In occasione del viaggio apostolico di Papa Francesco in Thailandia e Giappone proponiamo un breve profilo della miracolosa storia della Chiesa cattolica giapponese
Per i cristiani, il 15 agosto è il giorno della festa dell’Assunzione. Per il mondo, questa data segna l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale, il giorno in cui il Giappone si arrende agli Alleati, il 15 agosto 1945; sei giorni prima una bomba atomica viene sganciata su Nagasaki, un’importante città costiera nel sud-ovest del Giappone, provocando la più grande strage della storia umana. Per i cristiani giapponesi, il 15 agosto è una data carica di questi e altri significati, che, in modo misterioso, riguardano tutti noi.
La villa dei Moriyama e l’arrivo del Cristianesimo in Giappone – La nostra storia comincia al ground zero della bomba di Nagasaki, cioè la zona di Urakami, nella periferia settentrionale della città. Una mattina di fine 1931, quattordici anni prima della bomba, un ragazzo di 23 anni sta camminando verso una graziosa villetta vicino alla cattedrale cattolica, appena costruita. Il suo nome è Takashi Nagai, studente brillante, ateo, e orgoglioso discendente di un’antica famiglia di samurai. Studia medicina nella vicina università ed è in cerca di un alloggio: quella casa a due piani, circondata da un giardino di camelie, sembra essere un luogo ideale, e Nagai decide di bussare alla porta per chiedere se siano interessati a prendere un inquilino.
Nagai non ne ha idea, ma quella villa, dimora ancestrale della famiglia Moriyama, era stata il centro nevralgico del cattolicesimo giapponese per molte generazioni. Originari di Nagasaki, nel XVII secolo i Moriyama si erano ritirati a Urakami, allora un piccolo villaggio, per sfuggire alla persecuzione cristiana. I Moriyama furono infatti tra i primi giapponesi che si erano convertiti al cristianesimo dopo l’arrivo dei missionari dall’Occidente.
Il cristianesimo era arrivato in Giappone proprio nel giorno dell’Assunzione (15 agosto 1549), quando al gesuita Francesco Saverio fu permesso di sbarcare nel porto di Kagoshima, non lontano da Nagasaki. Catturati dalla passione di questi missionari, molti giapponesi, di tutte le classi sociali, si erano convertiti alla nuova chiesa, che nel 1579, al culmine dell’attività missionaria, contava più di 100mila membri. La maggior parte di loro viveva a Nagasaki, che era diventata in pochi anni il principale porto del commercio dall’occidente. Le autorità giapponesi, inizialmente incuriosite o almeno tolleranti, si insospettirono presto di questa nuova “religione occidentale”. Il sospetto si trasformò in persecuzione e migliaia di cristiani furono martirizzati, tra cui san Paolo Miki e i suoi compagni, crocifisso a Nagasaki nel 1597, e i “188 martiri del Giappone”, trucidati tra il 1603 e il 1639, e beatificati da Papa Benedetto XVI nel 2008.
La persecuzione cristiana si concluse solo nel 1639, quando le autorità shogun si convinsero che il cattolicesimo fosse stato finalmente sradicato dal Giappone, dopo un’ultima ondata di apostasie forzate ed esecuzioni brutali. Come dichiara il magistrato Shogun, nel bellissimo romanzo Silenzio dello scrittore Shūsaku Endō (ambientato proprio in quell’anno): “Il Giappone non è adatto all’insegnamento del cristianesimo. Il cristianesimo non può mettere radici qui. (…..) Sei stato sconfitto dalla palude del Giappone”. Per il magistrato di Endō, il cristianesimo è infatti una religione “occidentale”, necessariamente impastata della cultura, sensibilità e “potere” dell’Occidente, e quindi inevitabilmente “straniera”: e per questo in Giappone non c’è spazio per il cristianesimo. In realtà, questa convinzione del magistrato si sarebbe poi rivelata errata, secondo i tempi e i modi di Dio.
I cripto-cristiani e l’anello della catena – Il sacrificio glorioso dei martiri giapponesi è infatti solo una faccia della storia del cattolicesimo giapponese. I protagonisti del Silenzio di Endō non sono i martiri, ma piuttosto i “traditori”, gli “apostati”, cioè la stragrande maggioranza dei cristiani che non abbracciarono apertamente il martirio, ma rinunciarono alla loro fede (o finsero di farlo), calpestando simbolicamente un’icona sacrilega (il fumi-e), come richiesto dalle autorità. Nel suo romanzo Endō non giustifica affatto la loro apostasia: il tradimento degli apostati giapponesi è “peccaminoso” come quello di Pietro nel Vangelo, o del “prete del whisky” del Potere e la Gloria di Graham Greene, che è il modello letterario principale di Silenzio. Il romanzo di Greene è infatti ambientato anch’esso in un’epoca di persecuzione, e ha come protagonista un sacerdote peccaminoso e apostata, ma che misteriosamente diventerà uno strumento della Provvidenza di Dio.
