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Maturità. I temi che (non) ci saranno

La Maturità sarà senza prove scritte, ma mai come in questo momento sarebbe stato interessante riflettere assieme agli studenti sui tempi che stiamo vivendo. Ecco quattro tracce «immaginarie»

L’uomo domestico rischia di perdere la corporalità

DANIELE MENCARELLI

La nostra società è stata obbligata a una nuova alfabetizzazione, per necessità, quasi brutalmente. La pandemia che ci ha travolti ha indotto moltissime persone a confrontarsi con la tecnologia e il digitale. Persone che mai si sarebbero avvicinate a certi strumenti, in primis per una questione anagrafica, si sono viste costrette a imparare molto frettolosamente l’utilizzo di questi sistemi per non essere tagliati fuori dal mondo, nondimeno per continuare a svolgere i propri doveri. Professori e sacerdoti, agenti di commercio e scienziati. Tutti allo stesso modo obbedienti a questa formula di relazione indiretta. Ma non solo per quanto riguarda il lavoro, la comunicazione a distanza, le videochiamate in particolare, hanno permesso a intere famiglie di mantenere vivo il dialogo, soprattutto con quella fascia di età più anziana ed esposta al virus, e quindi a ragione più attenta e isolata. I nonni. Grazie alle varie piattaforme che offrono il servizio di videochiamata, quasi tutte gratis, nonni e nipoti hanno potuto continuare a vedersi, seppur nella limitatezza di uno schermo. A distanza. Ora che il virus sta retrocedendo, e la speranza è che mai più faccia capolino, tutti noi stiamo tornando lentamente alla normalità. Quindi a quella forma di relazione, vecchia quanto l’uomo, che prevede l’incontro in carne e ossa, senza intermediari digitali. Nella realtà della nostra vita.

Il ritorno alla normalità è stato accolto da tutti con entusiasmo. Perché il digitale sarà pure una risorsa in termini di comunicazione umana, ma altra cosa è incontrarsi per come natura vuole, guardarsi negli occhi, scambiarsi quei gesti, dagli abbracci ai baci, che ci fanno sentire gli altri come parte integrante della nostra vita. L’uomo è corpo, è materia pulsante, è necessità continua di ritrovarsi nell’altro. Nella corporalità dell’altro. Nella tenerezza del contatto tra simili. Ma a qualcuno questo ritorno alla normalità non piace. Anzi.

L’uomo obbedisce a forme di potere, dominanti su tutte le altre, che spingono e spingeranno in senso contrario. Forme di potere che lui stesso ha eretto, e che oggi hanno preso il sopravvento su tutto il resto. L’economia. L’alta finanza. Mondi che viaggiano in direzione spesso contraria al benessere di tutta l’umanità. Queste forme di potere faranno di tutto per mantenerci allo status di uomo domestico, per rimodulare la nostra visione di normalità facendo della nostra abitazione il luogo unico della nostra vita. O quasi. Ma perché tutto questo? Perché l’alta finanza vuole imporci questa rivoluzione? Semplice. Perché un uomo che svolge le sue attività dalla propria abitazione, in primis il lavoro, il famoso smart working, permette alle aziende un risparmio altissimo. Pensate ai costi che un’azienda deve affrontare per il mantenimento di una sede, all’illuminazione, il riscaldamento, gli arredamenti… Questi sono gli aspetti più evidenti, ma ce ne sono altri più subdoli, che hanno a che fare con la nostra identità, i nostri desideri. L’uomo domestico vivrà sempre più in assenza di realtà, si affiderà completamente alle narrazioni del mondo, e ragionerà, vivrà ed acquisterà, obbedendo ad esse, confondendole sempre di più con la vita vera.

Più che una possibilità, una distopia da evitare in ogni modo.


2 LA TRACCIA LETTERARIA​
Nell’’Appunto per una poesia in lappone’ (1975) Pier Paolo Pasolini si diceva certo che, dopo «cinque anni di ‘sviluppo’», rei di aver «reso gli italiani un popolo di nevrotici idioti», altri «cinque anni», però «di miseria», avrebbero saputo «ricondurli alla loro sia pur misera umanità». Oggi, di fronte al periodo di grande difficoltà economica che abbiamo di fronte in seguito alla pandemia da Covid-19, viene da chiedersi se Pasolini avrebbe potuto svolgere un’analoga riflessione. Qual è la tua opinione? Pasolini ci parla ancora: progresso, non sviluppo

Pasolini ci parla ancora: progresso, non sviluppo

ROBERTO CARNERO

Sappiamo quanto Pasolini sia stato fortemente critico nei confronti dello ‘sviluppo’ del boom economico, al quale egli contrapponeva il concetto di ‘progresso’. I due termini nel suo linguaggio non sono affatto sinonimi. Mentre lo sviluppo che si stava realizzando nell’Italia di quegli anni equivaleva a una crescita materiale, quantitativa, ma anche a un peggioramento della qualità morale e spirituale della vita, a una globalizzazione selvaggia, a una devastazione della natura e del territorio, nel concetto pasoliniano di progresso c’era l’idea di un’evoluzione e di un miglioramento delle condizioni di vita anche in senso sociale e culturale.

