Ecco allora, tra quelle emerse con maggior evidenza, alcune indicazioni di lavoro che fin da oggi vanno custodite, analizzate, sperimentate e proposte alla considerazione degli operatori della scuola e dei decisori politici per realizzare, ora e in prospettiva, ambienti formativi autenticamente innovativi.
L’emergenza, intesa anche nel senso di “emersione” di ciò che era già presente e che proprio grazie alla pandemia è divenuto più chiaro, ha messo in luce innanzitutto, allora come ora, che l’opera del fare scuola richiede primariamente l’impegno di costruire relazioni, necessarie a generare il contesto in cui si realizza la vita di una comunità educativa. Si può dire che in questi mesi è apparso evidente che la scuola, prima che un sistema organizzato e un ambito di metodologie per l’apprendimento, è una realtà di vita: fare scuola rappresenta una forma particolare di “amicizia”, di bene, a livello di singolo istituto, di territorio, di ambiti.
Si è inevitabilmente avviato un tempo nuovo nel quale attuare e sostenere modelli di scuole che si concepiscono come “comunità di destino”, come “comunità di apprendimento” e come “comunità di comunità”, capaci di orientare continuamente le proprie azioni al fine formativo, promuovendo processi condivisi. È insomma iniziato il tempo di una restituzione, a quel campo aperto che è la scuola, del suo scopo irrinunciabile: la trasmissione non solo di saperi, capacità, competenze, ma di una cultura come percorso di conoscenza e di vita.
Una seconda indicazione è che l’emergenza ha imposto una formazione obbligatoria e accelerata di tutti gli operatori – presidi, docenti e amministrativi – in particolare nel campo digitale, suggerita non da programmazioni centralizzate, ma dall’urgenza di creare spazi di comunicazione e di lavoro indispensabili a sostenere l’azione educativa e didattica a distanza. Un primato della prassi sulle concettualizzazioni che ha obbligato le scuole a uscire dallo sterile dibattito tecnologie sì/tecnologie no e a rimettere al centro la necessità di ampliare la gamma di soluzioni didattiche finalizzate all’apprendimento efficace. Per tutti è stato inevitabile avviare un percorso di riflessione sull’esperienza di insegnamento, affinando ragioni, finalità, contenuti: in una parola, avviando processi culturali innovativi.
Un terzo spunto è che in questi mesi ha ripreso forza il tema dell’impostazione personalizzata dei percorsi formativi. La necessità di scoprire come i ragazzi imparano, l’attenzione alla varietà di tempi e opportunità di apprendimento che li caratterizza e la scoperta del ruolo fondamentale delle relazioni tra pari nei gruppi di lavoro, hanno generato negli adulti impegnati a scuola, un lavoro puntuale per offrire stimoli a ciascun alunno, accompagnarlo con premura ad apprendere, aiutarlo a collocarsi in modo originale e autentico nel cammino della propria classe. Questa maggior conoscenza di approcci didattici personalizzati, acquisita tramite l’esperienza, potrà d’ora in poi offrire alla didattica integrata e mista prospettive e spazi di sperimentazione oltre l’emergenza, mobilitando varie modalità di insegnamento/apprendimento.
Anche la valutazione, riscoperta nel suo fondamentale valore formativo, potrà rientrare proprio tra le pratiche di personalizzazione, senza più l’esclusiva ossessione di “posare” semplicemente voti sul registro. Similmente gli esami conclusivi dei cicli di scuola, riformulati lo scorso anno scolastico in periodo di emergenza, potranno essere ridefiniti non solo in chiave di verifica delle competenze acquisite, ma, soprattutto, in chiave formativa e personalizzata, come d’altronde già previsto dal Dlgs 62/2017.
Sono, quelli sopra evidenziati, aspetti di indubbia novità che, se supportati da aggiornamento e semplificazione della normativa scolastica non più procrastinabili, costituiscono elementi fondativi di rinnovate esperienze di autonomia delle istituzioni scolastiche e leve strategiche per il rilancio di un sistema scolastico all’altezza delle nuove sfide.
Fonte: Ezio Delfino | IlSussidiario.net