Trovo davvero allucinante e totalmente inaccettabile il dottissimo pezzo con cui sul Foglio del fine settimana Giuliano Ferrara difende ancora una volta il suo amico Gabriel Matzneff dall’accusa di pedofilia, e ripercorre le radici culturali della condanna di quel tipo di condotta. Non mi interessano le radici culturali, conosco la delicatezza e la debolezza di un piccolo uomo e di una piccola donna che si affacciano alla vita, affermo con certezza che sono e devono restare inviolabili, e il sangue mi ribolle nelle vene, a leggere certi distinguo.
Certo, non sono colta né intelligente come Ferrara, e posso anche concedergli l’attenuante dell’amicizia e della lealtà verso un amico, ma quanto ha scritto non è accettabile.
I fatti: è uscito un libro di una brillante intellettuale parigina, Vanessa Springora, che racconta la sofferenza procuratale dal rapporto con Gabriel Matzneff, pluridecorato e osannato autore francese di origine russa, che non ha mai fatto mistero della sua attrazione per i bambini e i ragazzini, sia maschi che femmine. Il libro racconta della relazione dell’autrice avuta negli anni ’80 quando lei aveva 14 anni e lui 50.
L’argomento di Ferrara è: Matzneff ha aggredito Vanessa, le ha usato violenza, “ha violato la sua integrità personale imponendole sofferenza e morte psichica, l’ha ricattata promuovendo o ostacolando la sua carriera letteraria e editoriale? La risposta è no”.
Adesso, chiunque ha una figlia di 14 anni, chiunque è un adulto che conosce i ragazzi, mi dica se questa possa essere una domanda ammissibile, se questa possa essere una risposta accettabile, se questo possa essere un argomento. Il fatto che la ragazzina non sia stata costretta con la violenza a subire un rapporto, all’inizio anale e poi tutto il resto, non solo non può far diminuire di un solo milligrammo la gravità della cosa, ma anzi è una aggravante pesantissima. Lo sa bene anche la vittima, che infatti con onestà intellettuale intitola il suo libro “Il consenso”. E si chiede “E in effetti come si può ammettere di essere stati abusati, quando non si può negare di essere stati consenzienti? Quando, nella fattispecie, si è sentito del desiderio per quell’adulto che s’è affrettato ad approfittarne? Anch’io mi sarei dibattuta per anni con la categoria di vittima, incapace di riconoscermi tale”.
E’ proprio questo il punto che rende gravissima e ancora più imperdonabile la condotta di Matzneff, e la difesa di Ferrara. Io conosco purtroppo tante donne che hanno avuto qualche forma di molestia o abuso da parte di persone adulte, e proprio il punto di maggiore sofferenza per loro è riconoscere in se stesse una sorta di consenso, o almeno di non abbastanza ferma opposizione alle attenzioni, alle mani addosso o peggio. E’ per tutte così, almeno per quelle che conosco io. Nel nostro mondo borghese, più o meno alto, è difficile che ci siano casi di pedofilia brutale e violenta. Nella maggior parte dei casi si tratta invece di manipolazioni, di violenze psicologiche, di cose fatte nella stanza dei cappotti quando i genitori sono di là, nel cortile di casa, nello spogliatoio fuori dal quale c’è la mamma ad aspettarti. Ed è proprio questo il fatto che la rende gravissima, e capace di lasciare tracce, solchi profondi: perché le vittime pensano di non essere perdonabili, perché si sentono sporche, e per quanta psicoterapia o analisi facciano, continuano a pensare che in fondo in fondo se la sono cercata, o almeno non si sono opposte abbastanza. Avrei potuto scappare prima, avrei potuto dare uno schiaffo, o magari “ho provato piacere in quel momento”. Certo che provi piacere se stimolato nei posti giusti, se ti senti desiderato, circuito, soprattutto se sei una ragazzina o un ragazzino solo. Da un atto violento forse, e ripeto forse, ci si può riprendere, ma da un atto in cui percepisci un tuo consenso è molto più difficile. Queste persone combattono con i sensi di colpa tutta la vita, a meno che non arrivi per loro l’incontro con l’Unico che può farci sentire veramente amati e perdonati, qualunque cosa ci sia nel nostro passato.
Noi adulti dobbiamo proteggere con tutta la nostra forza, gridare con tutto il fiato che abbiamo in gola che non si può in alcun modo sfiorare la sessualità immatura di un minore, mai, per nessun motivo. Mai infilarsi nelle sue fragilità, mai approfittare come il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso di uno smarrimento nel bosco. Tutte le donne che conosco che hanno subito le attenzioni più o meno spinte di un adulto hanno questo tratto: la fragilità, la delicatezza particolare, uno spiraglio di dolore e solitudine nel quale si sono infilati i predatori, quelli che piuttosto dovrebbero legarsi una macina al collo e buttarsi nel mare. E’ una condanna senza appello.
Gli argomenti di Ferrara non solo non significano niente, ma sono appunto un’aggravante a carico di un uomo come Matzneff sicuramente intelligentissimo, coltissimo, affascinantissimo, che con istinto di predatore sapeva bene quali prede puntare, e come. Una ragazzina senza una famiglia solida, con una madre fuori di testa che addirittura arriva a fare un patto col predatore che le promette “che non farà mai soffrire” Vanessa, una madre che addirittura lo invita a cena a casa, loro tre da soli, un amante della madre che la bacia sulla bocca e liquida l’argomento, un padre biologico a cui lei chiede aiuto e che non solo non denuncia Matzneff e non si riprende sua figlia per portarla in una fortezza con il ponte levatoio chiuso, ma che usa questa storia solo per dare della poco di buono a sua madre; una ragazzina che i suoi coetanei non guardano, e che si sente sola. Arriva lui, lo scrittore raffinato che la porta nella tana, avendo perfino cura di non seguirla da dietro ma di precederla “senza dubbio perché non mi sentissi in trappola, perché potessi ancora credere che mi fosse possibile tornare indietro”. Lei si ammala dopo quel primo rapporto in cui lui la viola da dietro “come un ragazzino”, le sussurra. Nessuno capisce niente, e il ginecologo da cui la portano constata la sua verginità, e gliela toglie con un colpo di bisturi (di tutti questi particolari sono debitrice all’articolo di Giovanni Marcotullio.
Una storia allucinante, ma purtroppo per la mia esperienza più comune di quanto si creda. Non possiamo permettere che si adombri neppure lontanamente la possibilità che tutto ciò sia ammissibile, non è un argomento il fatto che lei lo abbia voluto, anzi, né è un argomento il fatto che le vittime, come nel caso di Vanessa, poi si emancipino e facciano “una magnifica carriera letteraria”. Non capisco come un uomo come Ferrara che ha combattutto tanto, e di questo gli sarò sempre grata, per difendere la vita quando è più debole, come nel grembo materno, come nel letto di un ospedale, nel caso di Eluana, non capisca che anche la vita di una ragazzina, per di più con una famiglia allucinante, sia una vita debole e da proteggere, una vita che cercava un padre che la amasse, e che ha trovato, in una società senza padri, un solo modo di farsi “amare”, cioè procurare piacere. Il fatto che anche lei lo abbia provato non cambia assolutamente niente, anzi, rende più pesante il fardello che quella donna dovrà portare per tutta la vita.
Fonte: CostanzaMiriano.blog