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L’Alta Corte inglese contro la clinica dei bambini-cavie transgender

L’Alta Corte inglese accoglie il ricorso contro la Tavistock & Portman di Keira Bell, iniziata alla transizione di genere a soli 16 anni

La notizia non è che a 33 anni l’attrice Ellen Page ha deciso di essere trans e di farsi chiamare Elliot, la notizia che lascerà il segno è che ha vinto Keira Bell, di anni 23, nessun film all’attivo ma le cicatrici di un copione che l’ha trasformata in cavia della tanto decantata transizione di genere sì. Con una sentenza storica l’Alta Corte inglese ha infatti accolto di ricorso di Bell e ed altri ex pazienti pentiti contro la Tavistock & Portman, la controversa clinica del National Health Service che si occupa di “curare” i minori che soffrono di disforia di genere e da cui si sono licenziati 18 medici in tre anni. Perché? Ragioni “di coscienza”: questo trattamento sperimentale viene effettuato «non solo sui bambini, bensì su bambini molto vulnerabili, che hanno avuto problemi di salute mentale, abusi, traumi familiari», raccontavano i medici al Times, autore della clamorosa inchiesta («È in corso un esperimento di massa sui bambini, i più vulnerabili») sull’abuso di terapie bloccanti la pubertà da parte del Gender Identity Development Service della Fondazione Tavistock & Portman.

BLOCCANTI SOLO CON L’OK DEL TRIBUNALE

Proprio facendo appello alla protezione dei bambini vulnerabili Bell ha accolto con gioia la sentenza dei giudici Victoria Sharp, Clive Lewis e Nathalie Lieven che invitano i medici a richiedere l’autorizzazione del tribunale prima di iniziare questi trattamenti clinici «innovativi e sperimentali» sui minori: per i giudici, chiamati a stabilire se un minorenne è in grado di dare un consenso informato all’uso di farmaci ormonali potenti che porteranno cambiamenti tutt’altro che reversibili, «è altamente improbabile che un bambino di età pari o inferiore a 13 anni sia competente a dare il consenso alla somministrazione di bloccanti della pubertà», «c’è da dubitare che a 14 o 15 anni possa comprendere e valutare i rischi e le conseguenze a lungo termine della somministrazione di questi farmaci» e se sopra i 16 anni «si presume che abbiano la capacità di acconsentire alle cure mediche» l’autorizzazione del tribunale sarebbe sempre auspicabile. «Vorrei che fosse arrivata prima che io mi imbarcassi nell’esperimento devastante dei bloccanti della pubertà. La mia vita sarebbe diversa oggi» ha dichiarato Bell commentando la sentenza, «per favore leggetela attentamente. Denuncia una cultura compiacente e pericolosa all’interno del centro nazionale che si occupa di curare i bambini e giovani affetti da disforia di genere».

«MI HANNO FATTO CREDERE DI AVERE UN CORPO “SBAGLIATO”»

Keira Bell ci è passata: dopo una fulminea diagnosi di disforia di genere ha ricevuto trattamenti bloccanti la pubertà fin dall’età di 16 anni, quando ha iniziato a identificarsi in un maschio, poi una doppia mastectomia all’età di 20 e iniezioni di testosterone senza sapere bene a cosa andasse incontro, «un percorso tortuoso e inutile, permanente e che cambia la vita. Non credo che bambini e giovani possano acconsentire all’uso di farmaci ormonali potenti e sperimentali come ho fatto io», un percorso iniziato dopo solo tre appuntamenti di un’ora alla Tavistock. Dal 2011 infatti la clinica consente l’utilizzo di bloccanti e ormoni (che fanno sì che il corpo non si sviluppi naturalmente e imiti le caratteristiche del genere opposto) anche in caso di bambini sotto gli 11 anni, trattamenti che la clinica ha sempre presentato come “reversibili”, sostenendo che sarebbe bastato sospenderli perché riprendesse lo sviluppo del corpo.

Non è così, non lo è stato per Bell che, pentita, dopo aver sospeso i trattamenti ormonali per un anno si è ritrovata ancora i peli sul viso («ormoni e chirurgia non funzionano per tutti» e «certamente non dovrebbero essere offerti a persone di età inferiore ai 18 anni quando sono vulnerabili a livello emotivo e mentale») e nemmeno per gli esperti che hanno portato la Tavistock al centro di un’intensa attività di ispezione e monitoraggio da parte del ministero della Sanità. Per Bell era troppo tardi: poco informata, fragile, indotta a credere di essere intrappolata in un corpo non suo («non c’era nulla di sbagliato nel mio corpo, ma me lo hanno fatto credere», ha detto spiegando di avere realizzato oggi di essere semplicemente lesbica) ha scoperto di aver preso una decisione irreversibile. Come era possibile, a soli 16 anni?