L’apostasia giapponese fu “peccaminosa”, ma, come per il “prete del whisky”, non fu “la fine della storia” tra Dio e il Giappone. Quei cristiani “infedeli”, che apparentemente avevano rinunciato alla loro fede, la mantennero in segreto e divennero “cripto-cristiani”. Come racconta lo stesso Endō: “I cripto-cristiani (…..) conservarono la fede tramandata dai loro antenati. Ma dovevano condurre una doppia vita. Da un lato, fingevano di essere buddisti; e quando venivano convocati alla fine di ogni anno, calpestavano un’immagine della Vergine Maria (o fumi-e) per dimostrare di non essere cristiani. D’altro, al ritorno a casa, si pentivano amaramente e versavano lacrime per la loro infedeltà”.
I cripto-cristiani rimasero apostati per tutta la loro vita, ma di fatto non si staccarono mai dal rapporto con Dio e dalla tradizione della loro fede. Grazie alla loro “fedeltà nell’infedeltà” mantennero viva la fede cristiana in Giappone, per più di due secoli. Non avevano sacerdoti, né Eucaristia, e per questo motivo crearono dei responsabili della loro vita comunitaria, come l’“uomo d’acqua”, responsabile del battesimo, o il “custode del calendario”, che preservava la memoria delle feste liturgiche. La famiglia Moryama era appunto tra questi responsabili, e la casa dove Nagai cercò alloggio nel 1931 era stata per generazioni la sede segreta della Chiesa di Urakami.
Fu proprio in quella casa, o meglio nella stalla in giardino, che nel 1865 fu celebrata, in gran segreto, la prima messa giapponese dell’epoca moderna, in seguito alla riapertura delle frontiere, imposta al Giappone dalle potenze occidentali. A celebrare quella messa fu il missionario Padre Petitjean, che rimase a dir poco sbalordito dalla scoperta inaspettata che il cristianesimo non era scomparso in Giappone, che il seme non era stato consumato dalla palude. La congregazione era composta dai pochi ma fedeli cristiani di Urakami, che avevano riconosciuto nel missionario francese il compimento di una promessa ancestrale, tramandata di generazione in generazione: i sacerdoti sarebbero tornati in Giappone, e sarebbero stati riconosciuti dal loro celibato, dalla loro fedeltà al Papa e dalla loro devozione a Maria.
Ma quella messa non sarebbe stata la fine delle sofferenze per il cristianesimo giapponese: meno di un anno dopo, il nuovo governo decise di intervenire per eliminare la nuova infestazione, prima che si diffondesse. I cristiani di Urakami furono deportati in campi di concentramento e costretti brutalmente a tradire la fede. Molti morirono di torture o stenti, ma alla fine delle persecuzioni i superstiti tornarono ad Urakami; e nel 1895, con l’abolizione formale del divieto del cristianesimo, i cristiani di Urukami iniziarono la costruzione di una cattedrale, dedicata proprio a quella Vergine Maria che i loro antenati avevano calpestato sui fumi-e.
La cattedrale fu completata nel 1925, e nel 1931 le sue guglie si stagliavano nei cieli di Nagasaki, proprio nei pressi della casa dei Moryama. Tra i cristiani sopravvissuti che erano tornati a Urakami dai campi di persecuzioni c’era infatti il padre di Sadakichi Moryama, che sarebbe diventato il padrone di casa di Nagai, e poi suo suocero. Nel 1934 Nagai sposò sua figlia, Midori Moryama, due mesi dopo essere stato accolto e battezzato nella Chiesa cattolica di Urakami.
Nagai e l’olocausto di Nagasaki – Nella casa dei Moryama, Nagai non aveva trovato solo il centro affettivo della propria vita, ma anche la risposta all’inquietudine esistenziale che lo aveva caratterizzato fin da bambino. Il suo ateismo, maturato nel clima scientista della sua università, evaporò nell’incontro con la bellezza della vita cristiana dei Moryama. Nagai si legò alla storia del cristianesimo giapponese, il lungo e ininterrotto filo dipanato grazie alla paradossale (in)fedeltà dei cripto-cristiani. Nagai si legò a quella storia, e la arricchì, diventando il primo servo di Dio giapponese dell’età moderna. La sua vita eccezionale è raccontata nei suoi numerosi scritti, e anche nella brillante biografia di Paul Glynn, A song for Nagasaki, recentemente ristampata nel 2009, con una prefazione dello stesso Shūsaku Endō (ed. italiana Pace su Nagasaki, Paoline 2015).
