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RIFLESSIONI – Emily Ratajkowski: scoprirò il sesso di mio figlio a 18 anni quando ce lo dirà lui

La bellissima modella ha accompagnato l’annuncio della gravidanza a un messaggio che s’inchina al gender-fluid. Ma a tu per tu col suo pancione, racconta un’altra storia …

I giornali di mezzo mondo non hanno ancora finito di godersi l’exploit di Chiara Ferragni sulla sua seconda gravidanza che già un’altra bellissima icona femminile ha annunciato di aspettare un bambino. Ma sarebbe più giusto scrivere che «ha annunciato di aspettare». Perché lo scoop che da Vogue sta rimbalzando su tantissime altre testate è la dichiarazione che la modella e attrice Emily Ratajkowski ha accompagnato alla notizia della gravidanza:

Noi rispondiamo che non sapremo il sesso di nostro figlio fino a quando avrà 18 anni e sarà lui a dircelo. Tutti ridono, a questo punto. C’è una verità dietro la nostra scelta, ed è l’ipotesi che implica che esistano possibilità molto più complesse di quelle espresse dai genitali con cui nascerà il bambino: la verità è che in ultima anali noi non abbiamo idea di chi – o meglio di cosa – sta crescendo nella mia pancia. (da Skynews)

Una combinazione di bellezza e intelletto, la definiscono. Eppure c’è un eccesso di intellettualismo in questa posa che mostra (come si può passare dal “chi” al “cosa” riferendosi alla creatura che cresce dentro di te?). C’è un eccesso di ardimento nel dimostrarsi al passo con le ideologie imperanti. Ma come sta vivendo – davvero – la maternità Emily?

Ho sognato che i tuoi capelli erano castani

Afferma di non voler sapere il sesso di suo figlio fino ai 18 anni, eppure lo immagina già castano tendente al biondo e sta scegliendo il suo nome.

Nel breve video-film che Vogue ha lanciato, e in cui Emily racconta la sua gravidanza in prima persona, una delle prime frasi che si ascoltano è:

Ho sognato che i tuoi capelli erano castani, prima di arricciarsi e diventare biondi come quelli di tuo padre.

Ha ragione quando dice che un genitore non sa chi è suo figlio. Noi, madri e padri, non sappiamo chi è nostro figlio né quando il  è dentro la pancia e né quando ha 5, 10, 16, 24 anni. Non sappiamo chi è anche se potremmo fare un elenco dettagliatissimo delle sue qualità e dei difetti, del numero di scarpe e della circonferenza cranica, del cibo preferito e dei tic quando parla.

È una questione ontologica, profonda: l‘essenza ultima di un’anima non è in mano a nessuno, ed è una scoperta aperta fino all’ultimo istante di vita. Ma quando arriva un figlio, arriva una sorpresa tutt’altro che nebulosa. La voce di Emily è più intelligente (cioé capace di intus legere – leggere dentro la realtà) quando immagina castano il figlio, piuttosto che quando dichiara con una montagna di astratta ideologia che non saprà il sesso di suo figlio fino a 18 anni.

È evidente che lo saprà, e prima ancora lo vedrà. Suo figlio avrà i capelli di un certo colore, un naso con una certa forma, le dita dei piedi fatte in un certo modo e anche degli organi genitali precisi. Riconoscere un’unicità fisica e biologica è tutt’uno con il diventare genitori e dire: tu ci sei.

Tant’è che la stessa Emily confessa di essere felicemente impegnata a pensare a quale nome dare al nascituro. Sceglierà forse un nome neutro illudendosi di rispettare le future scelte sessuali della sua creatura, ma gli darà un nome. Che è un atto deliberatamente volitivo, molto più del prendere atto che un neonato ha il pene o la vagina.  La presenza di ciascuno di noi è stata riconosciuta, e lo testimonia il fatto che qualcuno ci ha dato un nome … non ce lo siamo dati da soli.

Perché sì, per essere libero di scoprire chi sei – e ci vuole una vita intera! – devi appoggiarti sul mattone di un’evidenza inestirpabile: sei stato generato da qualcuno che ti ha riconosciuto.

Blurred lines (confusione)

Al grande pubblico Emily Ratajkowski è diventata celebre grazie al video Blurred lines di Robin Thicke e Pharrell. Sono in effetti un po’ blurred – confuse – le linee di pensiero di questa modella che si dichiara paladina del femminismo e in quel video è stata evidemente usata come oggetto sessuale. Recitava il ruolo della bambola sexy e seminuda, tra uomini completamente vestiti e molto espliciti nei loro intenti.

EMILY RATAJKOWKSI

Robin Thicke | Youtube

E lei non si nasconde dietro nessun paravento, prende atto dell’evidente contrasto e spiega che il femminismo:

 […] riguarda l’abilità di scegliere qualunque tipo di donna si voglia essere, di vivere la vita che vuoi, di vestirti come vuoi, che sia burka o bikini. (da ABCnews)

Tagliando la testa al toro, questo è raccontarsela. Non regge la scusa puramente intellettualoide del “non sono schiava del maschilismo, anzi lo combatto, se faccio soldi scegliendo liberamente di mostrarmi una bambola sexy”.

