Io inizierei in levare. Con una pausa di silenzio ma carica di preghiera, compassione, amore verso le persone che patiscono un così inconsapevole odio verso sè stesse e per quelle, ben più colpevoli, che di questa sofferenza fanno un’insofferenza e infine una domanda di mercato. E in risposta a quella vendono farmaci, interventi chirurgici, prodotti, vestiti, vane promesse.
Eppure i soldi non sono affatto il prezzo più salato.
Giugno, che per noi è il mese del Sacro Cuore di Gesù, è per altri calendari il mese del Pride, in memoria di quel primo giugno californiano in cui l’attivismo lgbt ha iniziato a battere più forti i propri colpi. La cosa è talmente da celebrare che anche solo digitando su google la domanda “perché giugno è il mese del pride” vi si drappeggerà davanti uno manto arcobaleno. Niente più di una cornicetta decorativa eppure fa parte dei complementi d’arredo della dimora comune imposta e recintata dal pensiero unico. La recinzione è elettrificata, provate ad avvicinarvi. La scarica vi colpirà anche se siete una scrittrice di enorme fama.
Siccome personalmente ho un residuo fisso di sospetto complottista nei confronti di queste agende inflitte all’opinione pubblica mondiale credo invece che la scelta sia stata fatta anche in aperta collisione e in intenzionale irrisione dei valori cristiani. E anche questo pensiero non fosse nelle intenzioni dei promotori incontrerà di sicuro il gusto di chi di professione odia l’uomo, Dio e la Chiesa soprattutto quella Cattolica.
Questo film-spot voluto e firmato dalla Diesel e girato dal regista Francois Rousselet non fa che rinforzare l’idea; poiché non si sono accontentati di mostrare un calvario chimico, psichico, chirurgico di un giovanissimo uomo che vuole assumere le sembianze della donna che sente di essere, ma lo hanno fatto vedere felice solo nella realizzazione dell’ultimo sogno: diventare suora. Guardate e ditemi onestamente se non vi resta una tristezza profonda per questo ragazzo che resta tale, nonostante tutti i suoi sforzi e la felicità di cui raccontano sia titolare.
Dunque veniamo al film, un corto di due minuti circa che ha per protagonista e titolo “Francesca”. Un uomo che scopro essere una modella e attivista canadese di nome Harlow Monroe, transgender, riferiscono, dall’età di 16 anni. Ora di anni ne ha 23, ma quanti davvero gliene peseranno sul cuore?
Come in tutte le favole che si rispettino è proprio allo scoccare dei 16 anni che alle principesse succede qualcosa che le trasforma. Ora però siamo nell’epoca iconoclasta che abbatte statue e mette all’indice libri e film e nemmeno con le fiabe ci va giù tanto per il sottile. Ci ricordiamo ancora quando impazzavano cenerentoli e saffiche ex sirene o piccoli principi sottoposti a trattamento equality per cui i maschi diventano femmine e i serpenti ingoiano vulcani al posto di elefanti?
A questo ragazzino non è bastato pungersi con il fuso di un arcolaio e attendere il bacio di un uomo senza velleità migratorie verso altri generi; a lui come a migliaia di bambini a ridosso della pubertà che si convincono di dover abbandonare il sesso di nascita e non incontrano nessuno che li fermi sono servite centinaia di compresse ormonali, menomazioni genitali procurate con interventi chirurgici, continue sevizie da estetista più che cinica e, cosa ben più grave, la compiaciuta e avida connivenza di un mondo adulto che su questo tipo di sofferenza specula. Ci ha costruito un business planetario. E con la forza della pubblicità continua a raccontare ad un mondo inebetito che è tanto bello bloccare la pubertà, imbottirsi di ormoni, buttare nei rifiuti speciali gonadi perfettamente sane estratte chirurgicamente, tagliacucire lembi di pelle del pene disassemblato per dare loro la inutile sembianza di una vulva e di una neovagina.
Non possiamo ignorare il dato, tragico, dell’altissima incidenza di suicidi e tentati suicidi proprio tra persone che hanno compiuto il percorso di transizione di genere.
