La reazione del questore Antonio Pignataro a un claim di delivery. Le opinioni degli esperti: Siamo abituati ad ordinare la pizza a domicilio. Ad oggi apprendiamo che è consentita anche la consegna di “cannabis light”. È questa l’ultima trovata pubblicitaria apparsa sulle pagine di un noto quotidiano italiano.
Il questore: “Si dà una visione distorta della realtà”
Il questore Antonio Pignataro proprio non ci sta. Davanti al claim sul servizio di delivery della cosiddetta “cannabis light” in diverse città italiane, il questore di Macerata ha espresso la sua “indignazione per la deprecabile propaganda pubblicitaria di infiorescenza di cannabis attraverso mezzi di infomazione”. Come sottolinea Pignataro, la commercializzazione della sostanza non è ammissibile: “la vendita è vietata – dice – come sancito dalla sentenza n. 30475 /2019 rilasciata dalla Corte di cassazione“. Per il questore, l’aspetto paradossale di tutta la vicenda è dato dal fatto che, se da un lato “in attuazione di una direttiva comunitaria recepita dal decreto legislativo n. 300 del 2004 e prima ancora dalla legge n.165 del 1962, è vietata la propaganda pubbliciataria dei prodotti da fumo”, dall’altro si arriva a “promuovere sostanze stupefacenti pubblicizzate come legali agevolandone la vendita anche con consegna a domicilio, fornendo così ai giovani e alle loro famiglie una visione falsata e distorta dalla realtà. Questa è l’ennesima prova che ci troviamo di fronte ad una potenza economica che vuole, ad ogni costo, avvelenare i nostri giovani e distruggere le nostre famiglie” ha concluso il questore.
L’avvocato: “Lo Stato non può incoraggiare le dipendenze”
“La pubblicità comparsa su un quotidiano piuttosto popolare sulla vendita e consegna a domicilio di ‘cannabis light’ può determinare un incremento del rischio di una dipendenza per molte persone, soprattutto quelle più vulnerabili”. A dirlo e l’avvocato Rita Tuccillo, docente dell’Università degli Studi di Viterbo “La Tuscia”: “Il messaggio che viene inviato con propagande di questo tipo è che la ‘cannabis light’ è legale e che il relativo utilizzo non è deprecabile ma al contrario incoraggiato. Circostanze queste che non possono essere tollerate sia perché le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SS.UU. pen. n. 30475/2019) con una recente sentenza hanno affermato che la commercializzazione di derivati della cannabis come le inflorescenze è illegale e quindi costituisce reato a meno che non siano del tutto privi di efficacia drogante; ma anche perché lo Stato non può incoraggiare l’utilizzo di sostanze o il ricorso a pratiche che possono dare avvio a pericolose dipendenze”. L’avvocato Tuccillo ha fatto eco alle dichiarazioni rilasciate dal questore Pignataro sul paradosso dei divieti relativi alla propaganda pubblicitaria: “Il paradosso è che l’ordinamento giuridico vieta ormai dal 2004 la propaganda pubblicitaria dei prodotti da tabacco (D.Lgs. n. 300/2004), in quanto consapevole dei danni alla salute che essi provocano, vieta altresì la pubblicità dei giochi d’azzardo (D.L. n. 87/2018 conv. L. n. 96/2018) stante la pericolosità insita in questa pratica. Eppure, sembra tollerare la pubblicità del commercio di cannabis light”.
Il tossicologo: “Leggero non vuol dire innocuo”
“Non facciamo semplice tutto questo perché porta a danni irreversibili” è il commento di Daniele Prucher, chimico e tossicologo forense. Il 31 luglio 2018, il Ministero dell’Interno ha fissato il limite dello 0,5% di Thc oltre il quale le infiorescenze sono considerate sostanze stupefacenti, “eppure se l’organismo assorbisse lo 0,5% della sostanza, nel sangue ci sarebbe una concentrazione tale da interdire la guida, per esempio”. Il dott. Prucher mette in guardia da una tendenza a ridimensionare il problema: “Spesso si parla del principio attivo, ma dentro la cannabis vi sono cannabinoidi di cui non si sa nulla, per non parlare dei pesticidi e delle sostanze non regolamentate che sono utilizzate nella coltivazione”. Dalla coltivazione, il rischio si estende anche alla conservazione: “Tutti i materiali vegetali, se non conservati in maniera adatta, formano muffe e, dunque, microtossine pericolose” puntualizza il tossicologo, che ricorda: “leggero non vuol dire innocuo. Uno studio pubblicato da un ente statale in Colorado ha rilevato che, dall’inizio del consumo di cannabis, le diagnosi ospedaliere che riportano come motivazione l’abuso di sostanze stupefacenti sono aumentate di oltre il 500%. Se questo avvenisse in Italia, lo Stato sosterrebbe un costo sociale enorme”.
Fonte: Marco GRIECO | InTerris.it