Questa inchiesta sul traffico di embrioni crioconservati, realizzata dalla giornalista francese Louise Audibert, è stata pubblicata inizialmente su ‘La Croix Hebdo’. Il reportage, compiuto in diversi Paesi, racconta per la prima volta un aspetto emergente e inquietante della maternità surrogata. Prodotti in laboratori di Paesi asiatici, gli embrioni vengono acquistati da coppie che hanno deciso di ricorrere all’utero in affitto per avere un figlio oppure ‘restituiti’ alle coppie straniere ‘proprietarie’, e a quel punto sono consegnati a corrieri che li portano nelle cliniche dei Paesi, europei o extraeuropei, in cui ciò è consentito dalla legge, dove vengono impiantati negli uteri di altre pagate per la gravidanza. Una volta venuti al mondo, i neonati sono affidati alla coppia che ha ordinato e pagato per il ‘servizio completo’. Un mercato fiorente per un business globale nel quale è facile aggirare le norme in vigore nei vari Paesi. Per completare questa inchiesta, Louise Audibert ha ottenuto una borsa della Fondazione Jean-Luc Lagardère che sostiene progetti culturali e di comunicazione realizzati da giovani professionisti.
In un periodo in cui la maternità surrogata (detta anche Gpa, ovvero ‘gravidanza per altri’) si sviluppa in tutto il mondo a prezzi sempre più competitivi, alcuni riescono a distinguersi dalla concorrenza facendo viaggiare una merce preziosa: parliamo dei corrieri di embrioni crioconservati. Abituato a percorrere lunghe tratte, un giovane basso e dai capelli castani si toglie la camicia per indossare una maglietta a maniche corte. Con un’aria stanca, il giovane si sistema per cominciare la nottata. E noi cominciamo la conversazione. Dall’alto dei suoi vent’anni circa, il ragazzo, che noi chiameremo Jake, inizia a sproloquiare. Ma va bene così, visto che il tempo non ci manca. Con in mano un bicchiere di whiskey e coca, spiega il motivo della sua presenza a bordo del volo Air India AI142. «Lavoro per una società londinese che mi manda a recuperare embrioni crioconservati un po’ ovunque nel mondo, e poi li trasporto verso altri Paesi». A qualche centinaio di metri di altezza, in tutta semplicità, Jake mi annuncia che si appresta a trasportare futuri esseri umani, che hanno da 0 ad appena pochi giorni, in un volgare zaino in cabina. Ma questo fatto non sembra disturbarlo più di tanto…
dov’è permessa la surrogata commerciale: Usa, Benin, Russia, Ucraina, Georgia, Kazakhistan, Albania, Armenia, Bielorussia e Israele
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quelli nei quali è legale ma solo senza compensi (ufficiali): tra essi, India, Regno Unito, Brasile, Canada, Danimarca, Grecia e Portogallo
Dopo aver bevuto qualche bicchiere in più, prosegue il suo racconto, non senza un pizzico di vanteria: «Per molto tempo i Paesi asiatici hanno permesso agli stranieri di trovare madri surrogate a prezzi più contenuti, ma da qualche anno le cose sono cambiate, a causa di alcuni episodi che hanno fatto scandalo». Mi tornano alla mente alcune immagini. Quelle di donne indiane imprigionate nei dormitori per tutta la durata della gravidanza. O ancora quella di una madre surrogata thailandese che ha denunciato la coppia australiana per aver abbandonato uno dei suoi gemelli affetto dalla sindrome di Down (trisomia 21). Lui prosegue: «Di conseguenza, dal 2015, le coppie occidentali che avevano avviato le pratiche di fecondazione in vitro in Thailandia, India o Nepal, perché costa meno oppure perché vivono lì, devono trovare una madre surrogata in un altro Paese».
E adesso dove vanno? «Dipende dalle missioni, ma questa volta vado a prendere degli embrioni in India e in Nepal e poi li devo consegnare in un Paese dell’Europa dell’Est». E quanto costa questo servizio? «La spedizione costa circa 2.000 euro». Nel momento in cui il nostro A380 penetra nell’alone giallo che circonda la capitale indiana, Jake si confida un’ultima volta: «Quello che mi piace di più è vedere fino a che punto rendiamo felici i genitori. L’ultima volta, in Thailandia, una signora mi ha chiamato il suo angelo piangendo di gioia». Un angelo che, a quanto pare, è riuscito a far fruttare i suoi servizi… Sparisce dietro l’angolo di un corridoio dell’aeroporto internazionale di Nuova Dehli. Ho appena scoperto un nuovo business planetario. Il trasporto di embrioni crioconservati.
