Il Ciclope, Eolo, Circe, il Regno dei morti, le Sirene, Scilla e Cariddi, Calipso… Se vi chiedessi che cosa ricordate dell’Odissea mi raccontereste le più famose tra le dodici tappe del viaggio di Ulisse da Troia a Itaca. Benché occupino solo 8 dei 24 capitoli del poema, tendiamo a identificare l’Odissea con queste peripezie. Perché? Non è solo per il fascino della parte più avventurosa della storia che tende a imprimersi vividamente nella memoria, ma anche, e soprattutto, per il segreto potere dei miti: li ricordiamo in un certo modo proprio perché salvano «pezzi» di vita che non devono andare perduti. In questo caso identifichiamo l’Odissea per lo più con il viaggio per mare dell’eroe, perché è una insostituibile metafora narrativa dell’esistenza. L’essenza della vita (chi sono, da dove vengo, dove vado?) è avvolta in un mistero, che noi possiamo avvicinare solo con il suo linguaggio: metafore, simboli, miti. E quale parte del mistero rivela il viaggio di ritorno a Itaca?
Molti hanno cercato la soluzione provando a identificarne i luoghi, collocandoli nel Mediterraneo: la Sicilia per i Ciclopi, lo Stretto per Scilla e Cariddi, le isolette Li Galli a sud di Sorrento per le Sirene… ma quel viaggio non ha pretese di realismo geografico: superato capo Malea, punta sud della penisola greca, la navigazione di cabotaggio dell’eroe si perde in un mare infinito e fantastico, proprio perché il mistero va esplorato su ben altre mappe. Le tappe del viaggio sono 12 (numero simbolico che indica completezza) e sono movimenti per mare (nel mondo omerico il mare è una partita con la morte), ora verso oriente ora verso occidente, come un pendolo, senza centrare la meta. Qualche tempo fa ho letto un libro (Alle origini del labirinto di G.Chiarini) che prova a disegnare la mappa di questi movimenti: ne risulta lo schema del labirinto cretese, quello che Minosse fece progettare a Dedalo per imprigionarvi il vorace Minotauro. Un tragitto a forma di spirale (come nel simbolo inciso sulle antiche monete cretesi), che ora si avvicina ora si allontana dal centro. Infatti il ritorno è minacciato per metà (sei tappe) da potenze che vogliono divorare Ulisse e i suoi (Cìconi, Ciclope, Lestrigoni, Regno dei morti, Sirene, Scilla e Cariddi), per l’altra metà da forze che li trattengono in luoghi in qualche modo divini, capaci di far dimenticare l’arida e faticosa Itaca (Lotofagi, Eolo, Circe, l’isola del Sole, Calipso, Feaci). La vita viene quindi rappresentata come una lunga via verso casa, nella forma di un labirinto, che alterna momenti di crisi a momenti di abbandono; un’oscillazione tra situazioni in cui si rischia di essere paralizzati dalle paure e quelle in cui si rischia di esserlo dalle illusioni. Ogni tappa potrebbe essere l’ultima, come accade ai compagni di Ulisse: delle 12 navi con cui era partito torna solo lui. Sono tutti caduti nei meandri del labirinto, un simbolo ispirato, in diverse culture antiche anche distanti, alle viscere (dell’uomo o della terra): luogo in cui vita e morte si toccano e, per questo, spesso rappresentato nelle tombe antiche e nelle chiese medievali (si veda il meraviglioso labirinto di Chartres) come simbolo di morte e rinascita. Il labirinto «unicursale» non è pericoloso per la molteplicità di aperture (il «dedalo» vero e proprio, che rappresenta le difficoltà della libertà e della scelta, si diffonde più tardi e non a caso nella crisi che porta dal Medioevo al Rinascimento), ma per il lungo girare della stessa via, dall’esterno al centro e ritorno: il segreto per tornare indietro è infatti andare sempre avanti. In questo percorso a spirale il rischio non è sbagliare strada ma dimenticare la meta, tanto che a un certo punto Ulisse, quasi a metà del viaggio, approdato sull’ennesima isola ignota, dice ai compagni: «Compagni di dolore e di sventura. Non sappiamo più dove è oriente, dov’è occidente. Siamo su un’isola circondata tutt’intorno dal mare infinito» (X, 190-2). Ma l’eroe non ritira, la sua bussola interiore punta sempre verso Itaca, il luogo dei suoi amori: è il senso della sua esistenza che gli consente di resistere al labirinto. Di lui infatti si dice, al quarto verso del poema, che «soffrì molti dolori sul mare», altrimenti detto «visse senza tirarsi indietro e senza lasciarsi andare».
La vita, si dice, è un’odissea: un labirinto che fa perdere l’orientamento e al cui centro vita e morte si toccano (Omero fa coincidere il centro del viaggio e quello dell’intero poema nella tappa del Regno dei morti, senza la quale Ulisse non saprebbe dove e come tornare), per poi riprendere la via in cui la vita prevale sulla morte. La chiave per uscire dal labirinto è resistere alla paura dell’ignoto e alla seduzione dell’abbandono. Solo così, avanzando sulla lunga spirale fatta di vita, morte e rinascita, (ri)troveremo Itaca. E, quando metteremo piede a terra, proprio lì scopriremo che Itaca eravamo noi.
Fonte: Corriere.it