Fra pochi giorni, nell’agenda della promozione e difesa della vita ricorrono due importanti appuntamenti: il 7 febbraio la Giornata Nazionale per la Vita e il 22 febbraio la Giornata Mondiale del Malato. proviamo a leggere entrambe alla luce di quanto il 27 gennaio scorso – Giorno della Memoria – ci ha aiutato a ricordare. Ricordare per costruire azioni morali, culturali e politiche concrete perché quel tragico e criminale evento non abbia mai più a ripetersi.
Credo che la domanda che in tanti, in questi giorni, ci siamo posti sia stata: “Come è potuto accadere tutto ciò? Come è stato possibile che siano stati massacrati milioni di innocenti nel silenzio e nell’indifferenza di interi popoli?”. Come disse Benedetto XVI visitando Auschwitz, non dobbiamo chiederci dov’era Dio, ma piuttosto dov’era l’uomo, dov’era l’umanità, dov’erano finiti secoli di valori morali e civili così faticosamente acquisiti.
Chiunque di noi può avere una sua risposta e, dunque, fra le tante, può essere utile considerare anche questa: nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, coesistono valori, pensieri, emozioni, sentimenti opposti, in grado di generare condotte contrastanti e in conflitto fra loro. Coesistono meschinità e grandezza, miseria e virtù; in una parola coesistono il Bene e il male. Il popolo tedesco o il popolo italiano degli anni ’20-’45, il popolo delle “leggi razziali”, non era né peggiore né migliore di noi. Erano il frutto di una cultura e di una campagna mediatica martellante, ossessiva, invadente che – giorno dopo giorno – convinse la gente che gli ebrei erano “scarafaggi”, pericolosi e dannosi, responsabili di ogni sorta di male, e che liberarsi da questi esseri inferiori, da questi “non-uomini” ma bestie, era la strada verso il benessere e la civiltà.
Il criminale nazista Goebbels, ministro della propaganda e della educazione, organizzò martellanti campagne di indottrinamento sul primato della razza ariana, sfruttando ogni mezzo di comunicazione e, soprattutto, inquinando il mondo scolastico (luogo per eccellenza della formazione dei giovani) con la mistica ideologica delle vite indegne di essere vissute, tanto “cara” al Terzo Reich. Quando si passò dalle teorie ai fatti, dai comizi ai lager, il passo fu breve, ormai socialmente scontato e condiviso e, nel migliore dei casi, coperto da indifferente silenzio. Il cuore e la mente di milioni di cittadini erano stati ormai manipolati, condizionati, plagiati al punto che perfino i più naturali sentimenti di indignazione ed obbrobrio erano stati anestetizzati. Se è vero che la storia dovrebbe insegnarci qualcosa, il tragico disegno dal nazi-fascismo dovrebbe dirci che quando si promuove una cultura della “categorizzazione” degli esseri umani, stabilendo che vi sono categorie prive del diritto alla vita, si entra in quel tunnel buio che conduce dritto diritto alla morte.
E’ proprio in questo senso che dobbiamo fare nostre le parole di Santa Teresa di Calcutta: l’aborto è il più grande male per l’umanità, perché “se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi fra loro?”. E se, aggiungiamo noi a tanti anni di distanza dal quel lontano 1979, una società, uno stato, una classe politica non fa nulla per salvare anche un solo bimbo, vuol dire che in quel tenebroso tunnel ci siamo dentro fino al collo.
Se si distingue fra “nato” e “non nato”, fra perfetto ed imperfetto, fra bimbo desiderato e indesiderato; se si “intercettano” i bimbi Down per ucciderli come “scarafaggi” del nostro tempo e ci si gloria di avere costruito una società “Down-free”; se si presenta l’uso di pillole abortive come una conquista di libertà e, grottescamente, si mettono in competizione il diritto alla vita con il diritto all’aborto; se chiunque osa affermare che titolo di onore di ogni società sta nel salvare bimbo innocenti, dall’utero materno ai gommoni in mezzo al mare, è un provocatore, medioevalista, sovranista, attentatore della libertà delle donne, e per questo deve essere “appeso” e ghettizzato nel contesto socioculturale; se chiedere e progettare politiche per evitare anche un solo aborto e far nascere un bimbo in più è considerato un attentato alla modernità, vuol dire che la storia non ci ha proprio insegnato nulla: c’è chi è degno di vivere e chi è degno di essere eliminato.
Ma la pace, la giustizia, la civiltà non si costruiscono con le pietre dell’arroganza del politicamente corretto e del relativismo etico e sociale. Quando un popolo si convince – o viene convinto – che uccidere innocenti – dentro o fuori l’utero non conta – è un bene, vuol dire che la mente è corrotta e la coscienza è stata avvelenata. E il frutto di coscienze avvelenate è la dittatura della morte.
Fonte: Massimo GANDOLFINI | InTerris.it