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Qui ad Aleppo, sotto le bombe e i missili, preghiamo per voi italiani»

Intervista a padre Ibrahim Al Sabbagh, parroco di Aleppo: «Conosciamo la paura di uscire di casa, le scuole chiuse, il timore di andare in chiesa. Ci avete aiutati: come potremmo ora dimenticarci di voi?»

«Ad Aleppo abbiamo fatto esperienza della solidarietà, carità e tenerezza di tanti italiani che ci hanno aiutato durante la guerra. Ora siete voi in difficoltà ma è come se il coronavirus avesse colpito noi: come potremmo dimenticarvi?». Così padre Ibrahim Al Sabbagh, francescano della parrocchia latina di Aleppo, la seconda città per importanza e la capitale economica della Siria, una delle più colpite dalla guerra, spiega a tempi.it perché i bambini della sua parrocchia di San Francesco hanno pregato per tutti gli italiani durante la via crucis della seconda settimana di quaresima. «Sappiamo cosa vuol dire non potere mandare i figli a scuola e avere paura di uscire di casa».

Perché vi siete fermati a pregare per l’Italia?
Io ho conosciuto di persona tanti italiani, nostri amici e benefattori. È da più di due settimane che offro la messa per l’Italia e le persone colpite, invitando la gente a pregare per voi. Come potrei non farlo? Tra fine gennaio e inizio febbraio sono stato nel vostro paese e ho visto la preoccupazione negli occhi di tante persone. Questo mi ha amareggiato.

Ad Aleppo cadono ancora bombe e missili, soffrite il freddo e la fame, avete tempo per pensare anche ai nostri problemi?
Quando ho sentito che siete stati obbligati a chiudere le scuole e poi a bloccare la celebrazione delle messe, ho provato molto dolore perché mi è tornata alla mente la nostra sofferenza e la nostra incertezza: durante gli anni più brutti della guerra ogni volta che aprivamo le porte della chiesa, rischiavamo che ci cadesse un missile in testa. I genitori erano sempre indecisi, ogni giorno, se mandare i figli a scuola. Ma noi siamo una cosa sola, per questo preghiamo per voi: è come se la nostra sofferenza proseguisse nella seconda parte del nostro corpo, che siete voi. Voi in Italia, infatti, fate parte del nostro stesso corpo nella Chiesa. Come potremmo non pregare per voi?

Da quanto tempo lo fate?
Ormai la gente si è abituata al ritornello del prete che chiede di pregare per l’Italia. Succede da diverse settimane, poi però i 660 bambini del catechismo spontaneamente hanno proposto: offriamo la via crucis del secondo venerdì di quaresima per i bambini italiani che non possono andare a scuola. Anche loro infatti ricordavano gli anni in cui non potevano uscire di casa per via delle bombe.

Qual è oggi la situazione ad Aleppo?
Purtroppo i problemi aumentano. Stanno venendo fuori tante malattie che prima non c’erano e che sono sicuramente dovute alla guerra. Ogni singolo giorno spuntano nuovi casi di un cancro atroce che uccide i pazienti in poche settimane. E poi malattie cardiache e vascolari. Inoltre, a causa della guerra tutto è inquinato: l’acqua, il latte, il cibo, nessuno di noi sa davvero che cosa mangia, non ci sono controlli. Se guardo alla situazione con occhi umani, sono costretto a dire: vedo la fame, la mancanza di lavoro, le malattie, non c’è una prospettiva, non c’è futuro. Come si può sperare in una situazione così?

Una domanda che oggi si fanno anche tanti italiani.
Se guardiamo la realtà solo con occhi umani, siamo costretti a dire: non c’è speranza. Ma noi siriani di Aleppo in questi anni di guerra abbiamo imparato che non bisogna mai riporre la nostra speranza nelle sicurezze terrene. Si può avere speranza solo in Gesù Cristo, solo dal mistero della sua morte e risurrezione può nascere la speranza. Se infatti apriamo gli occhi della fede, possiamo vedere quanta tenerezza abbiamo sperimentato in questi anni. Dio si è fatto compagno di strada attraverso la preghiera di tante persone, che ci hanno aiutato. E la maggior parte di queste persone erano italiani. Gli italiani sono un popolo buono e generoso. Se ora preghiamo per voi è perché Cristo, fondamento della nostra speranza, ci invita a uscire da noi stessi e a guardare la sofferenza degli altri. Ora siete voi a soffrire e noi siamo con voi.

Che cosa sta facendo la Chiesa di Aleppo per aiutare la città a ripartire? Abbiamo lavorato su due binari. Il primo è quello dell’emergenza: abbiamo distribuito acqua potabile, pacchi alimentari, assistenza sanitaria, vestiti. Qui gli anziani hanno una pensione così bassa che non consente neanche di comprare un terzo delle medicine di cui hanno bisogno, mentre per quanto riguarda i neonati la gente non può permettersi pannolini e latte artificiale.

E il secondo binario?
Abbiamo sviluppato progetti di micro-economia per ricostruire la città. Abbiamo aiutato a ripartire 1.200 imprese, un numero enorme se si considera che nello stesso lasso di tempo il governatorato ne ha aiutate 5.000. E poi, grazie all’aiuto di numerosi ingegneri, abbiamo ricostruito in tutto 1.500 case, che avevano diversi livelli di danni. Il lavoro da fare è enorme. Purtroppo, mentre pensavamo che tutto andasse per il meglio, la crisi libanese ha causato il blocco dei conti correnti di tanti siriani, che si sono impoveriti, e di molte organizzazioni internazionali. Poi la guerra è ricominciata.

Parla del conflitto di Idlib, che vede contrapposti alla Turchia e ai terroristi il governo siriano e la Russia?
Sì, va avanti già da un mese e mezzo e sembra di essere tornati all’inizio della guerra. I missili cadono di nuovo sui nostri quartieri. Aleppo non è come Damasco o Latakia, dove la vita è ripartita: qui manca tutto e non si produce niente. Inflazione e caro vita ci mettono in enorme difficoltà. Nessuno può più permettersi un chilo di pomodori o cetrioli. Ieri un fruttivendolo mi raccontava che non sa più cosa portare in città, perché la gente non può permettersi di comprare nulla. Gli aleppini entrano nel suo negozio e gli chiedono un pomodoro o una mela, perché di più non possono acquistare. In tanti si informano sui prezzi e poi se ne vanno, perché sono troppo alti. Soffriamo la fame e preghiamo davvero che il coronavirus non arrivi mai qui.

Sareste in grado di affrontarlo?
Come potremmo? Se arriva qui, finirà tutto. Gli ospedali sono danneggiati per la guerra, dubito che potremmo affrontare una crisi del genere. Noi ci affidiamo a Dio, non abbiamo altro da fare.

Fonte: Leone GROTTI | Tempi.it

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