Guardando al presente, quella che stiamo attraversando potrebbe essere, nell’ottica pasoliniana, una fase propizia per trasformare lo sviluppo in progresso? Si sente infatti ripetere da più parti che dopo la pandemia da Covid-19 ‘nulla sarà più come prima’. Considerando anche quanto sta succedendo in queste settimane negli Stati Uniti, con le proteste di piazza contro l’emarginazione e il vero e proprio razzismo di cui sono fatti oggetto ampi strati della popolazione, viene da pensare che Pasolini avrebbe ritenuto questa crisi l’esito di uno sviluppo incapace di guardare alle persone e alle loro esigenze profonde, avendo invece dato vita a una società quasi feudale: una piramide alla cui sommità si collocano pochi privilegiati, in mezzo una sempre più esigua classe media, fortemente impoverita, e alla base crescenti masse di diseredati. Una situazione potenzialmente esplosiva per la tenuta della stessa democrazia.

L’occasione storica che ci troviamo davanti è dunque quella di ripensare in profondità – come anche papa Francesco ha più volte invitato a fare – le strutture economiche su cui si regge l’Occidente industrializzato, per eliminare alla radice discriminazioni e diseguaglianze. Non si tratta tanto di fare un astratto elogio del pauperismo, quanto di correggere le storture che l’attuale sistema contiene in sé, ridisegnando rapporti economici ed equilibri sociali in modo più equo e solidale.

Nell’ultimo Pasolini (quello degli Scritti corsari) troviamo un’altra significativa dicotomia. Lo scrittore contrapponeva il concetto di ‘realtà‘ (ciò che è concreto e ha radici antiche, una storia, un legame con la realtà culturale e antropologica per come si è sedimentata nel corso del tempo) a quello di ‘irrealtà‘ (una modernità priva di rapporti con ciò che era preesistente, e dunque superficiale, banale, molto spesso brutta). In questi mesi, costretti al distanziamento fisico, tutti noi ci siamo tenuti in contatto e abbiamo comunicato grazie agli strumenti elettronici: il telefono, Internet, i social. Il lavoro è stato portato avanti in modalità ‘smart’ e scuola e università hanno continuato a erogare lezioni ‘online’. Tutte soluzioni utili, anzi utilissime, per non fermarsi nella fase dell’emergenza. Ma non appena sarà possibile, sarà bello riscoprire la dimensione fisica, corporea, ‘reale’, appunto, dei nostri rapporti interpersonali. Che rimane un aspetto davvero non facilmente surrogabile.


3 LA TRACCIA STORICA​​​
Settantacinque anni fa finiva il più devastante conflitto della storia: la Seconda guerra mondiale. Le enormi perdite di vita umane e le rovine materiali e morali imposero agli italiani e a tutti gli altri popoli di affrontare una grande opera di ricostruzione. Il candidato illustri come è stata affrontata quest’opera e come sono state poste le basi di un una nuova convivenza, in Italia e nel mondo.

Perdono e un senso del futuro così si rinasce dalla macerie

AGOSTINO GIOVAGNOLI

Almeno cinquanta milioni sono state le vittime della Seconda guerra mondiale, tra cui sei milioni di ebrei. Le distruzioni materiali sono state enormi, intere città europee rase al suolo ed altre largamente danneggiate. In Estremo oriente, a Hiroshima e Nagasaki, un’arma nuova e terribile, la bomba atomica, ha disintegrato anche i corpi oltre alle case. Quando è finito tutto questo – il 9 maggio 1945 in Europa e il 15 agosto in Estremo Oriente – c’era un mondo da ricostruire. E ricostruzione è stata la parola chiave del dopoguerra: politica, economica, sociale, ma anche – anzi, soprattutto – morale. Il più importante filosofo italiano, il laico e anticlericale Benedetto Croce, scrisse in quegli anni ‘Perché non possiamo non dirci cristiani’: solo ripartendo dal cristianesimo, affermò, il mondo avrebbe potuto riprendersi un male immenso che aveva invaso le coscienze. Solo il perdono cristiano avrebbe permesso la ripresa. Così è stato.

In Italia, la ricostruzione è stata straordinariamente rapida ed è andata oltre ogni aspettativa. Nel nostro Paese, già nel 1951 gran parte delle fabbriche e delle infrastrutture era tornato a pieno regime e pochi anno dopo sarebbe scoppiato il boom economico che ha portato la società italiana su traguardi di benessere e modernità che nel 1945 sarebbero stati inimmaginabili. Ma tutto ciò è stato possibile perché l’Italia non è ripartita dagli interessi di parte come nel primo dopoguerra, ma da una grande solidarietà collettiva che la politica ha saputo interpretare e sostenere. I grandi partiti di massa seppero superare le profonde contrapposizioni ideologiche che li dividevano per stendere una nuova carta costituzionale e fu uno di loro, Alcide De Gasperi, a forzare la logica miope e angusta degli industriali italiani, allora guidati dal Presidente di Confindustria Angelo Costa. Qualcosa di simile è accaduto anche in gran parte del mondo. Dopo la falsa partenza del primo dopoguerra, gli Stati Uniti impararono a loro spese che l’isolazionismo non paga. E durante il Secondo conflitto mondiale si applicarono a tracciare un nuovo scenario mondiale. Ne scaturì un disegno di pace e un progetto di ordine mondiale fondato sulla cooperazione multilaterale e su grandi organizzazioni internazionale come l’Onu, la Fao, l’Organizzazione mondiale della sanità…

