Takouba, nel Sahel l’Europa arma e si arma
— 9 Giugno 2020
— pubblicato da Redazione. —
L’operazione militare francese nel Mali, il cuore del Sahel, era stata battezzata Serval, nome di un felino selvatico originario dell’Africa sub sahariana. Fermare l’avanzata dei presunti jihadisti verso la capitale del Paese era stato il pretesto dell’intervento, iniziato nel mese di gennaio del 2013 e terminata l’anno seguente. Il mese di agosto del 2014 l’operazione Serval è stata sostituita dall’operazione Barkhane, nome di una particolare duna “migrante” col vento nel deserto sahar–saheliano, ed è imperniata su un contingente francese di circa 5mila militari. Lo scopo dichiarato dell’operazione è quello di fare sì che gli Stati del Sahel acquisiscano la capacità di gestire in modo autonomo la loro sicurezza. Anche l’operazione Barkhane è di natura anti–insurrezionale, contro i gruppi terroristi armati di ispirazione jihadista. E le forze in campo si sono via via moltiplicate in modo proporzionale ai soldi, ai militari e ai gruppi armati. Si prospetta una guerra di lunga durata che oltre a migliaia di morti sta producendo centinaia di migliaia di sfollati, rifugiati e intere zone abbandonate dallo Stato. Il panmilitarismo continua a proporsi come profezia che si (auto)avvera: chi di spada ferisce di spada perisce, sta scritto. Takouba è il nome attribuito alle forze speciali europee che dovrebbero aiutare quelle maliane nella lotta contro il terrorismo nel Sahel. Ora Takouba è una parola in Tamachek, la lingua dei Tuareg, che significa la spada usata nella tradizione per proteggere l’onore. La forza Takouba è stata annunciata, secondo la ministra della difesa francese, Florence Parly, da Emmanuel Macron in occasione del contestato incontro di Pau. Il “summit” era stato convocato dallo stesso presidente francese che voleva mettere a tacere le voci crescenti di dissenso di una parte della società civile dei Paesi africani in guerra contro la presenza francese. E dunque, oltre l’operazione Barkhane, la forza delle Nazioni Unite
Minusma, la presenza di accordi bilaterali di addestramento e formazione militare, il G5 Sahel, altre migliaia di militari, ecco il prossimo arrivo della forza europea battezzata Takouba. Secondo la ministra Parly i risultati delle operazioni sono assai incoraggianti in particolare nelle zone delle “tre frontiere”, Burkina, Mali e Niger. Proprio in questa regione, si registrano gli abusi più consistenti nei confronti dei civili. Alcuni di questi sono stati discussi giorni fa dalla Commisssione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite che ha invitato i militari a terminare le violenze e i massacri sulle popolazioni locali. Secondo la ministra della Difesa, estoni e svedesi sono già della partita, e i cechi hanno dato il loro accordo di principio, mentre altri Paesi manifestano interesse per unirsi alla forza europea Takouba. Un primo contingente dovrebbe essere operativo prima della fine dell’estate e comprenderà un centinaio di militari presi dalle forze speciali. L’Unione Europea esprime la sua inquietudine sulla possibile estensione della crisi ad altri Paesi vicini e a quelli della Costa guineana, sull’Atlantico. E promette altri 194 milioni di euro per le forze di sicurezza. Non si capisce dunque perché si dovrebbe far cessare una guerra che arricchisce molti e che soprattutto conferma che solo con la guerra si potrà generare la pace. Creare guerre per vendere armi e usarle per creare ancora guerre è storia troppo conosciuta per stupirsene e per meravigliarsi che certi conflitti armati siano perenni. Senza dimenticare che la corruzione prospera sempre laddove circolano somme cospicue di denaro. Il Niger, ad esempio, ha investito miliardi di franchi per la sua difesa ed è di queste settimane l’inchiesta per chiarire nomi e mandanti di supposti misfatti. Le prime stime, filtrate dal Rapporto, parlano di circa 116 milioni di euro che mancano all’appello. Chi di spada ferisce di spada perisce, così sta scritto.
Niamey, giugno 2020
Fonte: Mauro ARMANINO | Avvenire.it
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