Piano col catastrofismo, dice un fisico illustre che ha studiato le nubi per tutta la vita: per il pianeta ci sono più difese in cielo e in terra che in tutte le nostre carbon tax.
Franco Prodi è membro dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei Quaranta, è stato professore ordinario di Fisica dell’atmosfera all’Università di Ferrara e ha diretto il Fisbat (Istituto per lo studio della Bassa ed Alta atmosfera) e l’Isac (Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima) entrambi del Consiglio nazionale delle ricerche. In questo periodo è molto impegnato a rilasciare interviste sulla stampa non specialistica, perché è autorevole rappresentante di quegli scienziati che mostrano scetticismo nei riguardi del catastrofismo climatico.
Professore, se ho capito bene l’Ipcc (Gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico) sostiene di essere certo al 95 per cento che l’aumento di temperatura media registrato negli ultimi due secoli è dovuto all’azione umana. Perché questa affermazione è discutibile?
L’affermazione dell’Ipcc, con tanto di stima percentuale di attendibilità, non è scientificamente fondata. La conoscenza attuale del sistema clima non consente di separare con precisione l’effetto antropico dalle altre cause naturali di cambiamento che hanno sempre operato prima dell’avvento dell’epoca industriale e che continuano a operare: la causa astrofisica (variabilità del sole) e la causa astronomica (variazione nella distanza stella-pianeta e precessione angolare dell’asse terrestre sul piano dell’eclittica). Altre cause naturali poco conosciute di cambiamenti sono il flusso di calore che proviene dall’interno della terra, le emissioni dei vulcani, il degassamento della crosta terrestre (con relative emissioni di Co2), il ruolo della circolazione oceanica, l’interazione vegetazione-atmosfera e oceano-atmosfera. Molti scienziati sostengono che l’aumento di 7 decimi di grado per secolo dai primi dell’Ottocento ad ora, mostrato dagli strumenti, sia parte dell’aumento dal minimo della piccola glaciazione, intorno al 1650. Come fisico dell’atmosfera, e delle nubi in particolare, consiglio cautela nell’accettare conclusioni ottenute da modelli nei quali le nubi, che sono al centro del sistema climatico, sono parametrizzate in modo approssimativo, se non grossolano. Io non nego che ci sia un effetto antropico sul clima: nego che sia quantificabile, alla luce delle conoscenze attuali.
I sostenitori dell’origine antropica del riscaldamento sottolineano che nel 1800 la concentrazione di Co2 nell’atmosfera era di 280 parti per milione, oggi, dopo due secoli di industrializzazione, è di 415, un livello che non si conosceva dal Pliocene, 4 milioni di anni fa. Cosa non va in questo ragionamento?
Non va la corrispondenza causa-effetto fra aumento della concentrazione di Co2 e riscaldamento, come se fossero le uniche due parti in commedia. Si ammette come sicura la proporzionalità fra i due: più Co2, più riscaldamento. Si ignora per esempio la discussione sulla saturazione possibile delle bande di assorbimento di questo gas: oltre a un certo livello l’aumento di anidride carbonica non determinerebbe altro riscaldamento. Non si valuta poi adeguatamente il ruolo concomitante di tutti gli altri gas serra (il vapore acqueo, il metano, l’ozono, l’anidride solforosa) e soprattutto il cosiddetto feed-back, cioè il modo in cui il sistema complesso reagisce ad ogni variazione definita. Faccio un esempio. All’aumento di temperatura corrisponde certamente un maggior contenuto di vapore in atmosfera e presumibilmente maggiore copertura e spessore delle nubi, le quali, si sa, hanno complessivamente un effetto di raffreddamento, quindi opposto al riscaldamento. Quanto all’affermazione che questo livello, di 415 parti per milione, non si ha da 4 milioni di anni, ho seri dubbi che sia attendibile. Non è il mio campo di ricerca, mi informerò dai paleoclimatologi.
Riusciremo un giorno a definire in maniera abbastanza precisa i differenti apporti che determinano aumenti o diminuzioni della temperatura media planetaria?