Negli USA, tra i dati recenti più completi, spicca una ricerca dell’inizio 2018, che mostra come i tentativi di suicidio, che a livello generale nazionale sono al 4,5%, salgano vertiginosamente tra i transessuali: il 42% degli uomini in cura ormonale per diventare donne e il 46% delle donne in cura ormonale per diventare uomini hanno tentato il suicidio almeno una volta nella vita. (Provita e Famiglia)
Tutto si regge su un assunto falso e privo di qualsiasi base razionale. Mi stupisce, forse ingenuamente, che possa essere così nell’era ossessionata dal “lo dice la scienza”.
“Sono una donna (o un uomo) nata/o nel corpo sbagliato”; così iniziano tante storie simili che sgorgano da una reale, profonda sofferenza personale e approdano in un inferno vero e proprio.
Quale scienza può dimostrare infatti che esistano persone nate nel corpo sbagliato? Che cosa esiste dunque prima di essere calati in un corpo, inadeguato? Dove consiste la persona, dove esiste, quale mente soprattutto la concepisce uomo e poi la forza in un corpo di donna e viceversa?
Alla radice di tutto, come sempre, sta la visione dell’uomo che preveda o meno la presenza di Dio e che questi Dio sia buono o malevolo.
Il viso di questo ragazzo che vediamo trasformarsi nel corso del video è accompagnato dal brano dei Nirvana Where Did you sleep last night in un remake prevedibilmente femminile. Una rivisitazione ’90 years così citati dalla moda di questi giorni. I jeans che indossa all’inizio sono da uomo e nascondono un paio di slip maschili; dopo decine di compresse e operazioni chirurgiche e depilazioni laser le mutande diventano da donna e si associano ad un quasi inutile reggiseno e i jeans diventano di una taglia che costringe a pensare ad anoressia conclamata.
Anche questo messaggio, ci voleva. In effetti è coerente con il rifiuto radicale della propria corporeità come dono, con una dismorfofobia condivisa e promossa, con un desiderio smodato di controllo di sè fin nelle più profonde radici della propria persona. Destinato per forza di cose alla frustrazione più tragica poiché quando davvero potevamo autodeterminarci non c’eravamo ancora; è il rifiuto imperioso dell’essere creature, del dipendere da altro. Del trovarci dati.
Per questo il finale che dovrebbe esprimere lo spirito “For Successful Living” della Diesel è tragicamente irrisorio: la vocazione alla vita consacrata è l’apoteosi dell’accettazione amorosa dello sguardo di un Altro su di sè. Un Altro che ci ha voluti in un certo modo, maschio o femmina, e che proprio da quella voce sessuata aspetta una risposta libera di consegna di sè.
Per una vera Francesca, che è maschio in ogni cellula del proprio corpo, persino quelle martoriate da interventi e bombardamenti ormonali, ritrovarsi in convento non potrebbe che significare l’ennesimo gioco disperante al “faccio di me ciò che desidero”.
Ma proprio nella Chiesa, quella reale e quasi mai rappresentata onestamente, quella che è inconcepibile per gli esprit di tutti i tempi moderni poiché è fondata e vivificata da Cristo stesso, c’è una sartoria in grado di tagliare sulla nostra misura l’abito più adatto. Quello che di noi conosce misure, difetti di postura, proporzioni, palette di colori adatta.
C’è un sogno di successo che soddisfa gli animi più irrequieti di qualsiasi epoca siano figli: ritrovare la memoria viva del Padre che ci conosce da sempre, che ci ha seguiti dal concepimento per tutta la gravidanza, nella nascita, in ogni inciampo e sbucciatura di ginocchia. Che sa quando mi siedo e quando mi alzo. A cui, davvero, interessa che la mia vita sia un successo inattaccabile ed eterno.
Questo abbiamo il dovere di dire. Sennò l’alternativa è accordarsi al coro di voci che esprimono tanta tanta emozione e sincero compiacimento -come da prescrizione -e li riversano in pezzi che non sono altro che spot a loro volta.
Fonte: Paola BELLETTI | Aleteia.org