«Io non penso, da vario tempo, ai miei sogni letterari, alterno lo studio alle cure entomologiche: allevo una straordinaria colonia di bruchi. Immaginatevi che in una cassetta ho circa trecento crisalidi di tutte le specie, ottenute da bruchi allevati con infinita pazienza, per settimane e settimane. Fra pochi giorni saranno farfalle. Anzi, voglio mandarvi qualche crisalide: non ridete, vi prego. Mi attira il pensiero che si schiuderanno nella vostra camera. Estraetele dalla scatola dove ve le invierò, senza toccarle, e deponetele senza smuoverle dal letto di cotone in una scatola più ampia, dove la farfalla nascitura abbia sufficiente spazio per distendere le ali. E lasciatele in pace, come bimbi che dormono: senza toccarle, né agitarle… E non sorridete tanto di queste cose, più belle e più profonde di molte altre, per consolare la nostra malinconia». Era il 3 settembre del 1908 quando Guido Gozzano, uno dei nostri poeti più grandi e meno letti, scriveva queste righe in una lettera ad Amalia Guglielminetti che amò intensamente, pur restandole a distanza, forse per l’amarezza del proprio destino: l’anno prima s’era ammalato di tubercolosi di cui morirà nel 1916 a soli 32 anni. Ma proprio lo scorrere dei giorni lo spinse a cercare ciò che poteva fermare il tempo. Dove e come?
Tutto ciò che ci rende umani comincia dalla meraviglia. Non c’è scienziato, artista, filosofo che abbia scoperto qualcosa di eterno senza aver cominciato da lì. Aristotele apre la sua Metafisica dicendo che dalla meraviglia nasce la filosofia, che per lui comprende le scienze naturali come l’indagine sul fondamento delle cose. Secoli dopo Einstein ribadiva che il senso della meraviglia è la culla della vera arte e della vera scienza, l’attitudine necessaria per una vita ricca di senso, perché la meraviglia è il sentimento che chiama a cercare il senso della vita. Le foglie autunnali, il gesto atletico dello sportivo, le stelle cadenti, i trucchi del mago di strada… seducono e portano a chiedersi: come ha fatto? come accade? Spesso le nostre vite si spengono per la prolungata assenza di questi rapimenti: affaticati dalla routine, dai problemi da risolvere, dalle brutture vomitate dai media, perdiamo d’occhio la bellezza e quindi la speranza. Gozzano le trovava nella meraviglia delle piccole cose: per esempio nelle farfalle, a cui dedicò il suo ultimo poema incompiuto. La sua non è una regressione ingenua al bambino perduto, ma la visione lucida e matura di un uomo a cui resta poco da vivere e lotta per fermare il tempo, a colpi di meraviglia. Egli osserva con l’attenzione dell’entomologo (lo studioso degli insetti) il miracolo della trasformazione: Epistole entomologiche è infatti il sottotitolo del poema, quasi fossero lettere inviate direttamente dai bruchi per i quali il tempo non conduce alla morte ma a prodigiosa metamorfosi. È una lezione che non dimentico: se la tristezza morde troppo è perché ho perso il senso della realtà, cioè della meraviglia. E la «cura» sarà «prendersi cura» di qualcosa che ridesti lo stupore e la ricerca. Il senso della meraviglia cresce infatti in una innamorata e paziente cura di ciò che ci mostra che il fondamento delle cose non invecchia ed è bello e buono. Di chi e cosa ci prendiamo cura? Che sia una persona, ma anche una pianta, un animale, un posto, una canzone, un libro… ci servono esercizi quotidiani di meraviglia, situazioni in cui la vita ci stupisce e la sua bellezza non può essere consumata, comprata, distrutta, ma solo ricevuta, amata, indagata e cantata. La meraviglia spinge a cercare il fondamento delle cose e il fondamento delle cose appaga il bisogno di senso, perché vince l’incessante scorrere del tempo.
Nonostante la fama di poeta malinconico e amaro, Gozzano, proprio nei suoi ultimi anni, scrisse bellissime poesie, un meraviglioso diario di viaggio in India, incantevoli fiabe per bambini, un documentario scientifico sulle farfalle, una sceneggiatura per un film su Francesco d’Assisi… Cercava la vita in cose e persone che ridestavano in lui la meraviglia, perché aveva capito che non muore chi trova e dona «la grande tenerezza per le cose che vivono» come dice un verso della poesia dedicata all’Ornitottera Pronomus, una farfalla australiana dalle ali di velluto nero e schegge di smeraldo, che ho conosciuto grazie al poeta: al solo guardarla vien voglia di stare al mondo. Gozzano è poeta delle piccole cose non per ristrettezza d’animo o amara ironia ma, al contrario, per sete di concretissima vivent necessaria a trasformare ogni solitudine e tristezza. Pensate che mondo sarebbe se ognuno di noi si prendesse cura di qualcosa di bello per poi regalarlo agli altri, come i bruchi di Guido ad Amalia: «Fra quindici giorni nasceranno. Mi scriverete e mi descriverete i loro colori; e mi direte che v’hanno detto da parte mia». Le avranno detto: «Ti amo»?
Fonte: Corriere.it