La confusione – che non è solo di Emily – è questo eccesso di autogiustificazioni travestite da pseudoetica che annebbia il buonsenso e soprattutto un sano senso di realtà. Se sono contraria alla caccia non mi metto a salvare le lepri con una campagna fondi basata sulla vendita di sugo di lepre. (Mi scuso per la metafora banale, ma il banale sarebbe una gran conquista a chi vende purissimo fumo intellettualoide in ogni piazza mediatica).

Il fumo si dissolve, la realtà resta. Ed è qui che comincia la parte più autentica della gravidanza di Emily.

Piena di stupore

Tutti siamo bravi a raccontarcela, mica solo gli influencer. Ma è come stringere una spugna, l’acqua esce. La nuda e pura realtà di chi siamo esce, mentre noi ci spremiamo le meningi per raccontare altro.

Sono andata a vedere come Emily Ratajkowski racconta la sua maternità su Instagram e ho trovato due post bellissimi. L’ultimo postato è questo:

Sono stata resa così umile (dalla gravidanza – Ndr) da non avere più nessuna falsa idea di controllo. Sono completamente e innegabilmente disarmata di fronte a qualsiasi cosa riguardi la mia gravidanza: come cambierà il mio corpo, chi sarà mio figlio. E sorprendentemente non mi sento preoccupata. Anziché avere paura, sento un senso di pace. Sto già imparando dalla persona che cresce nel mio grembo. Sono piena di stupore.

Si sente che qui c’è una madre. C’è la vera forza, quella che accetta la resa e l’attesa. C’è la meraviglia di accogliere un ignoto che si fa presenza. Si sente benissimo che non sono parole ragionate ed elucubrate, ma frutto di un’esperienza vissuta sulla pelle. Ed è proprio questa voce quella che, spero di cuore, Emily ascolti e a cui si aggrappi. In un post precedente, si poneva addirittura solo domande:

Chi sarà questa persona? Di chi saremo genitori? Come cambierà la nostra vita e chi siamo?

Questa apertura spalanca un orizzonte di senso e conoscenza positivi – proprio nel senso di qualcosa che è dato. Solo una presenza viva è capace di generare queste domande, e alla presenza viva bisogna inchinarsi non chiuderla nella gabbia dell’abbaglio del «ti lascio così libero che neppure prendo atto del tuo sesso». Fai proprio bene, cara Emily, a imparare da chi c’è nella tua pancia e già che ci sei cancella tutte le blurred lines fondate su un pensiero disincarnato.

Portavoce di Planned Parenthood 

C’è un’ultima riflessione che mi preme non tacere, proprio perché testimonia la confusione tipica del tempo in cui viviamo. Che si aggrappa a tante idee, ma non ha una visione umana chiara. Mi stona parecchio, dopo le parole appena citate, sapere che Emily Ratajkowski sia portavoce di Planned Parenthood. Ad esempio, ha posato nuda per protestare contro la legge dell’Alabama sul divieto di aborto. Ha scritto in merito:

Questa settimana, 25 vecchi bianchi hanno votato per vietare l’aborto in Alabama anche in caso di incesto e stupro. Questi uomini al potere stanno imponendo la loro volontà sui corpi delle donne per sostenere il patriarcato e per perpetuare il complesso carcerario industriale, togliendo alle donne di bassa estrazione economica il diritto di scegliere di non riprodursi. Gli stati che stanno cercando di vietare l’aborto sono quelli con maggiore percentuale di donne nere residenti. Questa è una questione di classe economica e razza ed è un attacco diretto ai diritti fondamentali delle donne statunitensi, che sono protette dal Roe contro Wade. Nostro corpo, nostra scelta. (da Instagram)

So bene che al pensiero dominante non stona che una donna si commuova per la creatura che ha in grembo e poi difenda il diritto di altre donne di abortire. Ma questo non è essere di ampie vedute, questo è mancare di una coscienza unitaria. Blurred lines, ancora. Mi limito a formulare qualche domanda ad alta voce.

Cara Emily, come può stare insieme la logica del “mio corpo, mia scelta” con la meraviglia e l’umiltà di fronte al grembo che hai provato? La meraviglia non s’innesca subito? Arriva zuccherosamente dopo che hai deciso che vuoi tenerlo? Il bambino da cui dici che stai già imparando tanto merita di essere ascoltato solo nel momento in cui tu gli hai concesso diritto di parola? O la sua voce, che vuoi così libera al punto da non attribuirgli sesso, non avrebbe il diritto di essere libera di essere fin dal principio?

Fonte: Annalisa TEGGI |  Aleteia.org

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