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Canada, lo Stato ricatta gli hospice: erogate l’eutanasia o chiudete

L’Irene Thomas Hospice non vuole che la “buona morte” sia praticata all’interno della struttura laica che somministra cure palliative. La riposta del governo: allora niente fondi pubblici

Chiunque riceve finanziamenti pubblici per curare le persone deve fornire loro l’assistenza al suicidio. In caso contrario, dovrà chiudere. Un macabro paradosso: in Canada attrezzarsi per procurare la morte ai malati è diventata la condizione per la sopravvivenza delle strutture nate per assisterli fino alla fine: chi non è d’accordo salta. È capitato a Nancy Macey, fondatrice e direttrice dell’Irene Thomas Hospice a Ladner, Columbia britannica: una struttura laica tra le altre sovvenzionate dalla Fraser Health Authority in cui Macey si è sempre rifiutata di proporre la morte come alternativa alle cure palliative. Macey è stata rimossa dal suo incarico e il ministro della salute Adrian Dix ha suggerito alla Fraser Health di togliere i contributi pubblici alla Delta Hospice Society, società che gestisce la struttura, qualora non si conformasse alla normativa.

DAL DIRITTO AL DOVERE DI UCCIDERE I MALATI

Da quando è stato consentito (17 giugno 2016, con una legge federale) ed equiparato a un atto medico pari a quello di fornire terapie o cure palliative, il Medical Assistance in Dying (Maid) è diventato una soluzione rapida e low cost al problema del finanziamento sanitario. E costringere i medici ad elargirlo un modo per tenere in scacco autonomia e libertà delle strutture sanitarie canadesi.

Macey ha sempre sostenuto che chi voleva il Maid poteva rivolgersi o essere trasferito dall’Irene Thomas Hospice in qualsiasi altra struttura perché l’iniezione letale era incompatibile con le cure palliative, lo statuto e la missione dell’hospice, nato per curare e non per accelerare o causare la morte naturale dei suoi pazienti: «Coloro che scelgono di avere assistenza medica per morire rappresentano l’uno per cento della popolazione», «le persone possono ricevere l’eutanasia ovunque vogliano», «dov’è la libertà di scegliere invece per le persone che non vorrebbero vivere in un ambiente in cui si pratica l’eutanasia?». Per Macey fornire il Maid in un posto come il suo hospice susciterebbe solo paura e ansia in pazienti vulnerabili che non sono necessariamente pronti a morire. Non solo, gli stessi professionisti e i volontari avrebbero messo in discussione la loro permanenza in un luogo che imponeva loro il suicidio assistito, compromettendo i loro princìpi e l’accesso a cure palliative di qualità a cui attualmente solo il 30 per cento dei canadesi che ne avrebbero bisogno può accedere.

NEL SANTUARIO DEL FINE VITA

«Mischiare il Maid con la cura del centro ospedaliero non ha assolutamente senso», ha chiosato un volontario: «È contrario alla direzione in cui dovrebbe andare l’hospice. Che non è un luogo di uccisione. È un posto per vivere il fine vita. Non ci si va per decidere di morire, ma per vivere fino all’ultimo istante». L’Irene Thomas Hospice non è una struttura confessionale, è specializzato nell’accompagnamento e nella cura compassionevole dei malati terminali e delle loro famiglie. È circondato da un grande parco con alberi e ruscelli, presenta sale e camini, è dotato di librerie e giochi per bambini, c’è una piccola cappella aperta a tutte le religioni, una candela accesa ad ogni decesso, un centro benessere terapeutico, attrezzature tecnologiche all’avanguardia. Ed è piccolo: in tutto conta dieci posti letto: perché trasformare un luogo che ha cura della bellezza fino all’ultimo istante di vita del malato in una clinica di morte?

LE MINACCE DEL MINISTRO

Secondo il ministro Dix del New Democratic Party (Ndp) «viviamo in una società libera», pertanto la Delta Hospice è liberissima di «rinunciare al supporto della Fraser Health Autority». Una società così libera da ricattare chi opera nella sanità: 1,5 milioni di dollari è l’ammontare del contributo, circa la metà dei 3 milioni di budget necessari alla sopravvivenza della struttura. Macey è stata licenziata a settembre di quest’anno: la decisione di autorizzare il Maid da parte del consiglio di amministrazione è stata tuttavia annullata a novembre, quando i membri proponenti sono stati espulsi dal cda ed è stato nominato un altro consiglio a difesa della politica anti-Maid della Delta Hospice. Da qui le nuove pressioni della Fraser e la minaccia di «conseguenze» da parte del ministro.

