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Guido e Carla Ucelli, essere “giusti tra le nazioni” è carità per l’altro

Milano, 14 marzo 2019. Vengono inseriti nel Giardino dei Giusti al Monte Stella Guido e Carla Ucelli di Nemi con la seguente motivazione: “Imprenditori milanesi, celarono numerosi ebrei organizzandone l’espatrio in Svizzera. Per tali coraggiosi gesti furono imprigionati dalle SS nel carcere di San Vittore dove subirono violentissimi interrogatori e successivamente incarcerati in luoghi differenti. Tornati liberi ripresero le loro attività non rinunciando ad opporsi alla violenza ed all’arbitrio nazisti”.

Ma chi sono questi coniugi che già nel 1955 avevano ricevuto un attestato di riconoscenza dalla comunità ebraica d’Italia? La loro vicenda è ampiamente ricostruita nel volume Guido Ucelli di Nemi. Industriale, umanista, innovatore (Hoepli, 2011) attraverso interventi di diversi studiosi.

Nato a Piacenza nel 1885, figlio del direttore dell’azienda daziaria piacentina, Guido Ucelli studia presso il liceo cittadino per poi iscriversi al Politecnico di Milano.

Nel 1909, subito dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica, si impiega presso lo stabilimento Riva, specializzato nella produzione di turbine idrauliche. Ucelli ascende rapidamente nei ranghi aziendali, nel 1915 entra nel consiglio di amministrazione e diventa vicedirettore generale, assumendo la responsabilità della gestione industriale e delle strategie di sviluppo dell’impresa, ai vertici della quale sarebbe rimasto ininterrottamente fino alla fine degli anni Cinquanta.

Rapidamente l’azienda, grazie alla fusione con la bolognese Calzoni e ai miglioramenti tecnici via via introdotti da Ucelli, perviene a significative affermazioni sui mercati internazionali, oltre che su quello italiano.

Ma nell’azienda non c’è solo l’ingegnere. C’è anche la moglie Carla, nata Tosi, famiglia di noti industriali di Legnano. Si sono conosciuti durante le vacanze estive nel 1912 a Gressoney. Carla ha visto il padre morire per mano di un suo operaio che intendeva così mettere in atto un estremo gesto di protesta. Sicuramente questo fatto tragico l’ha segnata, motivandola ad instaurare con i dipendenti della Riva rapporti improntati alla comprensione e all’aiuto nelle loro necessità. Per questo si reca quotidianamente nella pausa pranzo in fabbrica, svolgendovi di fatto il ruolo di assistente sociale. Alla Riva viene adottata un’articolata politica sociale a favore delle maestranze: dalla mutua interna alle colonie estive e a borse di studio per i figli dei dipendenti, alla biblioteca. A tutti i collaboratori dopo venticinque anni di appartenenza alla società – vissuta come una grande famiglia – viene data una medaglia d’oro di benemerenza; l’alto numero di medaglie assegnate, insieme alle provvidenze interne e al buon trattamento retributivo, possono spiegare la scarsa adesione degli operai della Riva a rivendicazioni e lotte sindacali.

In casa Ucelli c’è spazio per interessi diversi: vi si riuniscono regolarmente numerosi intellettuali e artisti e vi si tengono i “concerti del lunedì”, dato che Guido è un appassionato pianista e organista; egli inoltre coltiva come hobby il cinema e la fotografia.

Ma il nome di Guido Ucelli è legato soprattutto a due grandi imprese: il recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi (impresa per la quale ricevette appunto il titolo nobiliare e la dizione “di Nemi”) e la fondazione del primo Museo della Scienza italiano.

La presenza di navi romane sul fondale del lago di Nemi, a sud di Roma, era nota da secoli; di dimensioni notevoli, le aveva volute nel piccolo lago l’imperatore Caligola con finalità rappresentative e di svago. Era già stata avanzata l’idea di un loro possibile recupero, ma le difficoltà di ordine tecnico ed economico apparivano insormontabili, fino a che nel 1928 interviene Ucelli, che, in accordo col governo di allora, fornisce le competenze archeologiche ed ingegneristiche e concede gratuitamente le idrovore necessarie per lo svuotamento del lago. Grazie anche al ripristino dell’antico emissario, le due navi riemergono: sono cimeli unici di importanza enorme sia dal punto di vista storico-culturale quanto da quello tecnico; si decide pertanto la costruzione di un museo dove vengono collocati. Purtroppo nel 1944 un grande incendio – forse appiccato dalle truppe tedesche, comunque doloso – distrugge le navi e gran parte della struttura che le conteneva.

Il resoconto dei lavori, dei problemi e dei risultati di un’avventura senza precedenti nella storia dell’archeologia si trova in uno dei tanti scritti di Guido Ucelli, Le navi ritrovate, ripubblicato da Lampi di Stampa di Milano nel 2011.

A Guido la prima idea di un museo industriale nazionale era venuta quando era ancora studente, nel 1906, anno in cui Milano aveva vissuto il fascino e i fasti della prima esposizione universale. Da industriale lungimirante e innovatore, avvertirà la mancanza nel paese di una cultura tecnico-scientifica, imprescindibile per innescare un progresso economico e sociale; per questo si impegnerà anche nella promozione dell’istruzione professionale, punto di incontro tra studenti e mondo del lavoro. L’istituzione di un museo avrebbe dovuto contribuire alla diffusione dell’interesse e dell’amore per la scienza, in particolare tra i giovani.

