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Testo unico Zan: non ci sono emendamenti “migliorativi”

Chiose a margine degli emendamenti proposti da Forza Italia

Le posizioni delle forze politiche nei confronti del testo unificato Zan in tema di omotransfobia sono – fatti salvi singoli dissensi – di favore quanto a quelle che compongono l’attuale maggioranza, e di netta opposizione da parte di Lega e Fratelli d’Italia.

Forza Italia sembra propendere per una adesione alla legge: una propria esponente alla Camera, l’on. Bartolozzi, ha presentato una proposta contenente l’estensione della legge Mancino alle discriminazioni fondate sul “genere”; al momento dell’adozione in Commissione Giustizia del testo base, il 14 luglio, F.I. non ha partecipato al voto; nonostante la contrarietà al testo espressa da qualche suo anche autorevole parlamentare, gli emendamenti proposti ieri dai componenti di F.I. della Commissione Giustizia della Camera al testo Zan lasciano integro l’aspetto centrale della questione, cioè l’introduzione, attraverso la predetta estensione, sia della fattispecie di reato sia dell’aggravante che abbiano quella motivazione.

Gli emendamenti in questione muovono dall’intenzione, certamente apprezzabile, di contenere la genericità e l’arbitrio del t.u. – con ciò lasciando intravvedere che il rischio di punire la manifestazione del pensiero, derivante dalla loro applicazione, è ben avvertito -, ma l’esame obiettivo di essi lascia perplessi quanto al conseguimento del risultato.

Uno degli emendamenti propone che all’art. 604-bis, comma 1, lett. a) e b), dopo la parola “atti” siano aggiunte le parole “gravi, concreti e attuali”. Se fosse approvato, la norma di cui all’art. 604 bis cod. pen. stabilirebbe che:

“(…) è punito:

a) con la reclusione (…) chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti gravi, concreti e attuali di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere;

b), con la reclusione (…) chi in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti gravi, concreti e attuali di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

L’emendamento non è in alcun modo risolutivo:

  1. perché le espressioni generiche, rispetto alle quali ciascun magistrato può conferire la lettura corrispondente alla propria impostazione ideologica, sono genere, orientamento sessuale e identità di genere. Esse mantengono il loro contenuto indefinito, e anzi nel t.u. Zan lo vedono accresciuto perché, essendovi divergenza sul parametro di riferimento fra gli stessi presentatori delle originarie proposte di legge – nel senso che per taluno doveva essere l’identità di genere, per altri il genere, per altri l’orientamento sessuale -, il relatore ha pensato bene di utilizzarle tutte, aumentando la confusione, e anche il margine di arbitrio applicativo;
  2. perché l’esperienza di altre disposizioni penali o di procedura penale insegna che l’aggiunta di aggettivi e di formulazioni esplicative non cambia la sostanza quando quest’ultima resta intatta. Le norme del codice di procedura penale in materia di misure cautelari restrittive della libertà hanno oggi una lunghezza notevolmente maggiore rispetto a quando fu varato il codice, nel 1989, e sono state riempite di qualificazioni e di espressioni che – nelle intenzioni – avrebbero dovuto indurre a maggiore prudenza nel disporre il carcere prima della condanna. Tuttavia ogni anno lo Stato continua a pagare una quantità spropositata di indennizzi per ingiuste detenzioni, come se nulla fosse cambiato. Perché nulla nella sostanza è mutato. Identico discorso vale in tema di incriminazione della c.d. omofobia.

Un altro emendamento di F.I., del quale viene proposta la collocazione dopo l’aggravante, con l’introduzione di un art. 2 bis a seguire l’art. 2 del t.u., prevede che “ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”. Con il che si rafforza ancora di più il potere del magistrato, poiché gli si demanda di stabilire la linea di confine che, in coerenza col tot capita tot sententiae, è prevedibile immaginare ogni volta diversa, fra “la libera espressione di convincimenti od opinioni” e la “propaganda” antiomofoba: la contrastante giurisprudenza formata in tema di diffamazione a mezzo stampa non rassicura in proposito.

Sorprende non poco che una forza politica che nei decenni ha censurato lo sconfinamento della giurisdizione in ambiti non suoi poi consegni alla magistratura una tale ampiezza di intervento su un diritto basilare quale quello di manifestare liberamente il pensiero.

Fonte: CentroStudiLivatino.it

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