncisione ai pagani, ma a chiedere loro soltanto di rigettare l’idolatria e tutte le sue espressioni. Dalla discussione viene la strada comune, e tale decisione, ratificata con la cosiddetta lettera apostolica inviata ad Antiochia.
L’assemblea di Gerusalemme ci offre una luce importante sulle modalità con cui affrontare le divergenze e ricercare la «verità nella carità» (Ef 4,15). Ci ricorda che il metodo ecclesiale per la risoluzione dei conflitti si basa sul dialogo fatto di ascolto attento e paziente e sul discernimento compiuto alla luce dello Spirito. È lo Spirito, infatti, che aiuta a superare le chiusure e le tensioni e lavora nei cuori perché giungano, nella verità e nel bene, perché giungano all’unità. Questo testo ci aiuta a comprendere la sinodalità. È interessante come scrivono la Lettera: incominciano, gli Apostoli, dicendo: “Lo Spirito Santo e noi pensiamo che …”. È proprio della sinodalità, la presenza dello Spirito Santo, altrimenti non è sinodalità, è parlatorio, parlamento, altra cosa …
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