il compenso per una madre surrogata negli Usa, ma il costo per la coppia è attorno ai 100mila, cifra che sale a seconda dei servizi
70mila
il costo in euro di un contratto di maternità surrogata in Ucraina per il listino della Biotexcom, l’azienda leader. Alla madre vanno dai 20 ai 30mila
30mila
dollari: il costo per avere un figlio da utero in affitto in India Da 5 a 8mila dollari vanno alla donna che accetta di fare da madre surrogata
Un’attività discreta, se non addirittura di nicchia. Gli uomini come Jake si contano sulle dita di una mano e si spartiscono il mercato mondiale. Una decina, se crediamo alle pagine Internet del famoso motore di ricerca. La maggior parte nei Paesi anglosassoni come l’Inghilterra. Ma oggi il servizio tende a svilupparsi soprattutto a Cipro e nei Paesi Bassi e le pagine Internet che prima erano disponibili solo in inglese ormai sono tradotte in molte lingue, compreso il francese. E la stessa cosa vale anche per i trasporti. «Mi capita di consegnare gli embrioni di ricchi clienti asiatici negli Stati Uniti» mi spiega un corriere californiano che riesco a contattare. «Poiché ne hanno i mezzi, vogliono assicurarsi di ottenere le prestazioni migliori». Se nella maggior parte dei casi i viaggi si svolgono da ovest verso est, talvolta accade anche il contrario. Jake mi aveva avvertita, deve passare per Katmandu, capitale arroccata a 1.350 metri di altitudine tra i giganti cinesi e indiani. I giorni passano ma il britannico non dà segni di vita. Dopo diversi tentativi di raggiungerlo, finalmente risponde al telefono. «Non posso più parlare con te, il mio capo non vuole». Tento di rassicurarlo. Dall’altro capo del filo, Jake, gelido, spiega il suo punto di vista. «In realtà, devi sapere che non posso più risponderti perché noi a volte agiamo nell’illegalità». Dopo un momento di esitazione aggiunge: «È proibito far uscire gli embrioni crioconservati dall’India, ma noi lo facciamo lo stesso». Riattacca frettolosamente. Devo quindi proseguire l’inchiesta senza di lui.
La clinica in Nepal «Qui comincia la vita»
Per iniziare, comincio a elencare le cliniche nepalesi dedicate all’infertilità. Una di queste si trova al 5° piano di un edificio situato ai margini della ring road, una tangenziale dove, in mezzo alla polvere, i veicoli fanno lo slalom tra pedoni e vacche. Sul pianerottolo, la foto di un bambino occidentale sopra cui c’è scritto «Qui comincia la vita» accoglie i visitatori. All’interno, la pulizia e la modernità delle strutture contrastano con la realtà del Paese. Le sale comuni nei colori pastello sono decorate con foto di bambini. Una giovane donna mi accoglie calorosamente e mi fa entrare nello studio dei medici. Due dottoresse mi invitano a sedermi di fronte a loro.
«L’India proibisce l’esportazione, ma noi lo facciamo lo stesso». La clinica: «È sempre possibile arrangiarsi» «L’agenzia di maternità surrogata era disonesta: facevano pagare i genitori solo per incontrarci» – .
Le mie interlocutrici mi ricordano velocemente la legislazione in vigore in Nepal: «Sa, dal 2015 gli stranieri non hanno più diritto di avvalersi dei servizi di una nepalese per la maternità surrogata». Mi fingo stupita. «Ormai inviamo gli embrioni in altri Paesi, come la Georgia, la Repubblica Ceca, l’Ucraina o la Russia. Torni alla fine del mese, potrà discuterne con la persona che se ne occupa, lei è in contatto con dei corrieri che passano per l’India prima di partire verso Ovest». Prima visita, prima offerta di consegnare embrioni. «Devo andare a recuperare degli embrioni a Bombay», mi aveva confidato Jake nel corso della nostra chiacchierata. Ormai so che almeno una clinica aggira la legislazione indiana che proibisce il trasporto di embrioni.
Dopo Katmandu, preparo un elenco delle strutture sanitarie della capitale finanziaria indiana. Una dopo l’altra, le segretarie mi informano di non potermi aiutare. Per ore, depenno via via i nomi delle cliniche. E cerco di non perdere la speranza. Poi un giorno, finalmente arriva una risposta: «Inviare degli embrioni in Ucraina? Venga a trovarci, vedremo cosa possiamo fare per lei».
