L’ultima campagna di Pro Vita & Famiglia contro la pillola abortiva Ru486 ha incontrato l’appoggio di diversi esponenti del mondo della medicina, come il professor Massimo Gandolfini, che ha sottolineato la veridicità di un messaggio come quello dei manifesti che accosta la pillola ad un vero e proprio veleno.
Professor Gandolfini, cosa ne pensano della campagna?
«Innanzitutto voglio dire che è una campagna finalmente di verità, con i vostri manifesti si è colta la possibilità di dire alle persone che li leggono, qual è la verità delle cose: la verità è che la Ru486, questo steroide, il mifepristone, è una sostanza altamente tossica per il bambino perché ne provoca la morte e per la mamma perché inficiata di diversi effetti collaterali. Fermo restando che siamo assolutamente contrari all’aborto in generale e a quello chimico in particolare, detto questo, è chiaro che una sostanza che si rivela altamente tossica anche per la mamma, almeno nei confronti del rispetto e della tutela della donna, dovrebbe essere somministrata in ambito ospedaliero, durante il quale se compaiono degli effetti collaterali si possa intervenire. E’ una gravissima mancanza di tutela nei confronti delle donne, consentire che la possano utilizzare a casa, dove nessuno può intervenire, trovandosi nella solitudine più totale, quindi rischiando di ritrovarsi addosso effetti collaterali spiacevolissimi per la propria salute e come la letteratura dimostra, anche per la propria vita».
Nell’immagine utilizzata per le affissioni abbiamo voluto rappresentare la pillola abortiva come una sorta di mela avvelenata. Cosa ne pensa dell’accostamento Ru486-Veleno, possiamo definirlo un pesticida umano?
«Questa definizione di pesticida umano io la uso moltissimo ma bisogna dare onore a chi lo merita. E’ la terminologia che usò Jerome Le Jeune quando si parlò dell’aborto attraverso le sostanze chimiche. E’ davvero un pesticida umano e il fatto di averlo efficacemente paragonato alla mela avvelenata, ha questo significato direi simbolico. Così come la mela vedendola è un bellissimo frutto, piacevole e quindi uno desidera consumarlo. In realtà quello è un frutto avvelenato. Avvelenato primo perché uccide il bambino, secondo perché fa male anche alla mamma, per cui oltre alla vittima scontata, purtroppo, che è il bambino l’altra vita non solo potenziale ma concretamente attuale, è rappresentata dalla mamma».
Ci sono dei pericoli legati all’assunzione della pillola del giorno dopo, per lo più in questo caso vissuti in completa solitudine, dalla donna. Vogliamo parlare anche delle ripercussioni psicologiche legate a tutto questo?
«Ormai è internazionalmente riconosciuto che quando una donna subisce un aborto, si struttura una sindrome psichica che viene chiamata sindrome post abortiva: disturbi di natura psicologica, prevalentemente psico-emotiva che possono addirittura arrivare a disturbi psichiatrici del tipo psicosi, a seguito dell’evento abortivo. Nel caso della Ru486, il tutto è ulteriormente appesantito da due elementi: primo l’elemento della totale solitudine in cui la donna vive l’aborto. Quindi aumenta ancora di più il senso di colpa, aumenta ancora di più la sensazione di essere totalmente sola per decidere di un evento che è comunque un evento drammatico e in secondo luogo aumenta perché non c’è nessuno che in quel momento la possa soccorrere. Ecco perché la Ru486, non fa altro che aggravare anziché facilitare, i sintomi legati all’evento abortivo».
C’è un tentativo subdolo, di presentare la pillola abortiva come una sorta di “male minore” rispetto all’aborto chirurgico, è davvero così?
«Questa è una bugia scientifica. Dire questo è dichiarare una menzogna scientifica perché l’aborto chirurgico viene effettuato innanzitutto in ambiente sanitario. Il che vuole dire che la donna ha intorno a sé medici e personale sanitario che ne controllano l’evoluzione e la salute, mentre con la Ru486, a maggior ragione se viene somministrata al consultorio e la donna se ne torna a casa, tutta questa assistenza non c’è. Per quanto riguarda il rischio degli effetti collaterali spiacevoli e pesanti per la donna, rispetto all’aborto chirurgico, la proporzione è di 10 a 1. Cioè ci sono 10 possibilità maggiori rispetto a uno nei confronti dell’aborto chirurgico. Voglio sottolineare anche il lato pratico di tutta la questione: se il bambino, il feto, l’embrione viene parzialmente trattenuto, si hanno degli effetti collaterali sulla salute della donna che sono pericolosissimi. Il che vuol dire che nel giro di poche ore dovrà prendere un farmaco (prostaglandine) che facilita l’espulsione del bambino e poi deve controllare che il bambino sia stato effettivamente espulso. Chiedo scusa se qualcuno si sentirà urtato, ma ciò vuole dire che la donna dovrà controllare che l’eliminazione della sostanza che esce dal proprio canale del parto, deve, in mezzo a muco e sangue, comprenda il bambino eliminato. Non è di sicuro una bella esperienza ma è anzi emotivamente devastante per la donna».
Fonte: Massimo GANDOLFINI | Provitafamiglia.it