Gli eventi scioccanti delle ultime 24 ore dimostrano che Trump intende utilizzare il resto della permanenza in carica per minare la transizione pacifica e legale del potere al suo successore eletto, Joe Biden». Così, ieri pomeriggio (ora italiana), Mark Zuckerberg ha annunciato la sospensione a tempo indeterminato, e almeno fino al 20 gennaio, dei profili del presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump su Facebook e Instagram. «Crediamo che il pubblico abbia diritto al più ampio accesso possibile ai discorsi politici, anche se controversi. Ma adesso i rischi sono troppo grandi» ha spiegato Zuckerberg, che in passato ha sempre sostenuto di non voler diventare «arbitro della verità». In un primo momento, il numero uno di Facebook aveva optato per una sospensione del profilo di Trump per 24 ore.
Una decisione analoga era stata presa da Twitter, che ha fermato Trump per 12 ore per aver violato le norme per l’integrità civica. Poi il presidente uscente ha ricominciato a twittare, condividendo il discorso di questa notte. Quindi: per la prima volta, spenti o parzialmente spenti i microfoni – anzi, i megafoni – che raggiungono più di 88 milioni di persone su Twitter e 35 milioni su Facebook, più quelle che si imbattono nelle condivisioni altrui. Durante l’attacco al Congresso, infatti, Twitter era intervenuto chiudendo i commenti e le condivisioni del video con cui Trump chiedeva ai suoi sostenitori di tornare a casa, ma ribadiva di ritenere il voto fraudolento. Lo stesso filmato è stato poi rimosso da Facebook, Youtube e Twitter stesso.
Trump è stato bloccato anche da Snapchat, Twitch e dalla piattaforma di e-commerce Shopify, sulla quale erano in vendita cappellini con la scritta «Make America Great Again» e altri articoli. Perché proprio (o solo) adesso? Prima di tutto perché è finita, e a decretarlo sono stati risultati delle urne nazionali e della Georgia: Trump non verrà più trattato come un leader che non può essere escluso dal dibattito pubblico. E poi perché quanto accaduto a Washington valica il confine fra il discorso online e gli effetti di quanto discusso e pianificato in Rete . Lo aveva spiegato il vicepresidente degli affari globali di Facebook Nick Clegg, in settembre, dicendosi pronto a misure eccezionali nel caso di disordini civili.
I disordini si sono verificati dopo mesi di tensione con Trump, che in maggio ha firmato un ordine esecutivo per ridurre le protezioni legali dei social, affrontati dalle piattaforme con misure più blande di quelle di ieri – l’etichettatura dei post, il blocco delle condivisioni o la chiusura di gruppi di destra – che hanno spostato parte degli estremisti su social come Parler o Gab. Per alcuni, come il senatore democratico della Virginia Mark Warner, gli ultimi sviluppi «arrivano troppo tardi e non sono abbastanza». Per il whistleblower Edward Snowden «nel bene e nel male (la decisione di Facebook di zittire Trump, ndr ) sarà ricordata come una svolta nella battaglia per il controllo del discorso online».