L’azione della Commissione Segre non potrà portare che a divieti ed anatemi, senza far crescere l’umanità che è in noi ed aumentando, paradossalmente, le schiere dei neofascisti
Le reazioni all’istituzione della Commissione Segre hanno avuto il pregio di restare nel merito dell’insegnamento e dello studio della storia; fra questi il ponderato commento di Fabrizio Foschi su queste pagine. D’altra parte ogni critica seria deve ammettere che il problema del razzismo, dell’antisemitismo, dell’odio fomentato e diffuso nei confronti di colui che appare, di volta in volta, il nemico, sia reale e non sia più esclusiva di qualche balordo. Nelle grandi pestilenze c’è sempre un “paziente zero” e, ormai, il limite della sopportazione è stato abbondantemente superato, dai cori negli stadi contro i giocatori di colore (che fino agli anni Ottanta potevano essere chiamati “negri” senza alcuna implicazione razzista), agli slogan contro stranieri e qualsiasi altro membro della razza umana che non si attagli a sempre più ristretti criteri di appartenenza.
Rileggendo il testo della mozione votata al Senato, rispetto a quelle di minoranza, si ha la sensazione che vengano presi in considerazione solo attacchi consumati da europei di stirpe caucasica contro tutti gli altri.
Si parla, per esempio di antislamismo e non una parola contro l’anticristianesimo: non una parola su quelli che possono essere scontri razziali tra stranieri come accaduto in Gran Bretagna nei Birmingham riots del 2005. Non si prende nemmeno in considerazione che l’odio razziale fra popoli africani è tra i più feroci. Manca la prospettiva di una società che si vorrebbe multietnica e pluralista ma senza un criterio comune. Sappiamo bene che il nazismo che oggi risorge in manifestazioni folkoristiche quanto emetiche è da condannare ma nulla si dice sul comunismo o, comunque, sul concetto di dittatura o di ideologia che tenda a cancellare l’avversario.
Ma, come diceva Sartre, “l’enfer, c’est les autres”: i cattivi sono gli altri, meglio se si tratta del nemico politico di turno.
La sinistra, in questo, riesce davvero ad essere maestra appropriandosi delle epopee, come la Resistenza, espropriando coloro che ne fanno parte e occupando militarmente la storia. In questo modo la sinistra italiana è riuscita a sputtanare la Resistenza italiana, rendendola, agli occhi dei più, come un duello tra rossi e neri, mentre le componenti (dai monarchici ai repubblicani, liberali, cattolici e massoni) erano davvero tante e definirsi “antifascisti di destra” appare un ossimoro e non la posizione della maggioranza dei partigiani italiani.
Non è tanto il momento di aggiungere una polemica all’altra, quanto di cercare di recuperare la bellezza e la grandezza di epoche storiche vissute dai protagonisti come momenti di idealità pura, complesse e contraddittorie, ma degne di essere un esempio di civiltà e di impegno per le generazioni future. Il Risorgimento è il primo esempio di ciò. Solo una lettura polemica e scomposta, ultimamente subordinata alla vulgata liberale e massonica, riesce a non vedere in decine di migliaia di volontari, generosi e coraggiosi, il desiderio di spendere la propria vita per la libertà dell’Italia e tra questi tantissimi cattolici fedeli alla Chiesa. Prendiamo l’ultima lettera di Tito Speri, l’eroe delle Dieci Giornate di Brescia, impiccato nel 1853: “Fermamente attaccato alla fede ed ai principi della Chiesa di Cristo dichiaro di morire rassegnato e tranquillo, invocando il perdono di tutti quelli che avessi offeso, perdonando sinceramente a coloro che mi hanno fatto del male, sospirando di passare nel seno di Dio, mondato, come spero, dei miei trascorsi, e supplicare da Lui, col sospiro ardente dell’anima, la grazia di illuminar la mente di tutti, acciocché finita la discordia e la guerra tra gli uomini incominci finalmente il regno della pace e della carità”.
Sulla Resistenza, su queste pagine ho già avuto modo di scrivere come essa sia legata spiritualmente al Risorgimento e come sia davvero il fondamento della nostra repubblica. Ecco cosa scriveva Giancarlo Puecher, fucilato a Erba il 23 dicembre 1943: “L’amavo troppo la mia patria: non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia”.
E che dire poi del dissenso dell’Est, ricordato in questi giorni nell’anniversario del crollo del Muro di Berlino? Cosa ha distrutto il comunismo? Il consumismo o l’umanesimo della dissidenza europea? E gli epigoni di tale epopea non sono stati spazzati via dalla politica dei nazionalismi dell’Europa orientale? Perché l’Occidente si è rifiutato di coltivare quella tradizione umanistica? Forse perché dava ad essa un’impronta confessionale cattolica nella figura di Giovanni Paolo II, dimenticando gli agnostici come Vaclav Havel, gli ebrei come Adam Michnik, i socialisti come Jacek Kuron, i non credenti come Vladimir Bukovskij. Non c’erano solo i cattolici come Vaclav Benda e Josef Tischner. Ma no, tutto buttato a mare: finita la guerra si può fare a meno dei guerrieri, specie se pacifici.
È da questi umanesimi degli ultimi due secoli che l’Italia e l’Europa devono ripartire perché “la verità – come diceva padre Romano Scalfi – è persa ogni giorno quando ogni giorno non viene ricercata, diventa astratta quando non è esperienza, si fa schema quando non declina nella carità”.
L’azione della Commissione Segre non potrà portare che a divieti ed anatemi, senza far crescere l’umanità che è in noi ed aumentando, paradossalmente, le schiere dei neofascisti che vedranno in tale posizione estrema un’alternativa radicale all’avversario. È concettualmente sbagliato porsi a metà tra due errori: bisogna stare al di sopra degli errori. La commissione Segre non ha, evidentemente, questa aspirazione.
Fonte: Alberto Leoni | IlSussidiario.net