Nel 1930 Ucelli viene incaricato dal podestà di Milano, Marcello Visconti di Modrone, a presiedere una commissione per studiare la realizzazione di tale progetto che richiederà tempi lunghi. Le difficoltà riguardano in primo luogo il reperimento di una sede sufficientemente ampia e dei fondi necessari, inoltre sono oggetto di discussione l’impostazione da dare al museo e perfino la sua denominazione. Ma Ucelli non si arrende e finalmente nel 1953, nel grandioso complesso dell’ex convento degli Olivetani di via San Vittore appositamente restaurato, viene inaugurato il primo nucleo del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”.

Infine, è da ricordare l’impegno dei coniugi Ucelli nel corso del secondo conflitto mondiale.

Dopo l’8 settembre – anche per il timore di requisizioni di materiali e di deportazioni di operai in Germania – la fabbrica Riva Calzoni accetta di approntare per il Comando Germanico delle forniture belliche, che però vengono sistematicamente boicottate, a volte non portate a termine, a volte consegnate difettate.

Intanto Carla Ucelli e le due figlie Bona e Pia prestano soccorso presso il Policlinico come volontarie ai feriti dei numerosi bombardamenti. Sotto casa viene allestito un rifugio antiaereo molto profondo; nel giardino una pompa prende l’acqua dal vicino fiume Olona permettendo di spegnere vari principi di incendio, tra l’altro uno scoppiato nella vicina scuola primaria Bazzi.

Casa Ucelli accoglie vari amici e conoscenti bisognosi di un nascondiglio o di un tetto dopo la distruzione della propria abitazione: oltre che a Milano in via Cappuccio, nella casa di vacanza a Paraggi, sulla Riviera ligure.

È proprio in seguito all’organizzazione della fuga in Svizzera di una coppia di amici ebrei, Bianca e Gino Minerbi, che i coniugi Ucelli vivono momenti drammatici rischiando la loro stessa vita; tradotti nel carcere di San Vittore il 14 luglio 1944 scoprono che motivo del loro arresto è la deposizione rilasciata da Gino Minerbi, il quale tra l’altro non è mai arrivato in Svizzera essendo stato catturato e poi giustiziato con la moglie a Como.

Guido verrà liberato il 3 agosto, mentre Carla, sospettata di avere rapporti articolati con un’organizzazione di espatri, rimane in carcere e sarà trasferita, con il triangolo rosso dei prigionieri politici sul giubbotto, a Bolzano, poi a Merano, tappe intermedie verso l’internamento in Germania, per essere rilasciata infine il 24 settembre. È impossibile descrivere il peso tremendo di quelle settimane di prigionia, aggravato dalla violenza dei carcerieri tedeschi, dalle notizie di fucilazioni e deportazioni, dalla preoccupazione per la sorte l’uno dell’altra. Ovviamente proibiti i contatti, a San Vittore i due riescono a comunicare e qualche volta perfino a vedersi grazie a bigliettini e alla generosa complicità di alcuni custodi o delle suore del carcere: tra queste c’è la superiora, Enrichetta Alfieri, che sarà arrestata a sua volta dai tedeschi per la sua opera di aiuto attivo ai prigionieri.

Il contegno di entrambi i coniugi pur nella dura circostanza della prigionia è di una dignità esemplare, raccontano i testimoni. Guido, assegnato a diverse incombenze, trova pure il modo di dedicarsi a letture varie, tra cui la vita di Sant’Agostino. Carla, nonostante i problemi di salute, l’isolamento, il senso di colpa per aver procurato alla sua famiglia una così grande prova, è un modello di forza d’animo per le compagne di detenzione a cui dà conforto e incoraggiamento.

Finita la prigionia e terminata la guerra, gli Ucelli tornano alle occupazioni di sempre, vissute con serietà e discrezione, senza alcun tipo di protagonismo.

Moreno Gentili nel libro Milano 1944, un amore (Skira 2012) racconta in forma drammatizzata queste vicende, avvalendosi di testimonianze e documenti conservati in tutti questi anni dai congiunti e soprattutto dei ricordi della figlia Pia Majno Ucelli.

Il titolo vuole evidenziare la profondità del legame che unì la coppia per tutta la vita, nei momenti felici e in quelli drammatici come questo, quando diventò motivo di sostegno reciproco e forza di resistenza. È particolarmente significativo che per la targa ricordo posta all’ingresso del Museo della Scienza sia stato scelto il ritratto dei due coniugi insieme, così come per la copertina del volume della Hoepli.

Guido Ucelli muore nel 1964. Ciò che permane è la esemplarità di questa singolare figura, protagonista del momento storico in cui la creatività e l’ingegnosità degli italiani stavano preparando il miracolo economico. Egli incarna pienamente la “vocazione degli imprenditori orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti”, come dice Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti (cap. 3, 123).

Fonte:Silvana Rapposelli | Il Sussidiario.it

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