Persino Achille ebbe un’adolescenza travagliata. Quando sua madre, la dea Teti, venne a sapere che il figlio sarebbe morto nella guerra di Troia, lo costrinse a travestirsi da ragazza e lo nascose nel gineceo (la parte della casa riservata alle donne) della corte di un re straniero, perché sfuggisse all’arruolamento. Ma l’inganno durò poco: prima Achille si innamorò di una delle figlie del re e le svelò la sua identità, e poi, avendo sentito rumori di battaglia fuori dal palazzo, si precipitò a combattere, ma era un trucco di Ulisse per stanarlo dal nascondiglio. La vicenda precede l’Iliade e rappresenta il rito di passaggio alla maturità: la madre vuole trattenere Achille nell’infanzia, ma la vita, inesorabile, trasforma l’in-fante, letteralmente chi non parla, in un fante, colui che prende la parola, ama e combatte in prima persona. I riti di passaggio, da sempre, segnalano le faticose tappe della crescita, rendendole sensate. Lo è l’imminente maturità di quest’anno? Immaginate la scena: un ragazzo in mascherina di fronte ai suoi docenti in mascherina. Sarà piuttosto la mascherata di un rito di passaggio già da tempo inadeguato, ma non per questo da buttar via, bensì da ripensare.
L’adolescenza, spesso ridotta a una malattia da cui guarire, è in realtà l’età della tensione fisica e spirituale per scoprire per chi e che cosa val la pena vivere: è infatti sensibilissima ai richiami della vita, necessari per attivare l’unicità personale (educare è accompagnare e dare un senso a questi momenti). È inutile proteggere Achille dalla realtà, che se ne frega dei nostri tentativi di nasconderla: lui sente il richiamo dell’amore e della guerra, e sono queste le verità da affrontare. Se l’adolescenza è, per questa attesa di verità, l’età della speranza, la maturità lo è dell’esperienza: la messa in opera di ciò che è necessario per essere vivi. Adulto in latino è il risultato dell’atto di adolescere (raggiungere la pienezza), da cui adolescente. Crescere comporta fatica e ferite, e i riti di passaggio umanizzano le soglie per una vita più piena e vera. L’esame di maturità, che potrebbe essere questo, da tempo è diventato invece una formalità: tutti promossi (99,7% l’anno scorso) e un voto ininfluente per l’iscrizione all’università o altre scelte. Maturo, come mattino, viene da una radice che indica «l’arrivare a tempo», né troppo presto (acerbo) né troppo tardi (marcio). Quello di quest’anno, a causa di una gestione ministeriale incerta e assai tardiva, è più simile quindi a un esame di «immaturità». E non si tratta, purtroppo, solo delle sfortunate circostanze del 2020, ma è successo anche l’anno scorso: cambiamento dell’esame in corso d’anno (buste, scritti, crediti…), senza rispetto per docenti e ragazzi. Un sistema «immaturo» pretende la «maturità» da noi che a scuola ci viviamo. L’unico dato positivo è il maggior peso del curriculum dei tre anni (60% del voto: avrei fatto di più visto che i professori sono interni), che valorizza la storia del ragazzo, non risolvibile, in ogni caso, in un orale organizzato all’ultimo minuto. Per questo consiglio ai maturandi di non sopravvalutare l’esame, anzi di smascherarlo (mascherina permettendo) salvandone l’essenza: il rito di passaggio. Infatti se loro ci chiedessero: perché devo fare l’esame? Sapremmo rispondere con qualcosa di diverso dal «pezzo di carta» o dal «si deve»? È una presa in carico della vita o una presa in giro? Le «materie» scolastiche sono o non sono state parte della più ampia materia (parola latina che indicava il legno tratto da un bosco per essere lavorato) che è vitale per fare l’opera ispirata dal percorso adolescenziale? No, se in quel percorso, come accade oggi, è assente l’orientamento al futuro basato sull’unicità del ragazzo. Ora come ora l’esame è uno stanco adempimento formale e autoreferenziale: la sintesi della scuola attuale (obbligo e burocrazia). Tantissimi studenti dell’ultimo anno, in questi mesi, si sono ribellati: ne avete avuto notizia? Qualcuno li ha ascoltati? O li si ascolta e li si fa ribellare solo quando serve a sfruttare i loro volti freschi per i propri interessi di propaganda? Questo è portare alla maturità? Il sistema educativo, oggi, non offre riti di passaggio che dicano chiaro ai ragazzi, dandone le ragioni: «Diventare adulti è faticoso ma è bello», ma li spinge a rimandare, rimanere infanti e conformisti.
Maturo è chi «arriva a tempo» agli appuntamenti della vita, previsti e no, senza rimanerne schiacciato. Preparare alla maturità è preparare i ragazzi a rispondere alle chiamate di verità senza sottrarsi, cioè metterli «in pericolo», non evitarglielo. Achille disobbedisce, ama e va in guerra, così diventa un eroe: altrimenti sarebbe rimasto un bambino, nascosto in una vita falsa, decisa da altri. Sarebbe morto ogni giorno, non una volta sola, e di lui non ci sarebbe nulla da raccontare.
Fonte: Alessandro D’AVENIA – Corriere.it