È stata questa cornice a permettere anche la ripresa europea e, dopo pochi anni, l’inizio di un cammino verso un’Europa sempre più unita che giunge fino a noi. In Italia, in Europa e nel mondo questa straordinaria ricostruzione post-bellica è stata possibile perché animata da un grande slancio ricostruttivo e cioè da una spinta potente – ideale e pratica, morale e materiale – in grado di coinvolge tanti, mobilitare energie, incentivare l’iniziativa individuale, favorire la solidarietà collettiva ecc. Non c’è ricostruzione, infatti, se non c’è un senso condiviso di grande futuro collettivo. Ecco qualcosa di cui c’è grande bisogno anche oggi: viviamo in una situazione simile a quello di un dopoguerra e ci attende un’impegnativa opera di ricostruzione. Anche oggi, perciò, c’è bisogno di un nuovo slancio ricostruttivo, in Italia e nel mondo.


4 LA TRACCIA SCIENTIFICA​
Scienza e tecnologia hanno un ruolo sempre maggiore, con aspetti molto positivi, ma pure con interrogativi circa alcuni effetti sulle relazioni e sull’ambiente. Che prospettive si aprono, anche alla luce delle crisi recenti.

Nell’era di Covid e tecnologia attenti all’etica della ricerca

VITTORIO A. SIRONI

L’esperienza vissuta in questi mesi ha permesso di rilevare l’importanza che il ruolo della scienza ha giocato nell’identificare rapidamente il nuovo coronavirus. E il ruolo che la tecnologia ha avuto in ambito medico – con strumenti diagnostici e supporti terapeutici tecnologicamente avanzati – e la tecnologia digitale ha svolto nella vita quotidiana durante il lockdown, consentendo di lavorare da casa con lo smart working, realizzando la didattica a distanza attraverso l’uso di piattaforme informatiche, permettendo il contatto virtuale familiare e sociale quando quello fisico era impossibile.

Scienza e tecnologia non sono però sinonimi. La scienza è il risultato di un processo di conoscenze messe in atto dalla mente umana attraverso l’osservazione, l’esperimento e la ricerca organizzata con procedimenti metodologicamente razionali tesi a favorire l’interpretazione e la comprensione della complessità del reale. La tecnologia è invece l’applicazione delle scoperte scientifiche nei vari campi dell’attività umana. La prima è un arricchimento culturale dell’umanità e come tale non è teoricamente sottoposta a limiti o vincoli. La seconda mira a facilitare e innovare la vita dell’uomo, rendendo sempre più efficienti le sue capacità di dominare e modificare la natura, e va quindi contestualizzata secondo fattori economici, politici, sociali ed etici.

Entrambe sono fondamentali per determinare il progresso, che deriva sia dall’accrescimento delle conoscenze scientifiche sia dall’incremento delle innovazioni tecnologiche, portando a raggiungere livelli sempre più elevati di sapere e di azione. Questo determina oggi il nostro presente e costruirà il nostro futuro, fornendoci una capacità crescente di plasmare la nostra vita e il nostro mondo. I benefici ottenuti sono evidenti e notevoli, ma i rischi sono altrettanto numerosi. Occorre agire con saggezza, giustizia ed etica per evitare danni irreparabili, come ammoniscono le tragedie nucleari passate (Hiroshima e Chernobyl) e l’emergenza del cambiamento climatico in atto.

Per questo è importante favorire lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica attraverso l’istruzione. In molti Paesi persiste un grave squilibrio nell’idea di cultura. Un ‘equivoco di fondo’ per cui didatticamente si privilegiano gli studi umanistico-letterari e storici rispetto a quelli scientifici, sottovalutando l’importanza che solide basi di cultura scientifica hanno per lo sviluppo di ogni individuo. Ma oggi la conoscenza scientifica rappresenta un fattore indispensabile nella formazione culturale di ogni individuo (si consideri per esempio l’ambito medico-biologico o quello ecologico-climatico); e nel mondo attuale teoria e pratica sono inscindibili (si pensi banalmente all’uso dei computer). Prendere coscienza della necessità di un riequilibrio tra formazione umanistica e studi scientifici è oggi più che mai indispensabile. Così come lo è avere gli strumenti per una valutazione umanistica ed etica delle applicazioni tecnologiche. Al fine di favorire un progresso che sia autentico e non abbia effetti collaterali sottovalutati fino al loro tragico esplodere.

Fonte: Avvenire.it

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