Nella sua bella intervista, il cardinale ha toccato molti punti. La sua preoccupazione è il destino della Chiesa italiana
Che pena gli attacchi al cardinal Ruini, paragonato da un commentatore all’ambasciatore della Germania nazista in Turchia e definito «cinico e fuori tempo massimo» da un altro. La sua colpa: avere affermato, in un’intervista al Corriere della Sera, che la Chiesa italiana non dovrebbe demonizzare Matteo Salvini ma trattarlo perlomeno come gli altri esponenti politici, e che il cattolicesimo politico di sinistra è in affanno. Intervista ricca e profonda come sono sempre gli interventi dell’ex presidente della Cei, che ha la rara capacità con frasi brevi e dense di dire tantissimo, che si tratti di questioni politiche o di verità di fede.
Ricordo qualche anno fa l’intervista che gli fece Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, trasmissione dove monsignor Ruini era stato messo decine di volte alla berlina dalla commediante Luciana Littizzetto. Fazio aveva la faccia dello scolaretto che fa fatica a rimanere serio mentre viene interrogato dal professore al quale ha fatto innumerevoli marachelle insieme a compagni birboni, anche se in realtà a fare le domande era lui. Il cardinale era stato invitato a presentare il suo libro Intervista su Dio – Le parole della fede, il cammino della ragione, ma venne interpellato molte volte su questioni relative al rapporto fra fede e politica, Chiesa e potere. Rispose con la consueta mansuetudine e pacatezza, e quando finalmente spuntò qualche domanda su Dio, morte, salvezza, eternità, ecc. si ebbe l’impressione che Fazio non capisse molto il senso delle risposte, che aprivano abissi vertiginosi, e stesse semplicemente seguendo il copione prefissato per arrivare alla fine della puntata.
La stessa impressione si ricava oggi dalle reazioni dei commentatori che hanno biasimato Ruini – non facciamo i loro nomi per non fare loro pubblicità, sia pure negativa, perché è pur sempre pubblicità che incrementa la loro notorietà – mostrando di non intendere il senso e il valore del suo discorso. Il cardinale non è sceso in campo in difesa di Matteo Salvini, ma del popolo cristiano e della società italiana. Palesemente non gli sta a cuore sdoganare il leader della Lega e la sua linea politica, ma evitare l’estinzione del popolo cattolico ovvero la sua mutazione genetica, che sta avvenendo non soltanto attraverso la temuta “salvinizzazione” di una parte dei credenti, ma anche e ancora più gravemente attraverso la riduzione della fede a umanesimo di fatto immanentista, che vede i cattolici che votano a sinistra (Pd, Italia Viva, Cinque Stelle, Leu) sempre più subalterni all’egemonia culturale e all’agenda politica del politicamente corretto.
Abbiamo messo in guardia in passato dallo scivolamento della Chiesa verso le posizioni liberal, rammentando il destino delle Chiese protestanti del Nord Europa e del Nord America, ridotte a numeri da prefisso telefonico e diventate vetrine di fenomeni da baraccone. Ultimo caso: Katherine Hancock Ragsdale, sacerdote donna della Chiesa episcopaliana del Massachussetts, sposata con un’altra donna prete con cerimonia ecclesiastica, or ora nominata presidente della National Abortion Federation, carica che si è guadagnata celebrando in chiesa benedizioni a donne che stavano recandosi ad abortire.
Ma per mettere in guardia la Chiesa cattolica italiana forse è meglio evocare la tendenza di cui sono vittime le omologhe Chiese cattoliche dell’America Latina. Nell’intervista al Corriere mons. Ruini sottolinea che l’amore per i poveri non contrappone, ma accomuna i pontificati di papa Francesco e Giovanni Paolo II. Però in America latina abbiamo visto piuttosto un’opzione preferenziale per i poveri e per l’indigenismo che non è stata percepita dal popolo dei battezzati come giusta traduzione del Vangelo, se è vero che – come si desume incrociando i dati del Pew Research Center con quelli di Latinobarometro – la percentuale dei cattolici sul totale della popolazione latinoamericana è scesa dal 92 per cento del 1970 al 59 per cento del 2017. Grandi paesi come il Brasile e l’Argentina nel giro di mezzo secolo hanno visto passare i loro cittadini che si dichiarano cattolici dal 92 al 53 per cento e dal 91 al 65 per cento.