Grazie al suo carisma, Nagai diventò ben presto un punto di riferimento per i cristiani di Nagasaki, sostenuto dall’amore della moglie Midori. Come radiologo si guadagnò la stima e il rispetto negli ambienti sociali della città. Tra i tanti rapporti di Nagai, ci fu anche quello con san Massimiliano Kolbe, poi assassinato ad Auschwitz, che era impegnato nella missione francescana di Nagasaki alla fine degli anni Trenta. In seguito Nagai attribuì propria a Kolbe la sua miracolosa guarigione da una delle sue tante malattie.
Nagai divenne cristiano, ma rimase sempre un giapponese, con tutto il suo patriottismo, il suo amore per la letteratura giapponese e la sensibilità tipica del suo popolo. La storia di Nagai smentisce l’affermazione del magistrato di Endō, secondo cui l’identità cristiana e quella occidentale sono una simbiosi necessaria. Più in generale, dimostra che il cristianesimo non distrugge, ma semmai trasfigura e potenzia ciascuna tradizione, cultura e sensibilità, per l’arricchimento tutta la Chiesa, ma anche per il bene del proprio paese e della propria società.
Tutto questo fu rivelato con chiarezza, in modo tragico, dopo il fatidico 9 agosto 1945: quel giorno Nagai lavorava, come al solito, nel suo ospedale, quando la bomba atomica cadde a soli 500 metri dalla Cattedrale cattolica, dove una congregazione partecipava alla messa in preparazione all’Assunzione. Morirono tutti sul colpo, insieme a migliaia di altri uomini e donne di Urakami. Alcuni sopravvissero all’impatto, ma morirono nelle ore successive, dopo indicibili tormenti. Nagai era vicinissimo al ground zero, ma sopravvisse perché si trovava nel suo reparto di radiologia, protetto dalle radiazioni. Emerse fuori dal suo rifugio qualche ora dopo, per trovare una devastazione senza paragoni, un inferno di tormento, e sua moglie Midori ridotta a un mucchio di ossa.
Eppure, anche in quel momento Nagai non cedette alla disperazione, e sostenuto da una frase del Vangelo (“I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai”) cominciò a prendersi cura dei suoi compagni sopravvissuti, sia fisici che spirituali. In seguito Nagai sarebbe diventato un esempio di riconciliazione e di ricostruzione per la società giapponese, riconosciuto anche dalle autorità politiche. Nagai fu anche un prolifico scrittore: il suo libro Le campane di Nagasaki, pubblicato settant’anni fa nel 1949, esattamente 400 anni dopo l’arrivo del cristianesimo in Giappone, divenne un best-seller e fece conoscere Nagai anche all’estero. Nagai morì nel 1951, dopo anni di sofferenze, dolorose ma gioiose, stringendo in mano il rosario che gli era stato donato da Pio XII.
Forse la migliore testimonianza dell’atteggiamento cristiano di Nagai si trova nel discorso che tenne nel novembre del 1945, in occasione della messa celebrata sulle rovine della vecchia cattedrale, poi ricostruita nel 1959 (un altro anniversario da celebrare nel 2019). Alcuni brani possono essere citati per intero, in conclusione della nostra storia. Sono parole dure, ma che testimoniano con forza le vie misteriose ma sicure della provvidenza di Dio, la natura della vocazione cristiana e la certezza che non c’è luogo, né abisso del peccato umano, dove Dio non faccia sentire la sua voce.
“La mattina del 9 agosto, il Consiglio supremo della guerra era in sessione (…) Si doveva prendere una decisione. (…) la pace o un ulteriore crudele spargimento di sangue e di vite umane. E proprio allora, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica esplose sul nostro villaggio. In un istante, ottomila cristiani furono chiamati a Dio, e in poche ore le fiamme trasformarono in cenere questo venerabile luogo santo dell’Estremo Oriente. (…) Il 15 agosto fu formalmente promulgato il Rescritto Imperiale, che pose fine ai combattimenti, e il mondo intero vide la luce della pace. Il 15 agosto è anche la grande festa dell’Assunzione della Vergine Maria. È significativo, credo, che la Cattedrale di Urakami fosse dedicata a lei. Dobbiamo chiederci: questa convergenza di eventi, la fine della guerra e la celebrazione della sua festa, è stata solo una coincidenza, o è stata la misteriosa Provvidenza di Dio? (…) Non è stato l’equipaggio americano, credo, a scegliere il nostro sobborgo come obiettivo. La Provvidenza di Dio scelse Urakami e portò la bomba proprio sopra le nostre case. (…) Non fu Nagasaki la vittima prescelta, l’agnello senza macchia, ucciso come offerta bruciata sull’altare del sacrificio, per espiare i peccati di tutte le nazioni durante la seconda guerra mondiale? (…) Il Signore ha dato; il Signore ha portato via. Sia Benedetto il nome del Signore. Ringraziamo che Nagasaki sia stata scelta come olocausto di redenzione! Ringraziamo che attraverso questo sacrificio, al mondo è stata concessa la pace, e al Giappone la libertà religiosa”.
Fonte:Giuseppe Pezzini | IlSussidiario.net