Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, papà di 4 figli risponde all’attacco sui social contro i genitori del bimbo di 4 anni morto per un incidente col bob. «Se di fronte al più terribile dei lutti, il mondo di noi genitori invece che mostrarsi compassionevole ed empatico, sa solo alzare il dito e giudicare, significa che ci sta accadendo qualcosa di grave».
Succede che durante una vacanza in montagna un bimbo di 4 anni è morto dopo aver fatto un incidente con il bob. Era sul bob insieme al fratellino di 2 anni. Durante una discesa ha perso il controllo del mezzo e si è schiantato. Pur soccorso e trasportato in elisoccorso all’ospedale, per lui non c’è stata salvezza. Il fratellino, invece, è in buone condizioni.
La notizia ha avuto una risonanza nei media di ampia portata. Un incidente che fa perdere una vita in un modo così assurdo e tragico allo stesso tempo, lascia sgomenti. I genitori ne ricavano un’ansia infinita. La domanda che mamme e papà si pongono di fronte a questo genere di informazioni è sempre la stessa: “E se fosse capitato a noi?”. Poi si cerca di capire la dinamica dell’incidente, di sapere se c’è stato qualche errore commesso da chi avrebbe dovuto magari prevenirlo.
Chi ha bambini piccoli sa, però, che il destino avverso è sempre lì, nascosto dietro l’angolo. I bambini sono molto imprevedibili, fanno, a volte, l’esatto contrario di ciò che ti aspetti da loro. Chi non ha vissuto l’esperienza di vedere il proprio bambino che ti sfugge di mano e si mette ad attraversare una strada, senza controllare se e in quale direzione stanno circolando le auto? Chi non ha visto il proprio bambino arrampicarsi su altezze impossibili e rischiare di cadere giù? E chi non ha dovuto fermare l’auto più volte, perché i figli, durante un viaggio, si erano slegati le cinture di sicurezza senza dircelo e magari ce ne siamo accorti solo dopo un centinaio di chilometri?
Chi cresce figli sa che ogni giorno deve fare la sua parte. Ma che tanto dipende anche dall’intervento dell’angelo custode o della buona sorte, chiamatela come vi pare, in base a ciò cui credete.
C’è però una seconda componente che si attiva in noi genitori di fronte a notizie di questa natura. Ci scatta una solidarietà automatica nei confronti di quella mamma e papà che si trovano a vivere in prima persona una tragedia che a noi fa accapponare la pelle, ma che in fin dei conti entra nelle nostre vite attraverso il cristallo di un televisore. Proviamo un dolore infinito nell’immaginare il dolore di chi quel bambino morto lo deve salutare per l’ultima volta. Vorremmo abbracciarli questi genitori, consolarli, confortarli. Lo facciamo perché intuiamo l’immensità dello sconcerto e della tristezza da cui si sentono abitati.
Da quando, però, esistono i social, è comparso un nuovo modo di affrontare questi fatti di cronaca. Un modo giudicante e sprezzante, che partendo dalla notizia, si scaglia contro i genitori che stanno affrontando un lutto, definendone colpe e irresponsabilità, puntando il dito sul fatto che certi eventi ti accadono “perché te li meriti”, visto che non sai proteggere i tuoi figli quando invece dovresti farlo. Centinaia, anzi migliaia di commenti che, partendo da un figlio morto, uccidono con le parole le mamme e i papà che lo hanno messo al mondo. È successo ai genitori di Pietro, Camilla e Gaia, dopo l’incidente terribile di Roma, che ha colorato di nero il clima delle ultime festività. Sta succedendo anche con i genitori di questo bimbo.
Tutti a scrivere: è chiaro che quel bambino non doveva essere su quel bob e su quella pista. Tutti a dire: Ve la siete cercata.
Ci ha scritto alcune ore fa una mamma, amica dei genitori che stanno vivendo questo lutto tremendo. Ci ha detto che è preoccupata per “la risonanza che questa notizia sta avendo sui social: un numero spropositato di persone sta commentando questa notizia con un’aggressività inaudita, affermando che i genitori sono stati sconsiderati, incoscienti e irresponsabili, che sono persone che non meritavano di avere figli, e via dicendo”. La stessa mamma prosegue nella sua lettera: “Come crede si possano sentire due persone che hanno perso uno dei loro figli? Come crede potranno sopravvivere con un macigno simile sul cuore? Peraltro le notizie che vengono riportate sui giornali non sono del tutto vere, la dinamica dell’incidente non è chiara… ma di certo sappiamo tutti che le fatalità accadono, e che sebbene quel papà fosse a un passo da loro non ha potuto evitare che il destino facesse il suo corso. Non so perché le sto scrivendo, forse spero che possa ritagliarsi del tempo per scrivere un articolo che parli proprio di questo: della mancanza di empatia e di rispetto, della necessità di dire a tutti i costi qualsiasi cosa passi per la testa di persone insensibili e ignoranti. Penso a questi amici, persone che vivono un dramma che li accompagnerà per tutta la vita… non hanno fortunatamente profili social, ma se mai dovessero venire a conoscenza di tutto l’orrore che ho avuto la sfortuna di leggere in questi i giorni vorrei che leggessero anche le parole di un professionista come lei, parole di conforto, parole di supporto e di umanità”.
Abbiamo deciso di proporvi in lettura le parole e le domande di questa mamma, perché le sentiamo profondamente vere. Se di fronte al più terribile dei lutti, il mondo di noi genitori invece che mostrarsi compassionevole ed empatico, sa solo alzare il dito e giudicare, significa che ci sta accadendo qualcosa di grave.
Io oggi sento solo pena per quei genitori. Vorrei abbracciarli, piangere con loro, fargli sentire che il loro dolore è anche il mio dolore. Vorrei dire loro che i bambini sono imprevedibili, che non tutto nella vita può essere tenuto sotto controllo e che ci sono eventi che sfuggono alla nostra responsabilità. Vorrei abbracciarli e dire loro di non smettere mai di credere nella forza della vita, di sentire che il bambino di 2 anni rimasto praticamente illeso, è la dimostrazione e la prova “provata” che la forza della vita prevarrà sul dolore distruttivo della morte e li aiuterà a trovare un senso in questa tragedia che al momento è priva di senso e lascia sgomenti e con un vuoto dentro che fa un rumore assordante.
Vorrei dire loro di avere coraggio e di non sentirsi in colpa. Di non curarsi delle parole di chi li giudica, qualora le abbiano lette e ne abbiano avuto notizia.
Perché nascosti da uno schermo e da una, tastiera, non sentiamo più il dolore degli altri, non ne proviamo un sacro rispetto, non continuiamo a “essere umani”? Sono più che certo che le stesse persone che scrivono cose terribili su questi due genitori disperati, se partecipassero al funerale del loro bambino, piangerebbero e sentirebbero un bisogno forte di abbracciarli.
Invece nel caldo della propria casa, di fronte ai tasti del loro PC, scagliano parole che sembrano coltelli. È di fronte a fatti come questi che sento forte il senso del mio lavoro. Un lavoro che mette al centro delle nostre vita la relazione, il potere della parola, la capacità empatica dello sguardo. Se volete non perdere il nucleo profondo della vostra umanità, oggi leggete questo articolo a qualcun altro e poi seminate una frase buona nei social per i genitori di Diego.
Fonte: Alberto PELLAI | FamigliaCristiana.it