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«Con il ddl omofobia vogliono ricostruire l’Uomo nuovo»

La legge Zan? Serve a riscrivere un vecchio progetto totalitario di sinistra: «Fare in modo che tutti aderiscano alla nuova ideologia». Intervista al filosofo Corrado Ocone

Nel tempo delle libertà cannibaliche, dove la maggiore divora la minore, l’accusa di omofobia è la più evocata contro la libertà di pensiero e per sbandierare il tema dell’ingiustizia e della disuguaglianza. Ma di che libertà è fatta, questo puro esercizio di scelta e autonomia della propria identità sciolta da ogni vincolo, che non ammette contraltari? Di libertà uguali e indifferenziate, che varcando ogni soglia si svuotano, spengono e collassano, lasciando l’individuo inerme e in balia di un nuovo totalitarismo parla a tempi.it Corrado Ocone, filosofo, saggista, una delle poche voci libere che si è levata forte contro il ddl Zan.

Premettendo subito che di una legge contro l’omofobia in questo momento storico non c’è alcun bisogno: la crisi morde, la macelleria sociale avanza, le famiglie perdono soldi e lavoro, «il ddl non nasce da un’urgenza, ma dal disegno della sinistra – una sinistra in difficoltà storica sia perché i ceti sociali che rappresentava un tempo ormai votano altrimenti, sia perché le sue classiche ricette sono diventate improponibili – di ricompattarsi su temi identitari. E l’identità oggi non è più un’identità di classe, come era un tempo, ma si esprime attraverso dei surrogati. Un surrogato in prospettiva potrebbe essere l’ideologia ambientalista, concepita nel suo lato più ideologico possibile, ma sicuramente un surrogato più sperimentato è quello che concerne i cosiddetti “temi biopolitici” , che riguardano in sostanza la vita intesa nel suo elemento basico che è quello biologico o, meglio ancora, di genere».

Qual è allora il ragionamento che ha reso “prioritario” il testo che andrà in Aula il 27 luglio?
Il solito, quello del politicamente corretto, “ci sono delle minoranze discriminate che vanno salvaguardate”. Ma si tratta di un bluff: non solo queste minoranze discriminate vengono concepite in maniera astratta, per gruppi, a scapito quindi di ogni ragionamento da persone civili, cioè sui singoli. Ma vengono utilizzate per celare, dietro un’iniziativa che si propone come esteticamente corretta, un progetto ben più radicale: mettere tra parentesi tutta la storia e la tradizione umana per riscrivere il vecchio progetto che era proprio dei regimi comunisti – costruire “l’Uomo nuovo” – in altri termini, su nuove basi. Oggi l’Uomo nuovo deve essere un uomo libero di scegliere la propria identità, compresa quella sessuale, in base al “puro desiderio”. Tutto ciò che vuole, deve essergli possibile, anche decidere la propria identità in autonomia e a prescindere da qualsiasi ordine naturale, indipendentemente da qualsiasi tradizione o convenzione sociale. Si tratta inoltre di una legge ipocrita, afferma di voler combattere discriminazioni – peraltro già efficacemente combattute dalle leggi attuali – in nome di una nuova discriminazione.

Chi sarebbero i nuovi discriminati?
Chiunque non la pensa come gli omosessuali in tema di famiglia e matrimonio, per esempio, deve essere escluso a priori dal dibattito pubblico. Noi filosofi la chiamiamo opera di “disciplinamento”: fare in modo che tutti aderiscano alla nuova ideologia, la quale si presenta ipocritamente sotto le vesti di un’ideologia liberale ma alla prova dei fatti, combattendo le opinioni, è profondamente illiberale.

Perché illiberale? Non si picca di tutelare la libertà e i diritti delle persone «più vulnerabili», come sostiene Alessandro Zan, deputato del Pd incaricato di stendere la sintesi di cinque progetti di legge sull’omofobia?
Perché la prima legge del liberalismo, della civiltà liberale, cristiana, occidentale, è quella che vede ognuno, nella sua singolarità, libero di professare le proprie idee, le proprie convinzioni morali. Le quali devono avere libero corso indipendentemente da qualsiasi altro fattore a meno che non contrastino con le libertà altrui. Qui invece c’è un tentativo subdolo, una sorta di illuminismo radicale ed estremo, dove tutto deve essere deciso in base a una ragione astratta: tutto a prescindere dalla tradizione, dalla storia, da ciò che si è sedimentato nell’esperienza umana attraverso i secoli.

Ma a chi serve allora sfruttare le “minoranze discriminate”, bruciare la storia per costruire una Babele dell’indifferenziato?
Abbiamo detto che attraverso il processo di azzeramento totale di ciò che è stato, si riscrive, attraverso basi che si vorrebbe morali ma che sono profondamente immorali, un nuovo progetto di uomo. Ciò è ancora più radicale delle vecchie ideologie totalitarie soprattutto di sinistra, le quali volevano costruire un uomo “economicamente” eguale agli altri: oggi invece l’uomo nuovo deve essere completamente sciolto da ogni vincolo perché tenda ad isolarsi dalla propria comunità di appartenenza e dalla propria storia. Deve diventare “materiale umano”, “risorsa umana” si dice in linguaggio moderno. Qualcosa di astratto che lo renda facilmente manipolabile non solo dalle centrali ideologiche del potere politico, ma in prospettiva anche da quelle del potere finanziario, commerciale eccetera.

