Il testo inedito di Chesterton, di cui pubblichiamo qui solo una parte ridotta, è tratto dal nuovo numero di “Luoghi dell’Infinito, in edicola con “Avvenire” da martedì 3 dicembre. Lo speciale numero 245 è dedicato alle arti e alla loro capacità di dare corpo e forma al mistero del Natale. Nell’editoriale Ermes Ronchi riflette sulla notte che cambia la storia: l’Infinito si fa finito, il «vasaio diventa egli stesso argilla». È di Antonio Paolucci l’articolo di apertura dello speciale “L’arte del Natale”: lo storico dell’arte racconta sei pittori, da Giotto a Caravaggio, in adorazione a Betlemme. L’editore Roberto Cicala traccia una sorta di autobiografia poetica attraverso gli autori che hanno dedicato le proprie rime al presepe. La storica dell’architettura Maria Antonietta Crippa ci porta a Barcellona per raccontarci la facciata della Natività della Sagrada Familia di Gaudì. Lo studioso di iconologia Roberto Filippetti ci fa vedere il presepe con gli occhi di Giotto. Il critico musicale di “Avvenire” Pierachille Dolfini medita la storia della natività al suono di brani extranatalizi, da Bach a Verdi. Lo speciale si conclude quindi proprio con l’inedito di Gilbert Keith Chesterton, sul profondo e antichissimo senso della festa e del rito.
Il Natale è stato al centro di innumerevoli controversie e ha la fortuna di essere stato salvato più volte dai suoi nemici. Infatti, come molte altre belle realtà, ha sofferto di più per la freddezza dei suoi amici scettici che non per il calore dei suoi nemici fanatici. Il fanatismo dei suoi detrattori ha solo incoraggiato il fedele alla sfida e ha confermato l’importanza del rito; al contrario, trasformandolo in una routine, il Natale rischia veramente di scomparire. Il rito è l’esatto opposto della routine. Il mondo moderno è fuori strada perché è caduto sempre più nella routine.
L’essenza del vero rito sta nel compiere qualcosa di significativo: può sembrare rigido, lento o cerimonioso nella forma perché dipende dalla natura artistica che assume. Ma viene celebrato in quanto ha un significato. L’essenza della routine sta invece nella sua insignificanza. Colui che celebra il rito è consapevole di ciò che sta facendo. Invece il lavoratore costretto alla catena di montaggio non conosce ciò che sta facendo. Forse è un vantaggio il fatto che compia tali noiose mansioni in modo così distaccato; ma si può discutere se tale ripetitività sia un bene per il mondo del lavoro. Forse è un bene, per chi lo apprezza, che il lavoro sia così inconsapevole, forse è un bene che si diventi come degli animali o degli automi. Ma tutto cambia se qualcuno agisce in conformità a determinate idee, anche se le consideriamo antiquate.
Tutto cambia se qualcuno professa l’arte sacra e solenne del mimo, anche se non ci piace la mimica. Il principio dei rituali antichi è quello di compiere gesti inutili ma che significano qualcosa. Il principio della routine moderna è quello di fare cose utili, come se non significassero nulla. Si dice spesso che le modalità della festività natalizia nacquero nell’antico mondo pagano e furono tramandate al nostro nuovo mondo pagano. Ma ognuno, sia un nuovo o un antico pagano o persino (le vie del Signore sono infinite) un cristiano, rispetta questa significativa pantomima così come si rispetta ogni rituale cristiano. Il professore di etnologia potrà attribuire la tradizione del vischio ai Druidi o a Baldr [la divinità nordica del Sole, ndt].
Ma deve riconoscere che certe cerimonie venivano sempre celebrate con il vischio e anche l’etnologia ammetterà che persino alcuni professori le hanno celebrate così. Il critico musicale o lo studente di storia dell’armonia potrà paragonare la qualità delle antiche carole a quella delle canzoni moderne. Ma dovrà acconsentire che pure nei tempi più remoti i bambini iniziavano a cantare le carole natalizie durante il periodo dell’Avvento. Come tutti i bambini sono al passo coi tempi e non intoneranno di certo le carole di Natale in una notte di mezza estate. In breve, se qualcuno osserva ancora le tradizioni natalizie sa che sono caratterizzate da un preciso rituale legato al succedersi del tempo e delle stagioni. Esso viene celebrato in un tempo specifico cosicché la gente si renda conto di una verità specifica, come in tutte le cerimonie, come il silenzio nel giorno del ricordo dei caduti o il saluto del nuovo anno con i cannoni o le campane.
Si tratta di fissare nella mente una data festa o un ricordo. Il trascorrere del tempo si carica di significato. Troppo spesso il concetto di emancipazione tende a rendere tutti i momenti della vita insignificanti. L’antica concezione della liberazione era quella di elevare la persona a una consapevolezza più intensa; la concezione moderna è quella di farla cadere in un vuoto mentale. Ecco perché si dice, e molti giornalisti lo sostengono, che una civiltà di robot sarebbe più efficiente e pacifica. Essere del tutto privo di consapevolezza è il vantaggio del robot. Posso ammettere tutti i difetti delle antiche usanze, ma non che siano morte o prive di senso.
È la società senza usanze a essere morta e insignificante. Se un professore mi dicesse in tutta sincerità: “Non voglio baciare la ragazza sotto la decorazione di vischio in quanto mi fa pensare a ciò che sto facendo, preferisco baciare ogni genere di ragazza dove voglio senza pensare a ciò che sto facendo”, lo considererei un tipo onesto e potrei discutere con lui su fatti concreti dell’etica etnologica. Se un ragazzino di strada mi dicesse: “Mi piace schiamazzare quando voglio e non devo aspettare un particolare giorno dell’anno per farlo”, ammetterei che è nella natura dei ragazzini fare chiasso e nutrirei una certa simpatia per lui, essendo stato anch’io un ragazzino. Ma se mi dicessero che i gesti e le canzoni rituali sono meno significativi degli istinti naturali di baciare chiunque o schiamazzare ovunque non mi troverei d’accordo sul piano puramente intellettuale. Mi sembra che così la vita stia diventando troppo monotona e meccanica. Se l’obiettivo è quello di vivere in modo più intelligente e intenso, di aumentare l’immaginazione, cioè di donare un significato alla realtà, allora penso che si possa raggiungere questo scopo molto meglio mantenendo i gesti simbolici, le stagioni, le ricorrenze, piuttosto che lasciare andare ognuno alla deriva.
(da “Illustrated London News”, 21 dicembre 1935, per la prima volta edito in Italia. Traduzione di Andrea Colombo)
Fonte: Avvenire.it