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Dopo le parole del Papa. Retribuzione (non sussidi) e diritti ai lavoratori. Ecco come

Dopo la pubblicazione sul sito di Avvenire, a dare maggiore attenzione alla lettera del Papa ai movimenti popolari è stato Beppe Grillo. Sul suo blog, tra i più letti in Italia, ha riportato integralmente il messaggio, lanciandolo sui social quasi fosse una conferma delle sue proposte ‘storiche’, riproposte ora nel pieno della crisi da coronavirus. «È arrivato il momento di mettere l’uomo al centro e non più il mercato del lavoro – ha scritto Grillo –. Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, creativo, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti i cittadini lo stesso livello di partenza: un reddito di base universale, per diritto di nascita, destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi, che vada oltre questa emergenza».

In realtà, le parole del Papa non disegnano un nuovo reddito di cittadinanza esteso universalmente, non prefigurano né sussidi né doti di partenza per le persone, ma rivendicano l’esigenza di una forma di retribuzione – è questa la parola scelta non a caso da Francesco – di base da riconoscersi universalmente. Ai cittadini indistintamente? No, anche in questo caso la risposta si trova nelle frasi successive del messaggio, laddove il pontefice parla di realizzazione dello slogan («molto cristiano») «nessun lavoratore senza diritti ». Ecco quindi come da queste parole-chiave si possano comprendere meglio le reali indicazioni del magistero sociale di Francesco. Che è poi quello della dottrina sociale della Chiesa e, se guardiamo all’Italia, di quanto previsto pure nella nostra Costituzione all’articolo 36. Occorre una giusta retribuzione che permetta al singolo e alla famiglia del lavoratore di vivere dignitosamente. Soprattutto, la dignità della persona non può essere compressa quando svolge un’attività, anzi. Perciò tutti i lavoratori devono essere titolari di diritti in ordine alla retribuzione e non solo.

«Questo è il punto chiave – commenta Maurizio Del Conte docente di Diritto del lavoro alla Bocconi ed ex presidente dell’Anpal –. Il lavoro in ‘nero’, assai diffuso in Italia e nel mondo, è per antonomasia senza diritti. E dove non ci sono diritti non viene riconosciuta la dignità delle persone. La prima sfida da affrontare, dunque, è riportare nell’alveo della legalità tutte le attività. E poi affrontare il nodo delle diseguaglianze all’interno del lavoro regolare. Che sono salariali ma non solo, se pensiamo a figure ‘deboli’ come stagisti, collaboratori, autonomi con un solo committente. Occorre individuare un nucleo di diritti universali inalienabili e prevedere tutele trasversali (per malattie, previdenza ecc.) per tutti i lavoratori». Un dibattito che in Italia è in corso almeno dalle proposte di Marco Biagi per uno ‘Statuto dei lavori’. «Sì, ma immaginando un sistema a cerchi concentrici o a orbite ellittiche intorno a un nucleo forte, in cui la contrattazione possa aggiungere aree di maggiore e miglior tutela».

Diritti e contrattazione sono i cardini necessari anche secondo Andrea Garnero economista del lavoro per l’Ocse a Parigi. «Il primo nodo è regolarizzare le attività informali, presenti in Italia ma largamente diffuse in molte parti del mondo – spiega –. Ma la seconda, e non meno importante azione, è quella di far rispettare le norme e i contratti. Perché minimi salariali fissati per legge o per contratto esistono formalmente in Italia e quasi dappertutto, solo che non vengono rispettati ». Per Garnero, dunque, è prioritario condurre «una doppia azione: dall’alto (legislatori e istituzioni) per eliminare gli incentivi esistenti all’evasione fiscale e contribuitiva, far emergere la zona grigia di lavoratori para- autonomi, assicurare a tutti tutele di base universalistiche, al di là della categoria, dell’ordine o dell’azienda di appartenenza. Dal basso (sindacati e associazioni) occorre invece maggiore vigilanza e contrattazione a livello decentrato. Ridurre l’apporto dei corpi intermedi non è una buona strada. Le tre T (in spagnolo terra, tetto e lavoro) che il Papa ricorda sono diritti inalienabili di cui i lavoratori in tutto il mondo dovrebbero godere».

«Per noi le parole di Papa Francesco rappresentano uno stimolo e un punto di riferimento costante – commenta Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl –. La Cisl è impegnata a favore dei più deboli. In questa crisi non ci si può chiudere negli egoismi nazionali o nell’indifferenza sociale. Anche per questo torniamo a chiedere al Governo l’attivazione immediata di un reddito universale di emergenza, cofinanziato anche da fondi europei inutilizzati, per garantire sostegni finanziari ai tanti, in particolare al Sud, che oggi restano esclusi dalle reti di tutela ». Sul tema più generale di una «retribuzione universale» richiamato dal Papa, Sbarra ricorda le parole pronunciate dallo stesso Francesco all’Ilva di Genova: «L’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Un lavoro regolare, che assicuri diritti ai lavoratori, a cui corrisponda una giusta retribuzione.

Fonte: Francesco Riccardi | Avvenire.it

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