Catastrofici tre paesi dove indigeni e meticci sono la grande maggioranza della popolazione: Guatemala, Nicaragua ed El Salvador, che nel 1970 erano tutti e tre sopra il 90 per cento di cattolici, e oggi stanno in una forchetta fra il 37 e il 40 per cento. I milioni di latinoamericani che hanno defezionato dalla Chiesa cattolica sono per la maggior parte rifluiti nelle Chiese evangeliche e per la minor parte, soprattutto in paesi come Cile e Argentina, fra gli agnostici e i “senza religione”. Frettolosamente i latinoamericani che sono passati alle Chiese pentecostali e carismatiche sono stati etichettati come persone attirate dal denaro e dal “Vangelo della prosperità” di impronta nordamericana, ma non è sempre così. Come ha spiegato Guzman Carriquiry, già vice presidente della Pontificia commissione per l’America Latina e convinto sostenitore del pontificato di papa Francesco, «nelle accoglienti comunità evangeliche si sperimenta un forte senso di appartenenza: la guarigione spirituale solleva un’autostima che mobilita coloro che sono considerati scelti da Dio. Si prendono cura dei loro bisogni materiali, attraverso la scuola, la salute e il lavoro, all’ombra dei templi che si moltiplicano facilmente. In questo modo, i cattolici più o meno passivi e nominali diventano evangelici attivi, devoti, con una maggiore disciplina nell’unità matrimoniale e con un maggiore impegno».
Se la Chiesa cattolica italiana, intenzionalmente o inintenzionalmente, dovesse continuare a proiettare un’immagine di sé centrata sull’accoglienza illimitata dei migranti e sull’ambientalismo alla Greta Thunberg (che è cosa molto diversa dall’ambientalismo alla Laudato Si’) e su di una sostanziale indulgenza sui temi della vita e della famiglia, è facile prevedere per essa e per tutta la società italiana un futuro che metterebbe insieme i tratti negativi del (post)cristianesimo nordeuropeo e del cattolicesimo pauperista latinoamericano: un’emorragia costante di fedeli che andrebbero o a costituire comunità protestanti non nel senso teologico del termine ma nel senso di una profonda separazione dai loro pastori della gerarchia ufficiale, o ad alimentare le file del disimpegno e dell’agnosticismo, o a costituire, infine, i primi nuclei della neo-chiesa organica ai valori deboli della post-modernità. Questi ultimi sono probabilmente quei soggetti presenti e attivi nella Chiesa italiana che non temono, bensì si augurano, il processo che ho appena descritto, perché non più credenti nelle verità dogmatiche del cristianesimo e favorevoli alla dissoluzione prima della Chiesa cattolica e poi di tutte le religioni nell’unica storia di salvezza che coincide con la storia stessa del mondo: sono gli epigoni di Karl Rahner. Costoro dunque demonizzano il card. Ruini perché la sua messa in guardia rischia di compromettere il processo di autodissoluzione così ben avviato, e che ha bisogno fra le altre cose di una demonizzazione del politico Salvini funzionale a una caccia alle streghe all’interno della Chiesa stessa.
Non sta a me dare consigli ai vescovi italiani. Faccio semplicemente presente che fra i cosiddetti “preti di strada” la mia preferenza non è mai andata a personaggi come don Andrea Gallo o come il comboniano padre Alex Zanotelli, che sembravano stare fra i poveri e i diseredati non per amore di Cristo e dei suoi fratelli più piccoli, ma per poter ostentare una loro personale superiorità morale e per poter godere dello scandalo che intenzionalmente cercavano di suscitare fra i cristiani comuni (“épater le bourgeois”, come dicevano i primi manifestanti nel Sessantotto). La mia preferenza è sempre andata ai don Oreste Benzi che umilmente e senza polemiche si esponevano tanto per la giustizia sociale che per la giustizia bioetica, tanto per i poveri che per le famiglie naturali. Faccio presente che il magistero morale presuppone l’imparzialità: se si è severi con Salvini sui migranti e sull’uso strumentale dei simboli religiosi, bisogna essere ugualmente severi anche coi politici che distruggono la famiglia, promuovono aborto ed eutanasia e vogliono togliere i crocefissi dai luoghi pubblici; oppure si cercano i punti di contatto con l’uno e con gli altri, si intavola il dialogo non per legittimare l’uno o gli altri, ma come via idonea a prevenire la polarizzazione e la disgregazione della società italiana. Che coinciderebbero con la polarizzazione e la disgregazione del popolo cattolico italiano.
Fonte: Rodolfo CASADEI | Tempi.it