A partiti e burocrati il compito di aiutare e non ostacolare; a famiglie e docenti quello di restare fedeli a “perché” si educa. Parla Masi (Cdo)
«Non è un problema politico ma di coscienza: è evidente a chiunque abbia a cuore il futuro del paese che la prima questione è quella educativa, ma anche che la libertà di educazione nasce e cresce attraverso il confronto con esperienze reali, l’incontro con persone che vivono libere. Non nasce né dipende da partiti e burocrati, ma dalla vivacità del soggetto che la esprime. Compito della politica è far sì che questi spazi ed esperienze non vengano meno». Marco Masi, presidente Cdo Opere Educative, ricorda a tempi.it che scuole libere esistevano da prima dello Stato, sono cresciute senza finanziamenti pubblici ed esistono ancora oggi che non esiste la parità giuridica: «Non è che don Bosco fosse partito da condizioni migliori rispetto a quelle in cui ci troviamo oggi. Anzi. Le circostanze hanno sfidato la sua responsabilità personale».
LA POLITICA AIUTI E NON OSTACOLI IL BENE COMUNE
Per Masi chiedere equità e parità per tutti è un problema di giustizia sociale, ma tutto concorre a una battaglia «per il bene comune»: «È giusto che la politica aiuti e non ostacoli, è bene lottare perché le regole siano a favore e non contro, che ci siano più spazi di libertà e non meno. Ma il tema centrale della questione resta la domanda di educazione dei ragazzi, e non un rapporto con il ministero, o una questione di numeri, soldi e dipendenti. È da qui che bisogna ripartire, convertire e affrontare la questione in questi termini, l’educazione come un bene per ciascuno».
PRECARIETÀ VS ESPERIENZA
È questo il nocciolo del problema: come leggere altrimenti le infornate di dati Ocse, da quelli impietosi sul livello di competenze degli studenti italiani ma soprattutto quelli sui docenti più anziani del mondo? «I giovani laureati in Italia non sanno come si deve fare per diventare insegnanti, quelli che lavorano nelle paritarie non sanno come si deve fare per conseguire l’abilitazione all’insegnamento. E il Parlamento, la politica, che fa? Esamina continuamente soluzioni che non fanno altro che alimentare la precarietà che dice di combattere». A pagare il prezzo, va da sé, è la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dei ragazzi: quanti diciottenni, una volta diplomati, hanno il desiderio di iscriversi a scienze della formazione primaria (facoltà a numero chiuso) per conseguire il titolo necessario a lavorare nelle scuole primarie o dell’infanzia senza sapere dove, come e quando questo potrà avvenire? «Per questo sono favorevole ad avviare esperienze, modello tirocinio, alternanza scuola/lavoro fin dall’adolescenza: non si tratta di acquisire i rudimenti di un mestiere ma di avere la possibilità di incontrare, cosa rarissima nella vita di un giovane oggi, una esperienza educativa, realtà scolastiche che fanno scuola con passione: solo un confronto reale può appassionare un giovane a questa strada. Quanto ai docenti delle scuole secondarie, c’è bisogno innanzitutto di certezza, sulla durata del percorso e sulle modalità di inserimento o conseguimento dell’abilitazione, nello Stato o nelle paritarie».
IL PROTAGONISMO DI DOCENTI E FAMIGLIE
In merito alla scelta a tutti gli effetti più coraggiosa, cioè non quella del posto fisso e sicuro nello Stato, Masi spiega che ciò che spinge un docente a voler insegnare in una paritaria è la stessa cosa che guida le famiglie «a desiderare di far crescere i propri figli in una comunità educante e coesa, cioè con un’ipotesi educativa chiara e appassionata alla propria realtà». Ci sono scuole paritarie in cui famiglie alle prese con l’esigenza di garantire un insegnante di sostegno ai propri figli disabili (parliamo di circa 14 mila alunni, aiutati con un contributo annuale pari a circa 20 mila euro se iscritti alla scuola statale, 2 mila se iscritti alla paritaria, dove le iscrizioni, ricordiamolo, aumentano di anno in anno) hanno messo in piedi cooperative, associazioni, realtà per affrontare spese contingenti e permettere, a chi non aveva i mezzi, di non rinunciare alla libertà educativa.
LA DINAMICA DELLA GRATITUDINE
Realtà che hanno saputo coinvolgere amministrazioni, territori, conquistare aiuti cammin facendo, «ma come tutto ciò che ha a che fare con i desideri e la passione è decisiva l’esperienza della persona: qualche giorno fa, nel corso di un incontro pubblico a Bologna, ho sentito un giovane padre spiegare il motivo del suo impegno a sostegno della scuola frequentata dai suoi figli: diceva “lo faccio per gratitudine verso questa esperienza educativa”. Lo stesso motivo che ha portato me a impegnarmi e servire questi luoghi di educazione e che ha portato tanti altri prima di me a fondarli quando non esisteva nessuna legge sulla parità scolastica. Si educa, da sempre, perché si è grati di una esperienza di bene di cui si vuol far partecipi anche gli altri». In altre parole a salvare la scuola per Masi non sarà un decreto, una legge, un partito, ma ciò che è chiamato bene comune, «e la possibilità di servirlo come protagonisti della storia chiama tutti, oggi come allora».
Fonte: Caterina Giojelli | Tempi.it