Nell’intervento di lunedì scorso constatavo come – al di là della denominazione del provvedimento e della rubrica del titolo IV – la famiglia sia sostanzialmente assente nel decreto legge n. 18/2020 c.d. Cura Italia. Se nella precedente puntata mi ero soffermato sui profili lavoristici e previdenziali, adesso, trattando del versante assistenziale, rilevo che proprio in quest’ambito tale assenza si fa sentire in modo più marcato. Restano alcune eccezioni, come la possibilità di sospendere i pagamenti per il mutuo prima casa (art. 54) o la destinazione della carta della famiglia ai soli nuclei con almeno un figlio a carico (art. 30 del d.l. n. 9/2020), o la sospensione temporanea dei pagamenti delle utenze per i nuclei familiari residenti nei primi comuni colpiti dall’emergenza (art. 4 del d.l. n. 9/2020). Sotto questo profilo, il decreto Cura Italia va migliorato attraverso, in particolare, l’introduzione di forme straordinarie di sussidio per le famiglie che siano nell’impossibilità a fronteggiare le esigenze di vita corrente a causa dell’emergenza sanitaria.
Il collegamento della possibile emergenza familiare con i danni economici provocati dal coronavirus a singoli componenti della famiglia è evidente, per cui le misure assistenziali vanno necessariamente coordinate con le misure giuslavoristiche, previdenziali e fiscali di cui al precedente intervento, per dare vita a un coordinato. In questa prospettiva, è necessario che le suddette misure economiche vengano calibrate anche in relazione alla situazione familiare del lavoratore: il che può avvenire, ad esempio, modulando l’importo dell’integrazione salariale, della retribuzione di congedo e dello scudo di protezione per autonomi e imprenditori in relazione a figli a carico, anziani da accudire e, soprattutto, casi di malati per coronavirus in famiglia.
L’assistenza sociale deve andare oltre all’aspetto della tutela lavorativa dei singoli suoi membri e guardare all’immediato bisogno delle famiglie considerate come nuclei unitari. Va individuato un sussidio diverso rispetto agli strumenti assistenziali ordinari (reddito di cittadinanza, assegni familiari, ecc.), che a essi si sostituisca in questo periodo di emergenza, offrendo così l’occasione per ripensare – a regime e pur modificandone naturalmente i contenuti rispetto a quelli necessari per questa fase – un panorama attualmente confuso e a tratti irrazionale.
Siffatto sussidio straordinario dovrebbe permanere in vigore fino a che l’emergenza non sia cessata sotto il profilo economico (orizzonte temporale certamente diverso e successivo rispetto alla cessazione dell’emergenza sotto il profilo sanitario) e dovrebbe essere parametrato a un indice rappresentativo del bisogno della famiglia in caso di emergenza, correlato alla liquidità necessaria per far fronte alla vita quotidiana.
La delineazione di questo parametro appare l’elemento di maggior delicatezza, in quanto i meccanismi solitamente utilizzati dall’ordinamento, in particolare l’ISEE, da un lato si manifestano per molteplici profili illegittimi in sé e, dall’altro lato, sono comunque inidonei a rappresentare il bisogno di una famiglia in un momento eccezionale come quello attuale. Ciò sia in quanto l’elemento patrimoniale, valorizzato dall’ISEE, risulta sostanzialmente irrilevante in un momento in cui lo smobilizzo è di fatto impossibile o comunque gravemente antieconomico (con possibili ripercussioni sul sistema economico generale, come quelle che si verificherebbero nel caso in cui tutti i risparmiatori possessori di titoli del debito li monetizzassero per ottenere liquidità per far fronte alle esigenze straordinarie del momento attuale); sia in quanto va tenuto conto del numero dei componenti della famiglia, ciò che l’ISEE non garantisce a causa della iniqua scala di equivalenza su cui si basa.
In questa prospettiva, un parametro di commisurazione del bisogno nell’emergenza potrebbe essere la determinazione – realistica e non sottostimata, come purtroppo solitamente avviene – della liquidità necessaria per la vita familiare, direttamente proporzionata al numero dei membri, senza l’utilizzo di scale di equivalenza, maggiorato in caso di presenze di handicap e, naturalmente, di casi di coronavirus in famiglia. Il sussidio spettante per famiglia dovrebbe correlativamente essere calcolato come differenza tra l’importo così determinato e le giacenze liquide di conto corrente dei membri del nucleo familiare stesso, rilevate prima dell’insorgenza sanitaria, aggiornate mensilmente in termini di differenza tra gli eventuali accrediti sopravvenuti e i prelevamenti per importi complessivamente non superiori alla liquidità media necessaria per la vita familiare, come sopra determinata. L’intrusione conoscitiva nei conti correnti, pur spiacevole, sarebbe resa compatibile con i migliori principi di privacy dal carattere volontario della presentazione della domanda di sussidio: non appare disdicevole che chi chiede aiuti per la liquidità, specie in una situazione di emergenza, dimostri di averne effettivo bisogno.
Il sussidio andrebbe rogato in denaro, concedendo agli impossibilitati a muoversi in sicurezza a causa delle restrizioni alle libertà di circolazione l’opzione per la fruizione in natura mediante organizzazione della consegna di un corrispondente quantitativo di beni da parte dei commercianti (consegna da effettuarsi tramite potenziamento di meccanismi già preconizzati dall’art. 48 co. 1 del decreto in tema di prestazioni individuali domiciliari ovvero, se necessario, per il tramite di protezione civile o esercito). In questo senso, previe le opportune correzioni a livello legislativo, tra cui l’aumento dell’importo a disposizione del fondo, allo stato attuale davvero esiguo, dovrebbe dirigersi l’attuazione amministrativa del Fondo per il reddito di ultima istanza previsto dall’art. 44 del decreto, strumento che correttamente non distingue tra lavoratori dipendenti e autonomi.
Naturalmente, neppure un sistema e un indice così congegnato saranno in grado di intercettare esattamente i casi di effettivo bisogno in questa fase di emergenza: è un limite intrinseco del diritto quello di non riuscire mai a coprire esattamente la realtà fattuale ma di doverla sempre, in un certo senso, rincorrere. Nella presente drammatica situazione, tuttavia, è preferibile un indice più ampio, idoneo a comprendere nel perimetro del sussidio casi in cui in concreto potrebbe non esservi bisogno, piuttosto che potenzialmente troppo restrittivo, tale da escludere dal sussidio casi di effettiva necessità.
In questa prospettiva, è da accogliere l’invito del Governo a che non siano sfruttate le provvidenze pubbliche stabilite per l’emergenza da parte di chi, pur rientrando nella fattispecie astratta degli aventi diritto, in concreto non ne abbia bisogno. E’ una direttiva di grande ragionevolezza, che meriterebbe una valorizzazione sociale analoga a quella stabilita dall’art. 71 del decreto per i casi di rinuncia alla sospensione degli obblighi di versamento dei tributi. E’ una direttiva che, facendo perno sulla generosità degli Italiani, così forte e commovente in questo periodo, e sul senso civico e di bene comune del nostro popolo, merita di essere seguita in tutti i casi in cui è possibile. Lo sforzo finanziario dello Stato per far funzionare il welfare in questa fase è enorme e, dovendo ricorrere in larga parte – giustamente – all’indebitamento, avrà ripercussioni sulle generazioni future: per questo, oggi più che mai, tale sforzo necessita del sostegno di tutti coloro che non versino in un bisogno effettivo e, in particolare, di chi abbia a cuore il bene dei figli, dei giovani, delle famiglie italiane.