Vedo tale giorno assai lontano. Vedo come non corrisponda, alla visione catastrofista oggi così diffusa, un impegno di ricerca corrispondente alla gravità prospettata. Ad esempio, le missioni spaziali mirate allo studio del clima sono carenti. L’obiettivo di precisare i vari apporti è assai difficile da raggiungere, e non credo si possa conseguire con la sola modellistica numerica, quella coltivata nei grandi centri di Germania, Giappone, Stati Uniti, che parametrizza in maniera ancora troppo grossolana certe componenti. Penso che, almeno per definire aumenti o diminuzioni complessive della temperatura dell’aria in prossimità della superficie del pianeta, si potrebbero ottenere risultati importanti con missioni spaziali, per esempio installando un osservatorio sulla luna con “fotomoltiplicatori” rivolti alla terra, cioè sensori estremamente sensibili che ci direbbero molto sulla tendenza al raffreddamento o al riscaldamento del nostro pianeta.
Ai fini di un contenimento del riscaldamento globale trova razionale l’introduzione di incentivi e disincentivi fiscali miranti a diminuire sensibilmente le emissioni di anidride carbonica in atmosfera?
L’effetto delle attività industriali sul pianeta è certo, non solo per quanto riguarda l’immissione di gas in atmosfera (la Co2 prodotta dall’uso di combustibili fossili, il metano degli allevamenti animali, eccetera), ma anche in relazione alla variazione dell’uso dei suoli e quindi della loro emissività, nella immissione di particelle di ogni genere nell’atmosfera, eccetera. Chiamiamolo inquinamento planetario: dell’atmosfera, dei fiumi, dei terreni, degli oceani. Misurabile dai satelliti e da sensori terrestri. Negli accordi internazionali partirei da questi problemi, e non dalla connessione riscaldamento-Co2. Molte azioni inquinanti “fanno male” anche al clima, ma non sono esattamente coincidenti. Nel momento in cui si intende dare una sterzata al modo di vita dell’umanità intera, a partire dall’economia, occorre tenere presente questa distinzione. Per quando riguarda gli incentivi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, questi possono essere positivi ma non devono essere motivati da una “lotta al riscaldamento” sulla quale manifesto le mie riserve, bensì piuttosto come fase iniziale di un lungo avvicinamento alla tutela totale del pianeta. Questo implica un aumento esponenziale della raccolta differenziata, il recupero delle materie prime, la riduzione della mobilità superflua, il risparmio dell’energia e la sua efficienza di impiego. Per definire queste strategie di transizione occorrono competenze specifiche, ma il quadro generale deve tenere presente per quanto tempo saranno effettivamente disponibili i combustibili fossili e il fatto che l’uomo contemporaneo è uscito dal ciclo naturale.
Diceva prima che le nubi hanno un effetto di raffreddamento sul clima planetario. In che misura? È vero che potrebbero contenere gli aumenti di temperatura ben al di sotto di quanto previsto in alcuni scenari?
Non è possibile quantificare l’effetto, ma indubbiamente le nubi rappresentano il principale elemento di autoregolazione del sistema. Si stima che globalmente le nubi portino a un raffreddamento di 17 watt su metro quadrato. In estrema sintesi: quando aumenta la temperatura dell’atmosfera aumenta il vapore acqueo, che va ad aumentare le nubi, che contribuiscono a raffreddare la temperatura. I fotoni della radiazione solare vengono per il 30 per cento riflessi nello spazio (effetto albedo) dalla sommità delle nubi; il resto viene in parte assorbito e in parte diffuso (scattering) da particelle, goccioline e cristallini di nube. Per afferrare la complessità del processo ricordo che anche la radiazione diffusa da un elemento va ad incidere sugli elementi vicini, altre goccioline o altri cristallini.
Come sono cambiate le nubi dopo due secoli di economia industriale?
