Il Sole 24 Ore anticipa che le misure «allo studio» del governo per l’emergenza gli istituti non statali. Neanche lontanamente quel che serve per evitare la «chiusura di massa». Parla Luigi Sepiacci di Aninsei (Confindustria scuole libere)
Sul tema delle scuole paritarie a rischio chiusura a causa dell’emergenza coronavirus, ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo che lasciava spazio a pochi dubbi.
Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Istruzione, si legge, «le scuole paritarie in Italia, sono 12.564 (contro le 40 mila statali) e accolgono 866.805 studenti (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico): la fetta principale, 524.031, sono nel segmento della scuola dell’infanzia (compresi asili e materne)». Ebbene, è noto che le scuole paritarie nel nostro paese sono in maggioranza di ispirazione religiosa. Ma è chiaro che una loro «eventuale chiusura di massa» – per usare un termine sempre del quotidiano di Confindustria – non rappresenterebbe un guaio soltanto per i cattolici.
Una «eventuale chiusura di massa» delle scuole paritarie sarebbe un problema per tutti perché le scuole paritarie non sono “le scuole cattoliche”, sono innanzitutto le scuole libere. Tanto è vero che l’allarme dalle colonne del Sole 24 Ore lo lancia Luigi Sepiacci, presidente di Aninsei Confindustria, che come suggerisce il nome associa 600 istituti non statali non certo su basi confessionali. Dice Sepiacci, parlando delle rette scolastiche:
«A marzo ha pagato il 30% delle famiglie, ad aprile nessuno, anche chi sta usufruendo della didattica a distanza. Se continua così a settembre rischiamo di avere il 50-60% degli asili chiusi. E quelli che resteranno in piedi saranno costretti a raddoppiare le rette».
Infatti «gli asili nido e le scuole dell’infanzia», precisa Sepiacci a Tempi, «sono i più esposti alla crisi» perché per via dell’età dell’utenza ovviamente non possono contare più di tanto sulla didattica a distanza per continuare a erogare il servizio. In più «normalmente sono piccole strutture che servono di solito territori abbastanza circoscritti, e che dunque non hanno risorse per potere affrontare 4 o 5 mesi senza entrate ma con affitti e altre spese regolari».
Per le paritarie degli altri gradi di istruzione non è che le cose vadano molto meglio. Secondo Sepiacci, «dalle primarie alle secondarie di primo e secondo grado almeno il 30 per cento delle scuole paritarie è a rischio», perché anche se queste possono fare molta più didattica a distanza rispetto agli asili, «le famiglie nella situazione attuale di chiusura generale hanno comunque difficoltà a pagare, e hanno già iniziato a non farlo».
Si capisce quindi perché Il Sole 24 Ore paventi una «eventuale chiusura di massa», e perché lo faccia in termini non “cattolici” ma molto laici:
«Un extra-costo rischia di pagarlo anche lo Stato. Un’eventuale chiusura di massa delle scuole paritarie costerebbe alla collettività circa 5-6 miliardi di euro all’anno, considerando che, secondo l’Ocse, la spesa media complessiva per uno studente è in Italia di circa 6.500 euro all’anno».
E il bello è che in questo “danno potenziale” stimato di 5-6 miliardi di euro, puntualizza ancora Sepiaccia a Tempi, «non sono considerati i nidi: il costo potenziale per lo Stato è di 5-6 miliardi solo per i gradi dalla scuola dell’infanzia in su».
Nei giorni scorsi gli appelli e le proposte concrete da parte delle stesse scuole paritarie e da parte della politica si sono moltiplicati, e i dati snocciolati fin qui non sono certo nuovi ai nostri lettori. La novità dell’articolo del Sole è che presenta le misure con cui «il governo sta pensando di aiutare il mondo delle paritarie».
E quali sono queste misure? Gli interventi «a oggi allo studio» sono due, informa il quotidiano economico, e sono in alternativa tra loro. Il primo è «un potenziamento delle detrazioni vigenti», che a oggi arrivano al 19 per cento di un massimo di 800 euro di spesa. Un gran bel segnale, come abbiamo sempre detto, ma comunque spiccioli a fronte di «rette a carico delle famiglie» che – ricorda Il Sole 24 Ore – «oscillano dai 2 mila ai 4-5 mila euro, a seconda del grado di istruzione». Facile immaginare che un «potenziamento» di spiccioli equivarrebbe ad altri spiccioli.