OLTRE DUEMILA BAMBINI, QUALCUNO DI 3, 10, 11 ANNI

Nell’anno 2009-2010 risultavano avviati alla Tavistock un totale di 72 giovanissimi – 32 ragazze e 40 ragazzi. Nel 2018-2019 sono stati 2.590 – 1.740 ragazze e 624 ragazzi. Di questo numero di pazienti, aumentato in modo spropositato, erano solo in 30 ad aver compiuto 18 anni: 1.814 giovani aveva meno di 16 anni, 171 avevano meno di 10 anni. Il più giovane, denunciava l’inchiesta del Times, ne aveva solo tre. Tre anni: è stato questo a trattenere al lavoro fino all’ultimo uno dei medici che aveva parlato al quotidiano, «sono rimasto lì per proteggere i bambini da eventuali danni». Secondo gli specialisti che facevano parte dello staff deputato a decidere se arrestare lo sviluppo sessuale di pazienti come Bell o anche piccolissimi, negli ultimi tre anni bambini e adolescenti sono stati avviati al percorso di transizione prima che agli esperti fosse dato il tempo di valutare le cause della loro “confusione” di genere. Spesso storie personali complesse o una possibile omosessualità sono state del tutto ignorate nella fretta di accettare e celebrare la nuova identità transgender del paziente a causa delle pressioni delle lobby di attivisti e dalle ansie dei genitori. Tra il 2019 e il 2020 i casi di disforia di genere trattati risultano 161, tre di questi erano bambini di 10 e 11 anni.

Ad aprile, Liz Truss, ministro delle donne e delle pari opportunità del Regno Unito, aveva annunciato interventi legislativi per impedire a coloro che soffrono di disforia di genere di sottoporsi a terapie irreversibili prima che raggiungano i 18 anni. Non discuteva la libertà di un adulto di fare quello che vuole con il proprio corpo ma quella dei giovani sì, «è molto importante che durante la fase di sviluppo e crescita delle capacità decisionali siano protetti dal prendere decisioni irreversibili per il proprio futuro». Immancabile la petizione della comunità Lgbtq contro il ministro che impedirebbe «l’accesso all’assistenza sanitaria ai giovani transgender», che vuole «i bambini morti», e le accuse da parte della charity transgender Mermaids aTruss di sostenere «l’introduzione di una nuova forma di disuguaglianza nella pratica medica britannica» («Mermaids dice sempre che è una questione di vita o di morte – spiegavano i dottori intervistati dal Times dopo aver valutato migliaia di giovani i cui genitori chiedevano sistematicamente di indirizzare i loro figli ai trattamenti ormonali su consiglio degli attivisti – «”Preferiresti un ragazzo vivo o una ragazza morta”: la loro narrazione è ovunque»).

LA SIGNORA A. E IL CONSENSO DI SUA FIGLIA AUTISTICA

Ora l’Alta Corte introduce a tutela del vulnerabili il passaggio dal tribunale. Chiamati a esprimersi anche sul caso della figlia della “Signora A.” che si è unita alla causa di Bell per confutare la validità del consenso informato accordato alla ragazzina 15enne e autistica quando ha deciso di cambiare sesso, la Corte si è detta inoltre «sorpresa», scrive Marina Terragni nel suo editoriale su Avvenire, «per non aver potuto disporre, come richiesto, del numero esatto di casi di minori con disturbi dello spettro autistico o altri problemi mentali trattati come disforici: secondo fonti di stampa (‘Mail of Sunday’) sarebbero poco meno di 400, scandalo etico e deontologico all’origine delle dimissioni di alcuni medici dalla Tavistock, tra cui il veterano della clinica Marcus Evans».

Evans, si era dimesso dalla clinica ritenendo che i medici offrissero «soluzioni rapide» ad ogni problema con la riassegnazione di genere, opinioni condivise da un gruppo di genitori convinti che la clinica spingesse i giovani «decisioni che cambiano la vita senza valutare appieno la loro storia personale». Dopo la sentenza, l’NHS ha aggiornato le sue linee guida ponendo l’obbligo di passare per un tribunale per la somministrazione dei bloccanti. Per Bell oggi si è riportata una grande vittoria ma «questa battaglia non si è ancora conclusa. Voglio appellarmi ai medici e ai professionisti perché creino dei servizi di salute mentale migliori per aiutare coloro che soffrono di disforia di genere a riconciliarsi con il proprio sesso. E ancor di più mi appello alla società perché accetti coloro che non aderiscono agli stereotipi di genere e non li spingano in una vita di farmaci e occultamento di quello che sono veramente. Questo vuol dire fermare l’omofobia, la misoginia, il bullismo verso coloro che sono diversi».

Fonte: Caterina GIOJELLI | Tempi.it

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