Dai primi voli strumentati entro le nubi negli anni Trenta del secolo scorso si sono fatti enormi progressi nella loro conoscenza, sia per quanto riguarda l’aspetto microfisico (struttura e composizione, se composte da goccioline o cristalli) che nel comprendere i meccanismi di formazione delle precipitazioni. Sappiamo che le goccioline di nube si formano su particelle estranee, e particelle estranee sono necessarie anche per passarle alla fase ghiaccio. Poiché l’uomo produce particelle (così come la natura), è certo che sta cambiando le stesse caratteristiche microfisiche delle nubi. Ad esempio si è osservato che nubi formate su aree metropolitane estese tendono ad avere maggiori concentrazioni di goccioline delle altre nubi, ma meno attitudine a produrre precipitazioni. Fortunatamente (e non ci si pensa mai abbastanza) le nubi hanno anche una funzione fondamentale di “nettezza urbana” dell’atmosfera, attraverso meccanismi fisici che ho studiato tutta la mia vita di ricercatore: cattura aerodinamica, elettrostatica, termoforetica, eccetera. Esse cioè attraverso le precipitazioni riportano a terra gli inquinanti immessi nell’atmosfera.
È verosimile uno scenario in cui l’umanità spende 150 mila miliardi di dollari per la transizione ad energie diverse dagli idrocarburi e nonostante questo la temperatura della Terra continua ad aumentare?
Ho implicitamente risposto evidenziando la difficile attribuzione delle cause, antropiche e naturali, dell’aumento della temperatura, e non ho informazioni di prima mano sulle spese per le rinnovabili a livello mondiale.
Su quale problema ambientale diverso dalle emissioni di anidride carbonica la comunità internazionale dovrebbe concentrare la sua spesa, a suo parere? Qual è la crisi ambientale che la preoccupa di più e per la quale si sta facendo meno?
Ho già ricordato l’urgenza della raccolta differenziata, occorre porre fine al del saccheggio del suolo agrario e ridurre l’inquinamento in tutti gli ambiti. Sono sconvolto dalle dimensioni del commercio mondiale. Una sola nave può caricare 27 mila container, e per scaricarla occorrono 150 treni. Ma qui esco dalle mie competenze ed esprimo solo sentimenti e preoccupazioni.
Studiando per tutta la vita la fisica delle nubi, cos’è che l’ha colpita di più da un punto di vista non strettamente scientifico, dal punto di vista cioè dell’uomo che guarda con meraviglia il creato?
Le confesso che provo timore al pensiero che si possa arrivare a modificare artificialmente le nubi, ad andare oltre ai tentativi che si sono fatti dagli anni Cinquanta, con risultati finora modesti, per produrre la pioggia. Sono turbato al pensiero che possa io stesso avere contribuito ad allargare il territorio del conosciuto e del modificabile, togliendo alle nubi un po’ della loro poesia. E poi, nubi a parte, medito sul ruolo della biosfera all’interno dello stesso sistema clima: la biosfera ha un ruolo di cerniera per lo stesso sistema climatico, e questo impone dei doveri all’uomo, che sta ai vertici della biosfera ed è dotato della ragione.
In un’intervista di qualche tempo fa lei ha affermato: «L’umanità è uscita dal suo ciclo naturale, questa deve essere la nostra consapevolezza e gli uomini di scienza devono dirlo, ragionando sulle nostre risorse ormai limitate». Che cosa intende dire?
Mentre prima dell’era industriale si poteva associare a ogni uomo vivente il consumo di una lampadina da 80 watt, ora si deve associare allo stesso una lampadona da 2.000-3.000 watt, o se preferisce un paragone di un altro collega, un’intera trireme romana in perpetuo lavoro (equivalente all’uomo che esce da una casa riscaldata, entra in ascensore, sale in automobile, mangia cibi ottenuti col trattore, viaggia come un matto…). Alla domanda “per quanto tempo possiamo disporre delle risorse fossili?”, si deve poter dare una risposta, una riposta dalla quale fare dipendere delle strategie a lunghissimo termine. Un governo mondiale delle risorse fossili potrebbe doversi sostituire alla pura logica di mercato.
Qualche anno fa la Chiesa cattolica è intervenuta sulla questione ambientale con l’enciclica Laudato si’. Quale è l’aspetto più prezioso di quell’intervento a suo parere?
Ho molto amato questa enciclica. Ho notato che dedica poco più di una riga alla questione del riscaldamento globale, mentre tutta la tensione è rivolta alla tutela dell’ambiente planetario e alla responsabilità dell’uomo verso i suoi simili e i viventi. Offre un quadro di riferimento per l’intera umanità in questa travagliata fase di disorientamento generale.
Fonte: Rodolfo CASADEI | Tempi.it