Storicamente il “ritardo” è legato al Rito Ambrosiano, ma sul carnevale di sabato grasso circolano anche tante leggende legate a Sant’Ambrogio.
A Milano si celebra il carnevale il sabato dopo le Ceneri, quando nel resto d’Italia, dove vige il rito Romano, è già Quaresima da tre giorni. Perché? Alla base c’è un fatto storico: il rito Ambrosiano, diverso sul piano liturgico dal rito Romano, ma non sono poche le leggende che vi si sono innestate e che ancora si tramandano.
Anticamente, come ricostruiamo appoggiandoci agli appunti Marco Navoni, Direttore della Biblioteca Ambrosiana, il rito Ambrosiano, che risale a una tradizione più antica di quello Romano cui Milano non si è mai uniformata, non ha mai avuto “il mercoledì delle Ceneri”: l’inizio della Quaresima si calcola a partire dalla domenica successiva, la sesta prima di Pasqua, quella in cui si legge il Vangelo del digiuno di Gesù nel deserto. Il rito Ambrosiano in Quaresima conserva infatti, nella liturgia delle domeniche intermedie della Quaresima, precise tracce della connotazione antica della Quaresima in senso battesimale: era infatti il periodo in cui i catecumeni si preparavano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, amministrati durante la veglia di Pasqua (come tuttora avviene).
L’inizio e la fine della Quaresima (le Ceneri e la domenica di Pasqua nel rito Romano, la sesta domenica prima di Pasqua e il triduo Pasquale escluso nell’Ambrosiano) sono diversi perché, scrive Marco Navoni: “Se prendiamo il calendario e, partendo a ritroso dal giovedì santo, contiamo quaranta giorni, giungiamo esattamente alla prima domenica di Quaresima: dunque, i quaranta giorni di penitenza iniziano alla sesta domenica prima di Pasqua e giungono fino al triduo pasquale escluso, che comincia ai vespri del giovedì santo. Questo è il computo originario della Quaresima, conservato nel rito ambrosiano. In questa prospettiva si intende la Quaresima come un periodo di quaranta giorni di penitenza, ma non di stretto digiuno, dato che, secondo un’antichissima tradizione, di domenica non si doveva digiunare. Nel Medioevo subentrò l’idea dei quaranta giorni effettivi di digiuno; inoltre la Quaresima fu intesa più come periodo di preparazione alla domenica di Pasqua, che non al triduo pasquale. Di qui derivò la necessità di un nuovo computo: se infatti partiamo dal sabato santo e contiamo a ritroso quaranta giorni, saltando però le domeniche in cui non si digiunava, giungiamo proprio al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima. Il computo fu accolto dalla Chiesa romana e si diffuse in tutto l’Occidente, tranne che a Milano”.
Alla storia del rito Ambrosiano e in particolare a quella del carnevale, il cosiddetto “carnevalone” che a Milano si celebra il sabato che segue il giovedì grasso, si sommano le leggende popolari tutte legate all’agiografia popolare di Sant’Ambrogio. Si narra che nel IV secolo epoca di Sant’Ambrogio, il carnevale milanese fosse rinomato e considerato quanto quello veneziano e che i milanesi abbiano atteso per festeggiare il loro vescovo che rientrava in ritardo per un pellegrinaggio. Di questo racconto circolano due varianti: la prima secondo cui furono i milanesi ad approfittare dell’assenza per prolungare la festa, la seconda che vuole che sia stato il futuro Sant’Ambrogio a chiedere di attenderlo.
Un’altra versione, simile, sostituisce invece il pellegrinaggio con un più istituzionale impegno diplomatico presso la corte imperiale e interpreta l’attesa come una forma di rispetto da parte della città e il ritardo come una dispensa concessa da vescovo al rientro, o, secondo altri, ottenuta da ambasciatori lungo la strada del ritorno.
Un’altra storia ancora, un po’ diversa, vuole invece che un anno la fine della Quaresima fosse andata a coincidere con la fine di una pestilenza che aveva impedito le feste e costretto la popolazione alla fame a causa dell’isolamento e del cibo razionato e che la dispensa per prolungare i festeggiamenti sia stata chiesta al Papa da Ambrogio per rinfrancare i milanesi.
Quello che storicamente è certo è che il carnevale ambrosiano aveva attirato l’attenzione di Carlo Borromeo che da vescovo di Milano non vedeva di buon occhio il prolungarsi della festa, ma neppure la maggior severità della Chiesa postridentina è riuscita a modificare la tradizione esclusiva della città che conserva tuttora la tradizione, unica, del suo carnevale fuori tempo massimo.