Chissà se questo 4 maggio 2020 passerà alla storia come il giorno della liberazione degli italiani dal lockdown e dalla paura di respirare vicino a un proprio simile, o piuttosto quello dell’inizio di una nuova stagione di isolamento e depressione. Lo scopriremo solo vivendo. O forse morendo, morendo ancora un po’, negli ospedali Covid e nelle nostre case, di nuovo potenziali focolai di infezione.
Di certo – se ce la faremo a ripartire o se dovremo arrenderci a una recrudescenza di contagi e richiuderci dentro – dipenderà da noi. Da ognuno di noi, e dalle nostre piccole comunità, cerchie di congiunti e conoscenti. Dipenderà dal nostro senso di responsabilità, in ultima analisi dall’intelligenza, singola e collettiva, che sapremo mettere in campo nei comportamenti di tutti i giorni.
Perché dopo 50 giorni chiusi in casa, di questa vicenda sappiamo se non tutto, tanto. Nessuno può più nascondersi dietro alle incomprensibili disposizioni presidenziali, alle ordinanze regionali che sfidano il governo, nemmeno le fake news e le leggende metropolitane potranno giustificare errori e leggerezze.
I virologi hanno cambiato versione tante volte in questo mese e mezzo, vero: sulla pericolosità del virus, sulla diffusione del droplet nell’aria, sulla distanza di sicurezza e sull’immunità di gregge. Ma che l’epidemia si contiene col distanziamento e come si riducono i danni sanitari e sociali, ormai lo sanno anche i muri. A stringere, sono una manciata regole di buon senso, ma precise e spietate: dalla distanza fisica all’isolamento di chi è positivo o è entrato in contatto con persone malate, all’igiene personale.
Se tutti applicheremo rigorosamente il prezioso vademecum, l’Italia forse si metterà alle spalle questa stagione da incubo e in un paio d’anni, forse meno, tornerà a crescere più consapevole di prima. Vaccino e farmaci faranno il resto, sperando che nel frattempo la politica non sbagli più la mira nel sostegno a chi stenta e chi soffre.
Se non lo faremo, convinti che il virus scomparirà da solo così come da solo è arrivato, magari grazie al caldo estivo, se crederemo che il peggio è passato, liberi tutti, un po’ di coraggio, allora il mostro tornerà a colpire più duro di prima e nessuno potrà sostenere di non averlo potuto prevedere. Sarà colpa nostra, di alcuni di noi, di chi avrà avuto fretta di archiviare rigore e attenzione nel vivere e lavorare insieme agli altri.
Oggi, 4 maggio 2020, comincia la ricostruzione di un’economia stremata e di una socialità che spensierata e distratta come prima forse non potrà più essere, ma che pure va ripristinata. Tra qualche giorno entrerà in funzione l’app per il tracciamento sociale, ci aiuterà a ricostruire le mappa dei contatti di chi si è ammalato, grazie allo smartphone e alla tecnologia Bluetooth. Utile, ma non sufficiente a farci vincere la sfida, come non lo saranno da sole le mascherine a 50 centesimi e i nuovi protocolli aziendali per lavorare da remoto, i distributori di disinfettante nei negozi e i nuovi reparti di terapia intensiva.
Ce la faremo se sapremo mettere a sistema tutte le informazioni ottenute in questi 50 giorni, applicandole con rigore e coscienza, come tessere di un puzzle di media difficoltà dove la figura da ricomporre è la nostra vita di prima.
Vietato attaccarsi alle lacune della politica e agli errori di chi aveva il compito di dare la linea e spiegare bene le cose. Tanto non sapremo mai con certezza se altri avrebbero fatto meglio di fronte al Covid-19, se tutti questi morti sarebbero stati evitati se le scelte fossero state diverse. Sappiamo invece cosa bisogna fare ora, per non ricominciare.
I prossimi 50 giorni ci diranno chi siamo, chi siamo diventati, cosa abbiamo capito di questa storia di dolore e disperazione, ma anche di valore, talento e coraggio. La coscienza e la responsabilità sono le uniche app di intelligenza naturale che ognuno di noi dovrà utilizzare per sé e con gli altri per salvarsi, tornare a respirare e a progettare il futuro. Chi non avrà fatto l’aggiornamento, sarà condannato dalla storia.