Ma per il trasporto serve un corriere. Provvedo a cercarne uno e gli chiedo un consiglio. La risposta non si fa attendere: «Grazie di averci contattato. Noi lavoriamo spesso con questa clinica e posso garantirle che con noi il suo carico prezioso viaggerà in tutta sicurezza… ».
Un business di nicchia affidato a pochi corrieri fidati: la «merce» crioconservata esce dalle cliniche del Sud del mondo, che non accettano più clienti stranieri
Abbiamo stabilito un contatto con un certo Harry. È necessario quindi andare a Bombay, per visitare la clinica indiana. Qualche giorno dopo atterro a Mumbai. Sul ponte ‘Worli Sea Link’ vedo lo skyline che si estende a perdita d’occhio e osservo la folla che cerca di rinfrescarsi un po’ con gli spruzzi delle onde. Dopo diverse ore imbottigliata nel traffico, riesco finalmente a raggiungere Colaba, quartiere turistico dove ho prenotato l’hotel a pochi passi dallo studio del dottor M.
L’indomani mattina mi dirigo verso la clinica. All’entrata dell’ascensore, l’addetto preme istintivamente il pulsante del piano giusto. «Quando gli stranieri vengono qui, generalmente è per la clinica, ho pensato che valesse anche per lei» borbotta lui in hindi. Una segretaria che indossa un’improbabile divisa mi porge la scheda informativa da compilare prima di poter entrare fino alla sala visite. Dall’altra parte del suo ufficio, il dottor M. ci fissa guardando sotto gli occhiali. Gli spiego la mia idea di spedire degli embrioni in Ucraina. «Sì, certamente possiamo spedirli laggiù». Con gesti quasi meccanici, il medico prescrive analisi, esami e consegna Dvd e opuscolo a fumetti con informazioni sulla fecondazione in vitro. Ma perché le altre cliniche dichiarano che la legge proibisce il trasporto degli embrioni? «Sicuramente è perché hanno letto male il testo, è possibile fare queste spedizioni con un permesso speciale. È sempre possibile arrangiarsi ». Risposta sorprendente. Non ne parlerà più.
«Non ho voluto tenere la piccola»
Mi tornano in mente altre affermazioni di Jake: «Dopo aver prelevato gli embrioni, vado a Kiev dove saranno impiantati nell’utero di madri surrogate ucraine». Direzione Europa dell’Est per incontrare una di loro. L’auto si lancia a tutta velocità su un’autostrada costeggiata da fabbriche in disuso e vecchi edifici in costruzione abbandonati. Attorno a noi, auto che sembrano uscite dall’epoca sovietica convivono fianco a fianco con Mercedes 4×4 e Audi all’ultima moda. Dopo un’ora di strada, correndo lungo blocchi di appartamenti, arriviamo nel suo quartiere, non lontano dall’aeroporto di Kiev. Il mio autista, piuttosto brillo, borbotta in ucraino, mi abbandona e riparte sgommando verso il centro città. Mi ritrovo in una piazza verdeggiante dove alcune piccole botteghe fanno il pieno di clienti in questo fine giornata. Con il Gps in mano mi avventuro tra gli edifici, supero un portico e arrivo in un quartiere residenziale dove si susseguono delle villette modeste. Lei mi aspetta davanti a un portone rosso.
Katarina, bionda dal fisico asciutto, spinge la porta della sua casa in ristrutturazione. All’interno una bambina mi rivolge uno sguardo dubbioso. «Entri pure, starà meglio al caldo». In salotto i bambini si fanno il solletico sotto delle coperte mentre mi osservano. «Non vedono spesso degli stranieri, non sanno che sono stata una madre surrogata. Al terzo mese mi sono trasferita a vivere al Cairo con i genitori di intenzione e sono tornata dopo il parto».
Tira fuori tre piatti dal frigorifero, li mette nel microonde poi aspetta appoggiata al piano di lavoro. «Per sei mesi non ho visto la mia famiglia, è stata davvero dura, piangevo molto. Non mi piaceva stare in Egitto, era sporco, inquinato e faceva molto caldo». Il campanello del forno la interrompe. Mark, il primogenito di 8 anni, mangia velocemente e sparisce in camera sua. «Ho subìto un cesareo con l’epidurale. Ho visto e sentito piangere la piccola… Non ho voluto tenerla, sapevo che se l’avessi presa in braccio mi sarei affezionata e non avrei più voluto darla via». Nel pronunciare queste parole, le si arrossano gli occhi. Katarina distoglie lo sguardo. «Penso ancora spesso a lei, ma più come a un bambino a cui sono affezionata».