In pratica, sotto aggiornate spoglie, il cosiddetto “pensiero dominante” diventa “unico” e punta a diffondersi democraticamente.
L’identità della sinistra si presenta oggi con surrogati diversi ma sempre con lo stesso intento ideologico e anche con l’idea che le opinioni proprie non siano come le altre bensì superiori a quelle degli altri. Parliamoci chiaro, basta leggere con attenzione il progetto di legge: oggi io posso avere un’opinione “controcorrente” per esempio sulla natura del matrimonio, ma se esprimo questa opinione vengo sic et simpliciter accusato di omofobia e sono passibile di pene di diverso tipo. Non sono più uno che esprime legittimamente un’opinione contraria, ma sono uno che dice qualcosa di immorale perché non corrisponde al pensiero unico, all’ideologia del mondo dominante. Questo tentativo di disciplinamento e riduzione alla propria ideologia e annullamento del dibattito pubblico l’ho visto però in atto anche nel passato e in maniera più subdola, più “nascosta”, per esempio nel caso delle proposte di legge sull’eutanasia o del testamento biologico: il testo in sé permetteva a chiunque di prendere la propria decisione a riguardo, ma se qualcuno esprimeva una decisione contraria alle dat veniva considerato come qualcuno fuori dal tempo, qualcuno che ostacolava la marcia verso il progresso, verso il trionfo assoluto di una ragione che credendosi autosufficiente sostanzialmente tende a coincidere con il nulla.

Come se la ragione portasse a parteggiare pro e contro qualsiasi cosa?
Se io razionalizzo tutto e faccio della ragione qualcosa di astratto e non qualcosa che deriva dalla mia eredità storica alla fine non credo più in nulla perché la ragione ha una forza corrosiva, la ragione può distruggere qualsiasi cosa e, se io posso distruggere qualsiasi cosa, non ho più valori di riferimento. E divento non solo manipolabile, ma perdo il mio baricentro di persona. E sorge il nichilismo: il relativismo prima e il nichilismo poi. Chi ha fatto una battaglia contro la legge sull’aborto o l’eutanasia, quindi non contro una legge “apertamente” o “dichiaratamente” liberticida, ha fatto una battaglia contro un modo di pensare che attraverso le sue estreme conseguenze giunge al decreto Zan. Cioè all’esclusione dal dibattito, all’indifferenza, l’uguaglianza come discriminazione della differenza.

Prima della legge Zan era tollerato il dissenso?
Il problema è proprio nel “tollerato”: l’opinione di chi, in occasione di altre battaglie, è stato “tollerato” nel senso comune del termine, cioè sopportato come un reperto del passato, è diventata un’opinione di serie b. Pregiudizievole, espressione di una posizione minoritaria e interdetta dall’affermarsi a pari titolo con le idee degli altri. Al fondo di tutto questo c’è l’ideologia deleteria del progresso, che coincide con l’idea di avere sempre più diritti, più libertà. Ma i diritti senza i rispettivi doveri, la libertà senza il fondo di necessità da cui nasce e si staglia sono pure illusioni. E finiscono facilmente per volgersi nel proprio contrario.

Non mancano i cortocircuiti: oggi le lesbiche sono accusate dai trans di transfobia, le femministe dai gay di omofobia, i gay di sessismo da lesbiche e femministe: in questa gara tra categorie più meritevoli di protezione e più discriminate, segmentare la società in etichette basate sul genere e creare leggi particolari non radica le differenze invece di promuovere l’uguaglianza?
Io credo che un certo femminismo astratto, così come altri “ismi” astratti, siano non un modo per preservare la libertà e “l’uguaglianza” ma per radicare ancora di più le differenze: le stesse quote rosa non sono una battaglia combattuta a livello di mentalità, quindi a monte, bensì a valle, e questo ghettizza ancora di più “l’entità” discriminata. La dinamica dei cortocircuiti è presente però in tutte le rivoluzioni, non per nulla si dice che la rivoluzione mangia se stessa. Ripercorrendo le vicende sempre istruttive della rivoluzione francese: fu un processo veloce, c’era sempre qualcuno di più puro, più radicale, più morale che ti avrebbe divorato. Questa è la dialettica della rivoluzione, ed è una rivoluzione antropologica quella che oggi si propone: ripeto, creare un Uomo nuovo su basi completamente diverse, cancellando la storia e la sapienza che si è sedimentata nelle tradizioni comuni. Ci sarà sempre anche qui qualcuno di più rivoluzionario che si spingerà oltre: il vero punto di approdo di tutto questo processo relativo al genere è il genere fluido, non più uomo e donna, ma donna e donna, uomo e uomo, e, perché no, donne e donne, uomini e uomini e così via. Ci sarà sempre qualcuno che andrà oltre in nome di una libertà che essendo astratta finirà per erodere tutto. Chi pensa in modo dialettico e non binario sa e si rende conto che la libertà senza il suo contrario semplicemente non esiste. Se tutto è libertà, non avremo più la libertà.

Fonte: Caterina Giojelli | Tempi.it

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