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Fare i conti con l’inspiegabile della nostra vita

Ci sono dimensioni della nostra esistenza che non riusciamo a spiegare, ma sono verità che ci rendono ciò che siamo

La verità è che esistono dimensioni della nostra esistenza che non sono spiegabili, che non appartengono all’ordine della ragione logica. Un sillogismo o la conoscenza matematica non ci fanno arrivare a coglierne il senso. E neppure la tecnica e le altre forme della scienza. Ma è altresì sbagliato pensare di poter risolvere l’enigma con la ragione affettiva. Possiamo forse avvicinarci alla sua risoluzione con più profondità, ma non è accidentale che i grandi miti dell’amore siano, nella maggior parte dei casi, miti della ricerca dell’amore, di desiderio di amore, non storie di fusione, di coincidenza perfetta o di una reciprocità priva di spigoli. Anche all’affettività si richiede di apprendere ad abbracciare l’enigma, di non temere quella porzione inalienabile di silenzio e mistero che ogni essere umano irradia fino alla fine. Amare è anche amare quello che non comprendiamo dell’altro. Torna in mente un amico, un teologo, che in proposito sosteneva una posizione impertinente. Diceva: «Quello che i biologi marini, l’industria ittica e i compratori di miti hanno in comune è semplicemente questo: nessuno sa che cosa realmente è un pesce». È una cosa a cui pensiamo poco: il ruolo che questo non-sapere ha nella nostra vita. Se effettivamente noi non sappiamo che cos’è un pesce, dobbiamo tirare le nostre conclusioni e chiederci: quale può essere il mio approccio a un pesce? La risposta è: «Apprendiamo a negoziare». Disponiamoci cioè a imparare, ascoltando, tentando di costruire pazientemente un patto, non vincolati a un sapere teorico, ma in fedeltà all’osservazione diretta della realtà.

Sul pesce, poi, c’è quel racconto ispiratore del poeta portoghese Herberto Helder: «C’era una volta un pittore che aveva un acquario con un pesce rosso. Il pesce viveva tranquillo in compagnia del suo colore rosso, ma un giorno iniziò a diventare nero, una macchia nera sotto il suo colore naturale. La macchia si espandeva, cresceva sempre più impadronendosi di tutto il pesce. Fuori dall’acquario il pittore assisteva sorpreso alla comparsa del nuovo pesce. L’artista aveva un problema, era obbligato a interrompere la pittura del quadro quando arrivava al rosso del pesce, non sapeva che farsene del colore nero che ora questo rivelava… Meditando sulle ragioni del cambiamento, proprio mentre cercava di mantenersi fedele, il pittore ipotizzò che il pesce, attraverso un numero di magia, avesse mostrato l’esistenza di una sola legge che includeva sia il mondo delle cose che quello dell’immaginazione. Era la legge della metamorfosi. Una volta capita questa specie di fedeltà, l’artista dipinse un pesce giallo». La legge della metamorfosi non sarà di certo l’unica legge. C’è un patrimonio di verità e c’è un’ontologia che persistono e diventano la chiave di ciò che siamo. Ma anche la storia del pesce giallo di Herberto Helder propone dimensioni significative della vita. Se ne possono evidenziare brevemente due. La prima è l’importanza di quella che chiamerei ‘spiritualità del provvisorio’. E qui cito Roger Schutz, il fondatore alla comunità ecumenica di Taizé: per lui il provvisorio era accettare di andare di inizio in inizio; accettare il pellegrinare, la disinstallazione permanente; accettare che noi possiamo abitare il passaggio; accettare di impegnarsi appassionatamente con la vita non soltanto quando abbiamo tutto garantito, ma perché accettiamo di camminare nella fiducia. L’altra lezione è la necessità di fare un percorso di riconoscimento. Riconoscere è, in primo luogo, identificare: devo sapere chi è l’altro e chi sono io; devo ascoltare meglio, imparare a vedere in profondità. Ma il riconoscimento è anche la riconoscenza, che mi fa capire che la vita è, in sé, pura economia del dono.

Fonte: José Tolentino de MendonçaAvvenire.it

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