In questo Paese dell’Est, affittare il ventre è una pratica autorizzata che permette di guadagnare tra i 20 e i 30.000 euro. Katarina l’ha scoperto guardando un servizio alla televisione. «Mi sono subito detta che se avessi potuto aiutare delle coppie avrei dovuto farlo… All’inizio non è stato il denaro che mi ha motivata, anche se tra l’altro l’ho fatto per poter comperare dei giocattoli nuovi e offrire una vita migliore ai miei bambini. Perché sarò anche ingegnere, ma guadagno appena 300 dollari al mese». Di fronte a una madre di intenzione, il suo discorso è ben rodato. «Un anno e mezzo fa mi sono iscritta a un’agenzia di maternità surrogata e all’inizio ho lavorato con una prima clinica, ma erano disonesti. Facevano pagare i genitori anche solo per incontrarci ». Katarina decide allora di rivolgersi a un’altra struttura, di cui mi dà l’indirizzo. Mi rendo conto che mi era stata raccomandata da Harry, il secondo corriere.
Il disagio è palpabile. «Come saprà, in Francia è molto difficile, per non dire quasi impossibile, far riconoscere un bambino nato da una madre surrogata e dargli la sua nazionalità» spiegano fin dalla reception. Le discussioni francesi riguardo alla Gpa hanno quindi superato i nostri confini nazionali. Dopo un rapido colloquio con un ginecologo, mi indirizzano verso un servizio ‘specializzato’. Là due donne mi salutano senza alzare gli occhi dagli schermi. Mi sistemo vicino a una gabbia dove una cocorita canta a squarciagola. Approfittando di un momento di tregua, spiego la ragione della mia visita: «Prima di avviare le procedure, vorrei sapere se è possibile far trasferire degli embrioni crioconservati dall’India ». Le donne si scambiano uno sguardo sorpreso. «Non abbiamo mai fatto questo tipo di cose in provenienza dall’India, quindi non sappiamo in quale misura sia possibile. Ma abbiamo sentito dire che un corriere si è già fatto sequestrare la merce e gli embrioni sono andati persi. Bisogna fare attenzione a chi ci si rivolge».
36.000 euro a madre surrogata
La più minuta delle due, capelli corti color mogano, solleva la cornetta. Qualche minuto dopo si gira verso di me. «Mi hanno appena detto che abbiamo già lavorato con una società di spedizioni britannica». «Per far viaggiare gli embrioni dovrà parlare con loro, poi noi ci metteremo in contatto con una madre surrogata». «Mi capita di trasportare il materiale crioconservato anche negli Stati Uniti, per conto di ricchi clienti asiatici che vogliono garantirsi le prestazioni migliori» Oggi il trasbordo si sviluppa verso Cipro, Russia Kenya, dove le madri surrogate ‘costano’ meno Jake: «Lavoro per una società londinese che mi manda un po’ ovunque nel mondo. Dal 2015 le coppie occidentali che avevano avviato la fecondazione assistita nel Sud-est asiatico, perché più economica, sono interdette da quei Paesi e devono trovare una madre surrogata altrove. Così mi spediscono a prendere le loro provette…» Katarina è una donna che ha già affittato il suo ventre: «Sono ingegnere ma guadagno 300 dollari al mese. Mi hanno mandata al Cairo a partorire, per sei mesi non ho visto la mia famiglia. Quando è nata la piccola, non l’ho presa in braccio» Le impiegate di una clinica specializzata a Kiev: «Abbiamo sentito dire che un corriere si è fatto sequestrare lo zaino e gli embrioni sono andati persi, bisogna fare attenzione a chi ci si rivolge. Noi lavoriamo con una società di spedizioni britannica, poi ci mettiamo in contatto con la madre surrogata»
Mi porge un listino prezzi. «Costa in tutto 36.000 euro. Diamo accesso alla cartella clinica della madre che porterà il bambino e che dovrà attenersi a delle istruzioni rigide. Ad esempio, non avere rapporti sessuali per tutta la durata della gravidanza», aggiunge l’altra donna che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
«Tra le cliniche ucraine, oltre a questa, la migliore è senza dubbio quella di Lviv» mi aveva garantito Harry, il secondo corriere. Stazione di Kiev, 7 del mattino, salto su un treno per raggiungere questa città culturale, centro storico della Galizia vicino alla frontiera polacca. Al quarto piano della clinica, Katia, una donna bassa pettinata con una coda di cavallo, mi guida attraverso il labirinto dei corridoi e mi abbandona in una grande sala riunioni. Una donna bionda prende velocemente il suo posto. Con molta minuzia mi spiega i dettagli dell’offerta e tutti i documenti da presentare. «Non le nascondo che questo genere di richieste si scontra con notevoli difficoltà. Non sarà facile far arrivare gli embrioni fino a qui, anche se esistono alcune soluzioni. Per non parlare poi di ottenere la nazionalità francese, che sarà praticamente impossibile».
