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La sorprendente storia della Grande Bibbia di Chiaravalle

In questo 20 agosto, memoria di san Bernardo di Chiaravalle, Aleteia vi propone di scoprire la Grande Bibbia che egli ha fatto realizzare nell’abbazia di Chiaravalle, retta dal santo fino alla di lui morte (sopraggiunta nel 1153). Digitalizzata dal 2015, questa Bibbia è straordinaria a più di un titolo, perché rappresenta l’esempio più chiaro di uno stile “monocromo” e decorativo unico nel suo genere.

Percorrendo le sottili pagine della Grande Bibbia di Chiaravalle, ornata da siffatti capilettera, come non immaginarsi anche solo per un istante i monaci che dedicano lunghe ore di intere vite alla copia delle Sante Scritture? Come non immergersi nella formidabile avventura che fu quella delle abbazie cistercensi? Quella di Clairvaux, in particolare, fu fondata nel 1115 da Bernard de Fontaines, quello che il mondo avrebbe conosciuto per sempre come Bernardo di Chiaravalle, il quale l’avrebbe retta fino alla morte (1153). Essa è la terza figlia di Cîteaux, uno dei grandi centri monastici della cristianità medievale, da cui dipendevano alla fine del Medioevo 530 altre abbazie in tutta Europa. I monaci di Chiaravalle non abbattono alberi nella foresta e non vanno nei campi per la mietitura: lavorano nell’abbazia, nello scriptorium, non lontano dalla chiesa abbaziale in cui devono recarsi sette volte al giorno per cantare i salmi. Essi vi copiano e ricopiano instancabilmente i libri santi e le grandi opere della letteratura classica, testi greci e latini. Se la tradizione benedettina vuole che la calligrafia sia ricca d’oro, di disegni e di colori, Bernardo di Chiaravalle sarebbe intervenuto per proporre un nuovo stile, chiedendo che i manoscritti traducessero graficamente l’ascesi della condizione monastica.

2.400 pagine in sei volumi

È in questo contesto che fu completato verso il 1160 il libro più bello e più monumentale di Chiaravalle: la Grande Bibbia. Composta di sei volumi e di 2.400 pagine, essa ha richiesto per essere realizzata circa 600 pelli ovine intere (il “folio” ricavato da una pelle veniva piegato soltanto in due, quindi ogni pelle realizzava “soltanto” quattro pagine di manoscritto). La sua originalità però non si ferma alle dimensioni perché, conformemente alle prescrizioni di san Bernardo e in rottura con lo stile miniaturistico romano tradizionale, essa è un puro esempio di “stile monocromo”. Niente oro né rappresentazioni figurative (uomini, animali, mostri…) in queste pagine: sono invece privilegiati i motivi geometrici, vegetali e soprattutto la monocromia. E così le 160 capitali maiuscole che fanno da capilettera di paragrafi sono tutte di un solo colore (ciascuna): rosso, verde o (principalmente) blu. Le lettere decorate costituiscono vere opere d’arte: gli artisti che le hanno realizzate hanno inventato una grande varietà di decorazioni gemoetriche e floreali, in gradazioni molto ricercate e sottilmente applicate.

 

Fonte: Aleteia.org

 

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