«Non esistono nei minori segnali comportamentali – pianti, disturbi, gesti – che rimandano certamente all’abuso. Tutti i segni sono attentamente da considerare, ma non ci possono essere deduzioni automatiche ». Ne è convinto Corrado Lo Priore, psicologo e psicoterapeuta milanese, docente a contratto all’Università di Padova dove insegna psicodiagnostica forense.
Nessun segnale ci rimanda direttamente all’abuso, d’accordo. Perché allora ci sono scuole di pensiero convinte del contrario? No, non esiste una scuola scientifica che sostenga il contrario. Purtroppo esistono alcuni professionisti che si comportano come se fosse possibile riconoscere a colpo sicuro questo tipo di segnali. Ma siamo nell’ambito delle cattive pratiche, non della scienza.
Quindi i cosiddetti segnali comportamentali o psicodiagnostici hanno poco valore per una diagnosi di abuso? No, al contrario, sono tutti da prendere in considerazione, ma vanno contestualizzati. Sono tanti gli elementi che possono aver indotto nel minore un falso ricordo, la parola di un operatore di polizia, di un assistente sociale. Tutte interferenze colloquiali che possono aver creato dei finti indicatori di abuso.
Quali potrebbero essere questi segnali? Centinaia e centinaia, inutile fare l’elenco. Diciamo che si collocano in tutti i momenti della vita, disturbi dell’alimentazione, del sonno, dell’attenzione, della parola, delle emozioni. Ma la cosiddetta diagnosi differenziale ci dovrebbe aiutare a capire se quei segni non sono in realtà alterazioni del neurosviluppo. I ragazzi con queste patologie molto spesso manifestano una serie di pro- blematiche che possono essere facilmente confuse con quelle che vengono considerati traumi psicologici.
Può capitare che queste patologie si manifestino nei minori nelle separazioni conflittuali dei genitori? Certo, i ragazzi con patologie del neuro sviluppo, in particolare quelli con disturbi dello spettro autistico, fanno fatica ad accettare la separazione dei genitori. Quindi non solo arrivano a mettersi in contrapposizione al genitore che ritengono colpevole della separazione, ma cominciano a raccontare storie poco credibili.
Sono minori che non dovrebbero essere ascoltati… Certo, sono facilmente condizionabili. Con un interrogatorio troppo insistito o suggestionante, è molto probabile che il racconto finisca per risultare poco aderente alla realtà. Attenzione. Gli abusi purtroppo esistono, ma alla luce delle statistiche sono circa la metà di quelli che possono apparire tali.
Come mai allora nelle grandi inchieste di questi anni, a cominciare da Bibbiano, ci imbattiamo sempre in professionisti che vedono abusi ovunque? I clinici che lavorano sul territorio, per esempio a scuola, ma anche un assistente sociale, uno psicoterapeuta a cui è stato segnalato un caso, sono più sensibili ai segnali a cui prima facevamo riferimento. Ma noi dobbiamo arrivare alla segnalazione all’autorità giudiziaria solo di fronte a sospetti fondati e corposi. Come evitare questo rischio? La giustizia, ancora prima di avviare le indagini, dovrebbe poter contare su specialisti con una formazione tale da permettere loro di distinguere i vari segnali e di riconoscere i problema del neurosviluppo. Per arrivare alla perizia sull’idoneità di un minore a rendere testimonianza si dovrebbe sempre poter contare su vari pareri.
Per questo non esistono linee guida nazionali a cui ogni professionista serio dovrebbe far riferimento? Le linee guida nazionali, quelle del 2010, sono vincolanti, come ha ricordato recentemente la Cassazione, solo nell’ambito giuridico. Anzi, se un professionista non vi fa esplicito riferimento, il giudice deve motivare perché quella perizia è stata stilata diversamente. Ma non sempre lo psicologo lavora in ambito giudiziario. Per esempio, quando c’è un allontanamento, il minore viene inviato in comunità d’accoglienza per eventuali terapie psicologiche. E, in quell’ambito, viene ascoltato senza che sia obbligatorio far riferimento alle linee guida. Poi quelle dichiarazioni, che possono valere come fonte di prova, non sempre vengono vagliate in ambito clinico. Servirebbero consulenze tecniche di parte (ctp), che però costano tantissimo.
Un sistema tutto da rifare quindi? Ma no, con professionisti seri, ben formati e con un’attenzione scrupolosa alle linee guida, potrebbe reggere. Certo, alcune riforme sono fondamentali, a partire dal diritto di contraddittorio e dalla possibilità per le parti di concordare il perito insieme al giudice, come avviene in America. Il problema è che in Italia abbiamo troppi periti con una formazione tutta da verificare. Come rimediare? Con un centro di formazione unico, di alto livello scientifico e poche strutture sul territorio. Il modello dei Ris dei carabinieri potrebbe essere vincente anche per i periti chiamati ad esprimersi sul maltrattamento dei minori.
Fonte: Luciano Moia | Avvenire.it