«Per gli embrioni disponiamo di un servizio di consegna – racconta con soddisfazione –. Mi aspetti qui, vado a chiamare il mio collega, lui le spiegherà meglio di me». È la prima visita in cui mi viene proposta direttamente questa opzione. Dallo spiraglio della porta appare un uomo. «Da sette anni trasportiamo decine di embrioni in tutto il mondo, a seconda della dimensione dei crioconservatori, e non abbiamo mai avuto problemi». Davvero non ci sono rischi attraversando i metal detector degli aeroporti? L’uomo dall’aspetto curato mi mostra una brochure con la legislazione del trasporto aereo e mi spiega: «Con una dichiarazione della clinica abbiamo diritto a trasportare materiale organico senza che debba passare ai raggi X e neppure essere aperto». Lasciando la sala riunioni, incrocio nuovamente Katia sulle scale e le chiedo: «Vorrei incontrare dei genitori che hanno fatto ricorso a una madre surrogata dopo la consegna degli embrioni. Pensa che sia possibile?». «Sì, nessun problema, ne conosco alcuni che accetterebbero di parlarle, darò loro il suo indirizzo email, la contatteranno».
Qualche giorno dopo ricevo un messaggio da Caroline e Karl. Trentenni, vivono nel sud dell’Irlanda e sono diventati da poco genitori della piccola Anna. Dopo aver preso appuntamento, faccio rotta verso l’Irlanda. Incontro la famigliola nel ristorante di un hotel dove l’azienda di Carolina organizza un congresso. Dopo aver fatto le presentazioni, ci sediamo a tavola vicino a grandi vetrate in mezzo a una cinquantina di ospiti, con il badge di riconoscimento appeso al collo. Caroline deve urlare per farsi sentire in mezzo al frastuono. Mi butto: «Perché avete inviato i vostri embrioni in Ucraina?» Come se Carolina avesse previsto la mia domanda, attacca a parlare: «Qualche anno fa mi è stato diagnosticato un cancro all’intestino… Allora mi hanno proposto di far congelare i nostri embrioni, spiegandomi che, a causa delle radiazioni, non avrei mai potuto portare in grembo un figlio».
Harry, un amico che vi vuole bene
Il balbettio della piccola Anna interrompe gli slanci di Carolina. Cullando la bambina con una mano, riprende: «Ci eravamo appena sposati, quindi abbiamo deciso di fare tutto il possibile. Abbiamo cominciato a cercare delle soluzioni: prima in India, poi in Inghilterra, ma dopo averne discusso con un ginecologo di Dublino alla fine abbiamo optato per l’Ucraina, chiedendo l’aiuto di Harry. Sapevamo che avremmo potuto trasportare gli embrioni anche personalmente, ma abbiamo preferito lasciar fare a lui per non correre rischi». Jake, Harry e gli altri corrieri garantiscono il trasporto in cabina grazie agli accordi sottoscritti con l’Associazione internazionale del trasporto aereo (Iata).
Quindi non mi resta che incontrare Harry, il famoso corriere. L’uomo è visibilmente reticente. «Sa com’è, lavoro molto, non posso garantirle di avere del tempo a disposizione per lei, oggi», scrive per email. Alla fine, si convince. «Eventualmente potrei essere disponibile all’inizio della serata, le faccio sapere». Ci incontriamo alle 19 nel quartiere di Southwark. Da lì camminiamo a piedi fino a una piccola piazza circondata da edifici moderni. «È raro che dei genitori si mettano in contatto con me – dice lui –. È semplice, si fanno in media 20 turni alla settimana, devo incontrare meno di 4 clienti all’anno. In genere sono momenti complicati perché molto carichi di emozioni. Ad esempio, ci siamo inimicati una madre iraniana senza motivo». Harry mi invita a seguirlo in un ristorante libanese. Sistemandosi nella bettola gestita da uno chef corpulento dal sorriso affabile, il corriere tira fuori una mazzetta di banconote. Un po’ prepotente ma pur sempre cordiale, ordina sei pietanze e propone di dividerle. I piatti si susseguono uno dopo l’altro.
