Fase 2: gli sforzi collettivi hanno dato i risultati attesi. Da lunedì riprende la vita sociale e riprendono gli incontri con gli amici. I dati delle curve epidemiologiche sono incoraggianti. Potremo muoverci senza autocertificazioni, si potrà partecipare ad una celebrazione religiosa. Quale socialità post-pandemia si sta delineando? Analisti, storici, politici, economisti, poeti, filosofi cercano di immaginare il difficile ritorno alla vita ‘normale’. Tutto sarà come prima? O nulla sarà come prima? Prevale la speranza, a volte la disperazione.
“Chissà, chissà domani, su che cosa metteremo le mani, se si potrà contare ancora le onde del mare e alzare la testa…” – cito il brano ‘Futura’ di L. Dalla. Ci troviamo di fronte a un grande dilemma. Il ‘tempo sospeso’, vissuto in quarantena, ci ha fatto percepire la situazione esistenziale di precarietà in cui versa l’uomo e la società, la caducità delle cose materiali – abbiamo provato ribrezzo anche a maneggiare il danaro, l’imbarazzo della stessa scienza nel trovarsi a gestire una crisi pandemica, già annunciata.
Non è facile potere stabilire quanto questa esperienza globale potrà influire sulle relazioni umane, sugli asset mondiali di economia e solidarietà, sui processi inclusivi di partecipazione. Se porterà a riconsiderare gli standard a ribasso del Welfare delle Nazioni, a ricentrare tutto su valori comuni e duraturi. Il pensiero dei filosofi cerca di indirizzare sul piano assiologico ad un redivivo umanesimo, facendo appello all’ ‘etica della responsabilità globale’, supporto necessario alla convivenza pacifica e sostenibile, atto a contrastare la disperazione del pianeta, auspicando un ritorno significativo all’educazione. Gli storici stentano a comprendere e faticano a leggere nella filigrana del tempo, in merito a quello che dovrà rimanere scritto e lasciato ai posteri.
Gli equilibrismi della scienza, le falle della comunicazione, la boria dei social, la malcelata incertezza di chi ha dovuto assumere scelte di grande responsabilità nei confronti dei Paesi, sono le ‘icone vivide della pandemia’. “No lacrime non fermarti fino a domani, sarà stato forse un tuono non mi meraviglio è una notte di fuoco”, cito ancora il cantautore bolognese. Bollettini di guerra, la traslazione delle salme, la disperazione di chi ha perso i propri congiunti senza poter assicurare alcun conforto, la rassegna degli ‘eroi’, scorrono come sequenze tragiche di un film nella nostra mente.
“Marzo 2020, quarantena in casa per tutta Italia per colpa del coronavirus, io sono incinta di 7 mesi e mezzo del mio secondo bambino – scrive Blu eyes 89 a commento della già citata canzone – ascolto commossa questo capolavoro che mi dà tanta speranza nonostante fuori sia un gran caos e tutto così pauroso… ma la vita che tra poco darò alla luce avrà la meglio su tutta questa brutta situazione”.
‘Ripartire dalla vita’ è la migliore risposta. Non è il trionfo della morte, come nella macabra ‘danza della morte’ raffigurata nelle pareti delle cattedrali durante le grandi pestilenze e calamità, o nelle trincee della Grande guerra, l’inquietante triste compagna. ‘Morte e vita si sono combattute ancora una volta’.
“All’aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia – scrive Giovanni Paolo II, 25 anni fa, nell’incipit dell’epocale enciclica Evangelium Vitae, consegnata alla Chiesa il 25 marzo del 1995, diciassettesimo anno del suo pontificato – A sprigionare questa «grande gioia» è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce (cf. Gv 16, 21)”.
“Varcare la soglia del futuro”, verso una nuova “ermeneutica della vita e per la vita”. Bisognerà riporre la speranza nella vita, luogo di incontro, di confronto di rinascita umana, sociale e spirituale per ogni uomo. Questa è la grande riflessione per l’umanità. Un monito a “vivere la vita in maniera autentica”. Cogliere la precarietà di tutti i nostri progetti – afferma M. Heidegger – significa: “Essere per la morte”, che non significa lasciarsi prendere dallo sconforto, dalla paura e dalla disperazione, ma cogliere il senso del limite della nostra esistenza. Le “situazioni limite”- afferma K. Jaspers – suggellano il nostro essere votati al “grande naufragio” ma lasciano presagire e intravedere le “cifre della trascendenza”, l’epifania dell’Altro, “una luce fuori dal tunnel”.
Viviamo immersi in uno “scontro immane e drammatico”, tra il male e il bene, tra la morte e la vita, la “cultura della morte e la cultura della vita”, afferma Giovanni Paolo II nell’EV. Tale conflitto ci coinvolge, siamo chiamati a scendere in campo “per la vita”. Una cultura di morte che ha le sue radici nello sviluppo del pensiero moderno e contemporaneo ed ha trovato espressione in vere e proprie “strutture di peccato” come la “nuova questione sociale” (l’EV fu pubblicata a 100 anni dalla Rerum Novarum), non meno grave di quella che fu posta ai tempi di leone XIII, la questione operaia. “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!” (EV, n.5), esorta il papa polacco. “Alle antiche dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza delle guerre, se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dimensioni inquietanti” (EV, n.3). Una “cultura della vita”, che i cristiani, come “popolo della vita”, sono chiamati dalla loro stessa vocazione battesimale ad annunciare, celebrare e servire dentro le circostanze concrete della vita familiare, professionale e politica. “Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché fatta propria con piu salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti” (EV, n. 95). Questo è il “testamento” che il “Papa venuto da molto lontano” con grande lungimiranza ci ha lasciato.
“Nella musica c’è la vita, c’è Dio – ha dichiarato il maestro Ezio Bosso, in una recente intervista. In tempi di pandemia la musica ha riempito i silenzi della nostra vita, ha fatto da sottofondo alle nostre riflessioni. E’ stata la nostra compagna, e spesso è diventata preghiera. “Nascerà e non avrà paura nostro figlio e chissà come sarà lui domani su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani… le sue mani, si muoverà e potrà volare… e se è una femmina si chiamerà futura. Il suo nome detto questa notte mette già paura”
“Varcare la soglia del futuro” significa, inoltre, fare leva sulle capacità e sul “protagonismo delle donne” chiamate da sempre a generare, accogliere e custodire la vita, e grazie ai recenti ruoli assunti nella società ad essere portatrici di nuove sensibilità e strategie. Consideriamo storicamente il prezioso contributo delle donne italiane nella Grande guerra, nel Secondo dopoguerra: durante la Resistenza, nel 46 per la prima volta alle urne, nella fase Costituente, sino ai giorni nostri. E ora “… aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani” – grazie Lucio.
Fonte: Paolo BUTTIGLIERI | Interis.it