La giovane cattolica di 12 anni ha chiesto ai giudici di tornare dal musulmano che l’ha seviziata. «Ha subìto il lavaggio del cervello»
RAPITA, TORTURATA, STUPRATA E CONVERTITA
Farah è stata rapita dal 45enne Khizar Hayat il 25 giugno a Faisalabad. Dopo aver passato mesi a tergiversare, negando al padre la possibilità di denunciare il principale sospettato per il rapimento, la polizia si decise finalmente a effettuare il 5 dicembre un controllo a sorpresa nella casa di Hayat. Farah fu trovata in una stanza incatenata per le caviglie. La giovane dichiarò che veniva trattata come una schiava ed era costretta a lavorare tutto il giorno, sempre legata a una catena, pulendo gli escrementi delle bestie in una stalla.
Hayat, incriminato, si è difeso affermando che Farah si era volontariamente convertita all’islam e che aveva accettato di sposarlo. Nonostante ogni rapporto con una giovane inferiore ai 16 anni sia considerato stupro da parte della legge pakistana, spesso la polizia e i giudici, davanti alla notizia della conversione di una giovane e a un certificato di nozze islamico, perdonano i rapitori.
«LE HANNO FATTO IL LAVAGGIO DEL CERVELLO»
Da quando è stata liberata, Farah non è stata restituita al padre, Asif Masih, ma affidata a un centro governativo deputato ad accogliere giovani come lei in attesa del verdetto dei giudici. Il 23 gennaio, la ragazzina ha dichiarato ai magistrati che si era volontariamente convertita all’islam e che voleva tornare dal marito, per questo la polizia ha lasciato cadere le accuse verso il rapitore e ora il destino della giovane è incerto.
L’avvocato Atif Jamil Paggan, che al processo il ministero per i Diritti umani e le minoranze della provincia del Punjab, ha dichiarato a Morning Star News di non essere sorpreso dalle parole di Farah. Durante una visita nel centro di accoglienza, infatti, Paggan l’ha trovata intenta a recitare preghiere islamiche.
«Le ho chiesto perché stesse utilizzando un rosario islamico e lei mi ha risposto che glielo avevano dato i responsabili del centro, i quali le stavano anche insegnando delle preghiere islamiche. Le ho chiesto allora se era stata lei a domandare loro di imparare le preghiere e lei mi ha detto che l’avevano obbligata. Quando ho chiesto ai funzionari che cosa stavano facendo, hanno negato tutto. È possibile che al centro le abbiano fatto il lavaggio del cervello e abbiano fatto pressioni su di lei per dichiarare che voleva tornare dal marito. Potrebbe anche essere stata minacciata dal rapitore: ecco perché ha dichiarato che vuole tornare con lui».
FARAH, HUMA, ARZOO, MAIRA, SADAF, NEHA
La corte che si sta occupando del caso ha anche stabilito dopo una perizia medica che Farah ha tra 16 e i 17 anni, nonostante sia il padre sia il suo certificato di nascita, così come l’aspetto fisico, affermino che ha 12 anni. «Non so perché l’avvocato musulmano della famiglia non abbia contestato la perizia medica», continua il legale del ministero. «Anche i giudici sembrano prevenuti: non hanno neanche domandato alla giovane perché veniva tenuta incatenata. Faremo di tutto per salvare questa ragazzina cristiana».
Il caso di Farah è simile a quello di Huma Younus, Arzoo, Maira, Sadaf, Neha, solo per citare gli ultimi casi clamorosi di rapimenti, matrimoni e conversioni forzate che hanno varcato i confini del Pakistan. Alla base dei crimini c’è una vera e propria mafia «composta da chierici islamici che celebrano i matrimoni, magistrati che legalizzano le unioni, poliziotti locali corrotti che aiutano i colpevoli rifiutandosi di investigare e sabotando le indagini», come dichiarato dall’attivista Jibran Nasir. Il tema imbarazza il governo, che viene screditato all’estero e si ritrova nella condizione di non riuscire ad applicare le proprie leggi, come notato dal cardinale Joseph Coutts:
«Siamo cittadini pakistani e la legge è la stessa per ogni cittadino pakistano; è responsabilità dello Stato garantire giustizia ai propri cittadini. Va affrontato il tema dei rapimenti, delle conversioni forzate e dei matrimoni forzati sulla base dei diritti umani fondamentali, piuttosto che farne una questione religiosa. È responsabilità dello Stato fornire protezione, garantire giustizia a ogni cittadino, senza distinzione di credo, cultura, etnia e classe sociale».