Pubblicata ai primi di dicembre nell’indifferenza generale la Relazione sulla droga in Italia. Il commento di Alfredo Mantovano del Centro studi Livatino
Nei primi giorni di dicembre il Dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, organismo istituzionalmente dedicato alla prevenzione e al monitoraggio delle tossicodipendenze, ha diffuso la sua annuale Relazione al Parlamento sullo stato delle varie dipendenze in Italia, utilizzando dati relativi per la gran parte al 2018. Colpisce l’indifferenza mediatica al documento, ignorato da quasi tutte le testate.
Premesso che la Relazione va studiata nell’interezza delle sue quasi 300 pagine, provo a ricavarne un abstract, da intendere come invito alla lettura, diviso per voci significative.
Tre dati emergono fra i tanti, e chiamano in causa:
- la diffusione delle sostanze stupefacenti, che ha raggiunto un terzo della popolazione giovanile;
- l’insuccesso della prevenzione, correlata al grado di consapevolezza;
- l’inesistenza del recupero.
Va poi aggiunta qualche annotazione sul contrasto e sui costi.
La diffusione. Un terzo degli studenti italiani – il 33,6%, corrispondente a 870.000 ragazzi circa – ha utilizzato almeno una sostanza drogante durante la propria vita; un quarto – il 25,6%, corrispondente a 660.000 studenti – ne ha fatto uso nel 2018. Sono cifre da pandemia, da non considerare alla stregua di meri dati statistici: ammontano a centinaia di migliaia le persone in età evolutiva che subiscono una pesante aggressione al sistema nervoso, all’apparato respiratorio, alla capacità riproduttiva, per menzionare solo alcune delle voci maggiormente interessate dai danni della sostanza, senza che ciò provochi la reazione che sarebbe necessaria.
I derivati della cannabis – marijuana e hashish, oltre alle piante – sono lo stupefacente maggiormente diffuso: interessano il 58% delle operazioni antidroga, il 96% del totale dei quantitativi sequestrati, l’80% delle segnalazioni ai sensi dell’art. 75 DPR n. 309/1990 (la detenzione che non costituisce illecito penale bensì solo amministrativo), il 48% delle denunce all’autorità giudiziaria.
La prevenzione. Il consumo di cannabis è definibile “rischioso” per un giovane consumatore su quattro: circa 150.000 studenti tra i 15 e i 19 anni sono risultati positivi al CAST-Cannabis Abuse Screening Test, che per le quantità e le modalità di utilizzo della sostanza renderebbero necessario un sostegno clinico per affrontare gli effetti del consumo. A tale consistente diffusione non corrisponde la cura e il trattamento dei problemi correlati all’uso: l’utenza dei servizi per le tossicodipendenze in trattamento per uso primario di cannabis rappresenta l’11% del totale, e i ricoveri ospedalieri da imputare a questa sostanza sono il 5%, di quelli direttamente droga-correlati. La causa della mancata corrispondenza fra uso e trattamento è, fra le altre, verosimilmente nel fatto che il 78% degli studenti assuntori di derivati della cannabis sono all’oscuro degli effetti che le sostanze avrebbero avuto, a fronte di un media di principio attivo – il THC – riscontrata in esse pari al 12 % per la marijuana e al 17% per l’hashish.
Ricordo che 30 anni fa la percentuale media di THC che si riscontrava fra marijuana e hashish, sulla base delle perizie tossicologiche, si aggirava attorno all’1%. Si aggiunga che la cannabis più potente che si riscontra in natura, cioè senza che la pianta subisca alterazioni, ha il THC entro il 2.5%: il che significa che le piante di cannabis che circolano normalmente sono esito di alterazioni realizzate con strumenti facilmente disponibili, acquistabili senza problemi per internet, cui si aggiunge la manipolazione esercitata sui derivati.
Non sono “leggeri” i derivati della cannabis. È “leggero” l’approccio a essi: non solo per la già sottolineata sottovalutazione degli effetti, ma anche per la facilità di reperimento: l’84,2% degli studenti che ha utilizzato cannabis nel 2018 ritiene di poterla reperire facilmente, il 75,3% riferisce che potrebbe procurarsela per strada, il 35,7% a casa di amici, e il 34,6% in discoteca.
Il recupero. Va premesso che quando la sostanza, per qualità e/o quantità, è ritenuta per uso personale (con l’attuale larghezza applicativa di tale qualifica), chi la detiene non è punibile, ma viene “segnalato” al Prefetto – art. 75 DPR n. 309/1990 – per l’adozione di sanzioni amministrative, dalla sospensione della patente di guida a quella del porto d’armi, o per l’avvio a una struttura di recupero. Nel 2018 le segnalazioni al prefetto sono state 41.054 e hanno riguardato 39.278 soggetti, con un incremento del 2% di segnalati rispetto al 2017, dall’età media di 24 anni, e nell’80,01 % dei casi le sostanze che hanno originato l’informativa sono state cannabis e derivati. Dei convocati dal prefetto per un colloquio il 45% non si è presentato. Il numero di coloro che, sollecitati dal Prefetto, hanno accolto l’invito ad avviare un trattamento di recupero sono stati appena 82, lo 0,2% dei segnalati. Senza un sistema di sanzioni adeguate la prevenzione semplicemente non funziona.
