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A proposito della libertà di espressione: laicità ma anche fraternità!

Se la libertà è un diritto, la fraternità è un dovere.

Ognuno di noi ha tra i suoi ricordi quelli di professori che hanno lasciato in loro un segno particolare nel corso degli anni di scuola, tanto sapevano unire pertinenza di insegnamento e atteggiamento positivo nei confronti dei loro studenti. Secondo tutti coloro che lo hanno avuto come “prof”, Samuel Paty era uno di quelli. Ed è grande lo sgomento, in tutto il paese, per questo assassinio abbietto, totalmente disumano. Vorrei innanzitutto condividere il dolore di tutti coloro che lo hanno conosciuto, familiari, studenti, colleghi, amici…

Questo tragico episodio fa sì che sui media riparta il dibattito sulla libertà di espressione. E, in memoria di Samuel Paty, tutti gli studenti delle nostre scuole sono invitati a riflettere su questo tema. Ma dietro l’unità di facciata di tutti coloro che, giustamente, difendono la libertà di espressione che costituisce un diritto fondamentale nella nostra Repubblica, si nasconde, credo, una grande diversità di concezioni.

Che cosa si deve intendere con “libertà di espressione”? Comincerei col dire che ciò che non è. Non consiste, come certi tendono a pensare, nel poter dire tutto, scrivere tutto, disegnare tutto. È proibito, ad esempio, in nome di questa libertà, disegnare delle svastiche sulle tombe di un cimitero.
E educare i nostri figli alla libertà di espressione non deve lasciar pensare che è loro permesso insultare i loro genitori e i loro insegnanti. Sono tenuti al rispetto.

Infatti, la nostra Repubblica, nel suo motto scritto su tutte le facciate dei nostri municipi, associa la nozione di libertà a quella di fraternità. E, se la libertà è un diritto, la fraternità è un dovere. Vivere da fratelli non rientra tra i diritti, ma tra i doveri. La libertà di espressione deve quindi essere unita, a mio avviso, al dovere di fraternità, che impone il rispetto di ciascuno nelle sue convinzioni, che sia credente o non credente. Si tratta quindi di educare alla libertà di espressione nel quadro del rispetto reciproco. Dobbiamo sempre imparare a coniugare libertà di espressione e dovere di fraternità.

“Che si dia ampia libertà ai giovani di saltare, di correre, di gridare gioiosamente!”, amava ripetere don Bosco ai suoi educatori, in un’epoca in cui la repressione dei giovani definiti delinquenti portava molto spesso al loro arresto. Ma, nei suoi istituti che amava definire case, tale educazione alla libertà era unita sempre all’apprendimento del rispetto.
Arrivo dunque al famoso “diritto alla caricatura”, di cui si parla tanto oggi. La caricatura è un’arte, e, per quanto mi riguarda, considero artisti i caricaturisti. Pensiamo all’esposizione attuale a Parigi delle opere di Cabu. Per il caricaturista, si tratta di far ridere, aiutando il lettore a prendere una certa distanza dai suoi pregiudizi e ad aprire alla riflessione personale. Ma lo scopo è far ridere, e non di offendere. Per quanto mi riguarda, mi sono sentito talvolta profondamente ferito da certe caricature di Cristo dal carattere eminentemente volgare. Allora, capisco bene la ferita che sentono alcuni miei amici musulmani quando si fa una caricatura volgare del loro profeta. L’opera del caricaturista deve essere abitata dal rispetto delle persone a cui ci si rivolge.

Non si tratta allora, come sento dire da qualche parte, di voler ridurre la laicità al diritto di pubblicare qualsiasi tipo di caricatura, ma di ricordare che la laicità è il mezzo che lo Stato si dà per essere il garante della fraternità tra tutti i cittadini francesi, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose o atee. Questa è, a mio avviso, la concezione repubblicana della laicità: una laicità della concordia sociale.
Ma è comparsa, all’inizio del XX secolo, in un’epoca in cui la Chiesa cattolica esercitava un vero potere sulle menti, – riconosciamo che non è più così oggi -, una seconda concezione della laicità che, per quanto mi riguarda, definirei laicismo, che tenderebbe in qualche modo ad eliminare il fatto religioso. Allora, per le istituzioni della Repubblica, non si tratta più di essere garanti della possibilità che ognuno esprima le sue convinzioni di fede, ma di proibire all’interno di dette istituzioni, qualsiasi forma di appartenenza ad una corrente religiosa. La laicità così intesa diventa una sorta di ideologia antireligiosa, ben lontana dalla concezione della legge del 1905. Diventa quindi una laicità non di concordia, ma di lotta.

Allora, se nella nostra repubblica laica, vogliamo esigere da tutti i musulmani che rispettino coloro che non condividono le loro convinzioni religiose – ed è del resto ciò che riguarda la maggioranza al loro interno – dobbiamo anche noi rispettare le loro convinzioni, anche se non sono le nostre.
Lo scopo della laicità è la concordia e non la divisione, la fraternità e non la frattura. Promuovere la laicità, prevenire la violenza, vuol dire educare al rispetto.

Fonte:  Jean-Marie Petitclerc – laCroix | BlogFrancescoMacri

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