L’uomo si perde nelle sue digressioni. In qualche modo riesco a riportare la conversazione sul tema iniziale. Come è arrivato fin qui? «All’inizio, ho studiato inglese, poi mi sono orientato verso l’economia e infine verso la biologia. In seguito, ho fondato la mia azienda perché sentivo che c’era un bisogno reale. D’altronde, a questo proposito – spiega tra un boccone e l’altro – è complicato far uscire degli embrioni dall’India. Possono servire diversi mesi per ottenere il certificato speciale (un certificato di nulla osta). Anche se, per la verità… alla figlia di un ministro sono bastati appena dieci giorni». Nonostante una legislazione sempre più severa in India, effettivamente esistono dei sistemi per aggirarla. «Non è un vero e proprio divieto – commenta il terzo corriere contattato in California –. È piuttosto una regolamentazione più severa per evitare gli abusi». «Io sono sempre riuscito a sfuggire ai controlli solo grazie alla mia rete – riconosce Harry –. Nel corso degli anni, ho imparato a conoscere il personale di terra e una parte di quello di bordo di molte compagnie aeree. Ecco perché penso che i genitori che desiderano trasportare da soli i loro embrioni non dovrebbero farlo. Serve una conoscenza delle leggi in vigore nei Paesi o negli aeroporti, e se si conoscono gli addetti ai controlli è comunque più facile».
Harry poggia la forchetta, si pulisce la bocca, fa una pausa e inspira profondamente. «Noi siamo specializzati nella consegna di materiale organico da 20 anni. Ogni anno percorro diverse migliaia di chilometri e lavoro con una quindicina di collaboratori in Inghilterra e all’estero. In poche parole, siamo dei veri professionisti». Harry sa vendersi bene. Uscendo dal ristorante londinese, come per non perdere un’occasione di parlare, Harry aggiunge: «Per quanto ci riguarda, a parte la Georgia e l’Ucraina, deve sapere che ormai noi trasportiamo gli embrioni verso il Kenya. Questo nuovo mercato sta sostituendo a poco a poco quello asiatico». Fino a quel momento assorta nei miei ricordi, ora mi ricompongo e faccio attenzione alle sue parole. «Effettivamente, ci sono sempre più destinazioni in cui è possibile la Gpa – spiega lui –. In particolare, ci sono la Grecia e Cipro in Europa». Su questo non si sbaglia. Avrei ritrovato uno di quei corrieri di embrioni che propone i suoi servizi a viso scoperto, per puro caso, in settembre, ad appena qualche centinaio di metri… dalla Torre Eiffel.
Nei corridoi della fiera «Désir d’enfant» (Desiderio di bambino, Ndt), che si è svolta a Parigi in settembre, gli espositori con indosso la mascherina aspettano, chiacchierano a voce bassa. Tra gli stand sulla donazione di ovociti, cliniche specializzate in Pma (Procreazione medicalmente assistita) e Gpa nell’Europa dell’Est, o altre soluzioni per ottimizzare il tasso di fecondità, uno attira la mia attenzione. È quello di un’azienda di consegna di materiale umano crioconservato. Appoggiato a un tavolo alto, un uomo i cui occhi tradiscono un grande sorriso, comincia a parlarmi. Rapidamente mi spiega le basi della sua attività. «Da dieci anni, ci occupiamo in particolare del trasporto di embrioni crioconservati in tutto il mondo, per farli arrivare alle madri surrogate». Sopra le nostre teste, nel cortile dello spazio espositivo, a pochi mesi dall’approvazione della legge sulla bioetica, alcuni militanti anti-Gpa travestiti da Marianna, battono i piedi sul selciato scandendo le parole «No alla Pma, no alla Gpa!». Tuttavia, sarebbe possibile far viaggiare degli embrioni dalla Francia? «Le consiglio di non specificare nella sua cartella che servono per una Gpa – precisa il rappresentante dell’azienda –. È un argomento ancora un po’ spinoso in Francia, sarebbe un peccato se i suoi embrioni venissero bloccati ancor prima di cominciare il loro viaggio». Embrioni viaggiatori clandestini… fino in Francia. Il business ha davanti a sé un futuro promettente.
Fonte: Louise Audiberti | Avvenire.it
(Traduzione a cura di Sara Morselli)