LA MACABRA LOGICA DI DYING WITH DIGNITY

Gli argomenti a difesa della vita dei pazienti portati da Macey sono stati stati rigirati come una frittata da Dying with Dignity Canada, che teme un pericoloso precedente: qualora il Thomas Hospice fosse esentato dal dispensare l’eutanasia altre strutture potrebbero seguire il suo esempio. E non uccidere più i malati: «Se all’hospice non fosse richiesto di mettere davanti a tutto i diritti delle persone di cui si occupa trasmetterebbe un messaggio preoccupante ai pazienti in tutta la regione, la provincia, in tutto il paese» ha avuto il coraggio di commentare Cory Ruf, portavoce dell’associazione pro eutanasia. «L’autorità sanitaria di Fraser ha l’opportunità di stabilire un precedente nazionale a favore dei diritti e delle scelte delle persone sul fine vita». Per Ruf prendersi cura dei pazienti fino alla fine li «danneggia», imponendo «barriere arbitrarie» alla loro autonomia.

IL BULLISMO DELLO STATO SUI MEDICI

E l’autonomia del medico? Due anni fa, quando l’Autority ha iniziato a implementare il Maid anche negli hospice il direttore medico del Programma di cure palliative della Fraser Health, il dottor Neil Hilliard, si è dimesso rifiutandosi di sottostare all’imposizione del protocollo letale: «Fornire l’eutanasia o ricevere il suicidio assistito da un medico non è conforme alle cure palliative che sempre affermano la vita e considerano la morte come un processo naturale». Macey aveva richiesto un intervento federale che proteggesse le strutture come la sua, che volevano restare piccoli santuari di fine vita liberi dall’eutanasia: «La pressione per fornire il Maid ovunque è una tattica di bullismo degli attivisti di Dying With Dignity», aveva scritto al ministro della sanità federale. Chi opera in strutture confessionali «può obiettare coscienziosamente e non partecipare alla fornitura diretta di decessi assistiti dal medico», le era stato risposto. Tutti gli altri si sarebbero dovuti adeguare.

L’APPELLO PER LE CURE PALLIATIVE

Quando la struttura di Macey si è nuovamente opposta, affermando che avrebbe trasferito altrove chi (nessuno fino ad oggi) fra i suoi pazienti avesse richiesto la morte assistita, la Fraser Health ha rafforzato la sua posizione, vietando alle strutture sanitarie della regione di trasferire chi volesse il Maid: la morte doveva essere somministrata nella struttura di ricovero. Anche se era il Thomas Hospice.

La struttura laica ha ricevuto un ultimatum per conformarsi alle direttive. A sostenere la sua battaglia ci sono la Canadian Society of Palliative Care Physicians e la Canadian Hospice Palliative Care Association: in una “call to action” il mese scorso hanno sottolineato che il «Maid non fa parte delle cure palliative del centro ospedaliero; non è un ‘”estensione” delle cure palliative, né uno degli strumenti “nel panel delle cure palliative”. Le organizzazioni nazionali e internazionali per le cure palliative nel settore ospedaliero sono concordi nel ritenere che il Maid non faccia parte della pratica delle cure palliative nel settore ospedaliero».

MARY JEAN MARTIN E ROGER FOLEY

Obbligare le strutture a erogare servizi che non offrono non si chiama “adeguamento alla normativa”, si chiama ricatto. E ricatto è il secondo nome dell’eutanasia in Canada: chiedetelo all’infermiera Mary Jean Martin che in Ontario si è sentita porre dai suoi superiori l’aut aut: aiuta i pazienti che vogliono morire con l’eutanasia o sarai licenziata. Chiedetelo a Roger Foley a cui l’ospedale e governo hanno dato due alternative: pagare più di 1.500 dollari al giorno per le cure di cui ha bisogno, cifra che non può permettersi, oppure «ricorrere gratuitamente al suicidio assistito»: «ma io voglio vivere. Non voglio morire».

Fonte: Caterina Giojelli | Tempi.it

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