Le conseguenze del coronavirus non saranno facili da superare. Occorrerà che tutti gli italiani facciano la loro parte attivamente
Tutto fa prevedere che le conseguenze dell’emergenza sanitaria sull’economia, sull’occupazione e sui redditi delle famiglie saranno drammatiche. Ma non sono pochi gli esperti che ritengono che dalla crisi possano scaturire le spinte per affermare nuovi modelli di sviluppo socialmente e ambientalmente più sostenibili. Cosa possiamo attenderci come cittadini italiani e del mondo? Di seguito mi permetto di evidenziare cinque motivi che possono confortare la speranza in un futuro migliore, e altrettanti che, all’opposto, fanno temere l’avvento di un lungo e contraddittorio periodo di gravi tensioni sociali e politiche.
I motivi per essere ottimisti:
1) il coronavirus ha scosso molte certezze, la fiducia nella potenza infinita delle tecnologie e le nostre sicurezze economiche. Tuttavia dobbiamo constatare che la gran parte degli Stati nazionali stanno reagendo con vigore, e con un’ingente mobilitazione di risorse, che non ha precedenti nella storia. Le lezioni apprese nella contraddittoria gestione della crisi del 2008 si stanno rivelando utili. E questo vale anche per l’Europa. I passi in avanti sono evidenti e la strada di una maggiore coesione sembra segnata;
2) l’uscita dalla crisi avverrà anche grazie al poderoso balzo in avanti della produttività generato dalle tecnologie, in gran parte già disponibili, che contribuiranno a ripensare gli ambienti organizzativi e le reti dei servizi, migliorando la qualità della vita, delle persone e delle comunità;
3) i beni collettivi sono tornati al centro delle politiche economiche. Il ritorno in auge del ruolo degli Stati nazionali e della politica favorirà l’avvio di un’importante stagione di investimenti pubblici. La presa d’atto che le economie capitalistiche di mercato non sono in grado di offrire risposte spontanee per la sostenibilità ambientale e sociale delle innovazioni tecnologiche contribuirà a rafforzare i livelli di cooperazione internazionale;
4) tutto questo avverrà anche grazie al mutamento, già in atto, del sistema di valori che orienta i comportamenti degli attori economici e dei consumatori. Competenza e responsabilità sociale torneranno a essere i criteri utilizzati per selezionare e valutare le nuove classi dirigenti;
5) la crisi offrirà una formidabile occasione per far fare un salto di qualità al nostro Paese. Per rimediare all’attuale sottoutilizzo del risparmio finanziario e delle risorse umane disponibili, per ripensare le priorità della spesa pubblica riducendo il peso della burocrazia, per riscrivere su basi nuove il patto tra le generazioni.
Molte delle scelte che sembravano impossibili, o proiettate nel lungo periodo, entreranno prepotentemente nelle agende politiche dei Governi.
Nel contempo sarebbe delittuoso trascurare le conseguenze pratiche della crisi pandemica, e le derive economiche e sociali che ne potrebbero conseguire. Ecco dunque i cinque motivi per essere pessimisti:
1) il potenziale delle risorse messe in campo dai governi per contrastare la crisi economica viene accompagnato, purtroppo, da strategie rivolte a consolidare le egemonie tecnologiche e da interventi finalizzati a rafforzare le produzioni nazionali. La recessione mondiale produrrà effetti differenziati sui singoli Paesi, con gravi conseguenze per quelli molto indebitati, con strutture deboli di welfare e che dipendono essenzialmente dalle materie prime. Tutto ciò avrà conseguenze sugli assetti geopolitici, un aumento delle disuguaglianze tra Paesi e la crescita di nuovi fenomeni migratori;
2) l’innovazione tecnologica è destinata a generare una nuova ondata di ristrutturazioni produttive finalizzate a risparmiare lavoro, che sommata alle conseguenze occupazionali della recessione mondiale avrà effetti destabilizzanti nella distribuzione del reddito e negli equilibri sociali all’interno dei singoli paesi;
3) la crisi del modello turbocapitalista non è affatto scontata. Il ruolo delle grandi multinazionali, soprattutto quelle che controllano lo sviluppo delle tecnologie, è destinato a crescere e a influenzare i cambiamenti della produzione, dei servizi, e della stessa vita quotidiana. Le democrazie occidentali, soprattutto quelle della vecchia Europa, si dimostrano lente nell’assumere decisioni anche per la difficoltà nel gestire le scelte impopolari, e potrebbero subire uno spiazzamento competitivo nell’attrazione dei capitali e nella produzione di beni;
4) in Europa le asimmetrie degli impatti economici e sociali sui Paesi aderenti all’Unione e la crescita delle ostilità verso gli immigrati possono comportare seri problemi per la tenuta della moneta unica e delle stesse istituzioni Ue;
5) una recessione che comporti una perdita di milioni di posti di lavoro in Italia rischia di compromettere in modo irreversibile gli equilibri economici, sociali e territoriali che reggono la comunità nazionale. Mettendo a rischio la stessa sostenibilità delle prestazioni sociali, già complicata per via dell’invecchiamento della popolazione. Le pulsioni populistiche e antieuropeiste sono di conseguenza destinate ad aumentare, assecondate da un’ulteriore deriva della classe dirigente.
Ed ecco cinque cose che possiamo fare, come cittadini italiani e del mondo, per limitare i danni e cogliere le nuove opportunità:
1) ripartire da noi stessi, da un serio esame dei nostri punti di forza e di debolezza, e senza indulgere nella perenne tentazione di attribuire la responsabilità dei nostri problemi a nemici esterni e interni. Molti nostri problemi, economici e sociali, sono la conseguenza della nostra incapacità di utilizzare al meglio le risorse disponibili;
2) uno sforzo di autocoscienza potrebbe consentirci di rappresentare in modo migliore i nostri interessi nazionali anche nelle sedi sovranazionali. Il nostro debito pubblico ci vincola alla ricerca di nuove risorse, a condizioni ragionevoli e con il concorso dell’Unione europea, ma dobbiamo anche porci il problema di utilizzare bene queste risorse, e di rendere sostenibili nel tempo i debiti, in un rapporto serio di reciprocità con gli altri Paesi aderenti;
3) il modo migliore per farlo è quello di destinare gli aiuti pubblici, la mobilitazione del risparmio privato e le agevolazioni fiscali verso gli autentici motori della crescita della nostra comunità, le imprese, le persone che lavorano e le famiglie che fanno crescere i figli e curano gli anziani;
4) evitare gli errori del passato, il ritorno allo Stato burocratico e gestore diretto delle risorse, le prestazioni assistenziali che disincentivano la proattività delle persone, l’ossessione di redistribuire un reddito nazionale che non cresce penalizzando coloro che contribuiscono a farlo crescere;
5) dobbiamo altresì ricostruire le basi di una nuova coscienza civica che rimetta al centro i valori del dovere, della responsabilità, della competenza, e che orienti i comportamenti dei cittadini e la selezione di nuova classe dirigente.
Nei prossimi mesi, quando diventeranno ancora più evidenti le conseguenze dell’emergenza sanitaria sull’economia reale e sulla vita delle persone, molte delle promesse e delle polemiche che hanno caratterizzato lo scenario politico degli anni recenti ci sembreranno prive di senso. E comprenderemo che il nostro destino dipenderà da noi. Dalla nostra capacità di farci parte dirigente per cambiare in meglio il nostro Paese.
Fonte:Natale FORLANI | IlSussidiario.net