La seconda misura «allo studio» del governo sarebbe un fondo ad hoc che, avverte il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, «dovrà avere una capienza di non meno di 100 milioni di euro per aiutare le famiglie in difficoltà con i pagamenti». Basta fare i conti della serva per capire di cosa stiamo parlando: 100 milioni di euro divisi per 866.805 studenti delle paritarie fanno 115 euro e 37 cent a testa. In alternativa, 100 milioni di euro divisi per 12.564 scuole paritarie fanno 7.959 euro a scuola (i cent possiamo risparmiarceli in questo caso).
Insomma, non ci siamo proprio. Parlando con Tempi, Sepiacci non entra nel merito delle misure prospettate dal quotidiano, ma «l’ordine di grandezza» che ha in mente il presidente di Aninsei per evitare il disastro «sicuramente è quello dei miliardi». «Sia ben chiaro però: è noto a tutti che anche prima della pandemia non era un periodo fiorente per le scuole paritarie, tutt’altro. Non chiediamo che lo Stato si metta a fare adesso operazioni di salvataggio di casi disperati». Il punto è, come per tante altre aziende, «garantire subito la liquidità che avrebbe consentito alle paritarie sane di non avere bilanci in rosso, ma che sta venendo meno per via delle difficoltà economiche delle famiglie».
Per questo, «più che contributi diretti, che spesso per altro sono fonte di sperequazione tra gli istituti», Aninsei ritiene giusto «puntare sulle detrazioni», ossia «un aiuto alle famiglie degli alunni delle paritarie, a fronte della dimostrazione di aver dovuto pagare le rette scolastiche». Concretamente, Sepiacci pensa alla «detraibilità totale di quanto le famiglie hanno versato in questi mesi in cui hanno dovuto rinunciare al servizio o usufruirne in maniera ridotta», se necessario «prevedendo un tetto di spesa parametrato al costo standard» (i 6.500 euro citati sopra, anche se osservatori diversi dall’Ocse lo stimano di molto superiore). Un intervento del genere, tra l’altro, potrebbe evitare anche una guerra fra poveri, ovvero tra scuole sull’orlo del crac e famiglie impoverite, magari con gli avvocati in mezzo.
Da buon esponente del mondo di Confindustria, Sepiacci non può fare a meno di notare come una possibile strage di scuole paritarie avrebbe effetti sull’intera economia: «Il problema è che sono le famiglie che rischiano di andare a rotoli», dice a Tempi. «Dunque non è appena questione di salvare la scuola non statale, che alcuni considerano un lusso (a torto, perché poi se il servizio non lo eroghiamo noi lo deve garantire lo Stato). Il problema è che se vanno in difficoltà le famiglie, tutta l’economia rischia di non ripartire più».
Anche per questo un sistema di detrazioni per Aninsei sarebbe preferibile al classico aiuto a pioggia: «Sarebbero soldi che di fatto lo Stato, rinunciando al corrispondente incasso in tasse, “spenderà” nel 2021, cioè tra un anno. Per di più il contribuente, a fronte di questo vantaggio fiscale, dovrebbe presentare fatture regolarmente emesse dalle scuole: è tutto imponibile che deve emergere e che alimenterà a sua volta il ciclo, “assorbendo” il costo della misura per lo Stato».
L’alternativa rischia di essere un bagno di sangue per le casse pubbliche. Non solo dello Stato, ma anche degli enti locali, che per altro secondo Sepiacci si stanno muovendo molto più rapidamente del governo centrale (un esempio sono i 6 milioni di euro stanziati dalla Regione Lazio a favore degli asili, sia pubblici che privati). In ogni caso, «qualcosa dovrà succedere sicuramente. Se riaprono le fabbriche ma non riaprono le scuole paritarie, ai bambini chi ci pensa, il Comune?».
Fonte: Pietro PICCININI | Tempi.it