Il contrasto, nel raffronto fra il 2017 e il 2018:
- le operazioni antidroga delle forze di polizia hanno subito un decremento dell’1,6%;
- nonostante questo – calcolata in peso – la quantità di sostanze sequestrate è aumentata del 4,5% e la quantità di piante di cannabis sequestrata è cresciuta del 93,9%. Il dato in realtà va scomposto perché, con specifico riferimento ai derivati della cannabis, vi è un importante incremento delle operazioni (+9%) e dei sequestri di hashish (+318,5%), mentre per la marijuana si registrano decrementi sia delle operazioni (-9,2%)e dei sequestri (-58%)
- La diminuzione, pur lieve, dell’insieme delle iniziative di polizia e l’estensione del sequestrato è un ulteriore riscontro dell’incremento della droga in circolazione, soprattutto hashish. Il raddoppio da un anno all’altro delle piante di cannabis è agevolmente spiegabile in base all’applicazione distorta della legge n. 242/2016, arbitrariamente intesa come un via libera ai cannabis shop;
- i soggetti denunciati per reati di droga sono cresciuti dello 0,6%. Il 48% delle denunce riguarda i derivati della cannabis, il 36% la cocaina, il 10% l’eroina e il restante 6% altre sostanze. Diminuiscono in parallelo – e in modo sensibile – i soggetti condannati: il dato delle condanne è probabilmente sottostimato, a causa di ritardi nell’inserimento dei dati; resta obiettivo tuttavia l’andamento in calo negli ultimi dieci anni di condanne per droga, e fa interrogare sulla percezione a livello giudiziario (a differenza di quanto avviene nel sistema sicurezza) della gravità del fenomeno. Rinvio alla fig. 3.1.1 della Relazione, che illustra il trend dei consumi di sostanze stupefacenti nella popolazione studentesca: il grafico è illuminante nell’evidenziare la sensibile diminuzione allorché è stata pienamente operativa la riforma del 2006, e un altrettanto sensibile nuovo aumento a partire dal decreto legge del 2014.
I costi. Chi sostiene a occhi aperti la legalizzazione delle droghe che definisce “leggere” rifletta sugli effetti della assunzione di questi ultimi:
- i ricoveri ospedalieri direttamente droga-correlati nel 2017 (ultimo dato disponibile) sono stati 7.452, con un aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Il 52,4% dei ricoveri sono stati attribuiti all’utilizzo di sostanze miste o non identificate: il 21,1% ad oppioidi, il 20% a cocaina, il 5,4% a cannabinoidi, lo 1,1% ad amfetamine e allucinogeni;
- sempre i dati del 2017 (ultimi disponibili) indicano un incremento di circa il 12% delle violazioni contestate per guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti: 5.289 contro le 4.742 nel 2016. A esso corrisponde la crescita rispetto agli anni precedenti delle rilevazioni dei Carabinieri relative agli incidenti stradali con lesioni a persone con almeno un conducente sotto l’effetto di sostanze psicoattive: sono stati 1.048 (pari al 3,2% del totale degli incidenti rilevati) ed hanno provocato 1.893 feriti e 40 vittime. Sono numeri sottostimati: il secondo perché fotografa solo il lavoro dell’Arma, il primo perché non tiene conto dei rilievi operati dalle Polizie locali, che intervengono soprattutto nelle aree urbane;
- nel 2018 i decessi direttamente attribuibili all’uso di sostanze stupefacenti sono stati 334, con un aumento di quasi il 12,8% rispetto all’anno precedente;
- premesso l’uso di sostanze stupefacenti provoca dei costi per il corpo sociale, la stima di essi deve confrontarsi con beni e servizi che non hanno prezzi di mercato. Nella Relazione il totale dell’assistenza socio-sanitaria ammonta per le tossicodipendenze complessivamente a 1.810.433.498 euro: il 79,4% riguarda i servizi pubblici per le dipendenze, il 16% le comunità terapeutiche, il 4,6% è assorbito dall’assistenza ospedaliera. Restano fuori voci significative, in primis i danni da incidenti stradali.
Per concludere. La Relazione del Dipartimento per le Politiche antidroga ha come destinatario istituzionale il Parlamento: sarebbe logico attendersi una sessione dedicata alla valutazione e al seguito da fornire ai dati che essa contiene, e invece il silenzio mediatico è stato seguito dal silenzio di Camera e Senato. Nel Governo in carica la delega politica da cui dipende il Dipartimento non risulta assegnata: il che vuol dire che è rimasta in capo al Presidente del Consiglio, a differenza di quanto accade di solito (è prassi conferirla a un Ministro senza portafoglio o a un sottosegretario alla Presidenza). Non è un segnale di attenzione, immaginando il Premier impegnato contestualmente su più fronti, e non invece concentrato su una voce che richiede dedizione, impulso, iniziativa.
Si invertirà la tendenza quando si riprenderà a parlare dell’emergenza. Ma, a differenza dei terremoti, la calamità-droga non è naturale: è voluta, sostenuta finanziariamente, propagandata, ed è favorita da leggi irrazionali. E’ accompagnata o dalla deliberata ignoranza della sua gravità, o – per un’area di recidivi ideologici – dalla volontà di fare peggio. Dovrebbe essere al centro di una campagna di prevenzione nelle scuole: invece la stessa Relazione dà conto di risorse gran parte investite sulla c.d. “riduzione del danno”. Quale futuro ha una Nazione che su una questione così cruciale si rassegna a contenere i danni, senza neanche riuscirvi?
Fonte: Alfredo MANTOVANO | Tempi.it